Spòsati, donna, e sii sottomessa…

di Francesco Greco. Curioso, spiazzante. Intessuto col filo dell’ironia, soprattutto l’autoironia. Ha nella leggerezza la modulazione vincente, nell’impegno senza se e senza ma il messaggio forte alle donne urbi et orbi. E’ stato tradotto all’estero (Francia e Germania, per ora), è un “caso” letterario forte di 9 edizioni: un best-seller destinato a farsi long-seller. Di sentimenti e sessualità non sono delegate a pontificare solo Erica Young, la Duras, la Grandes: anche le donne che girano in auto zeppe come suk mediorientali, con armadi colmi di kitch rassicurante e sono sempre al cellulare a chiedere consigli medici agli ingegneri. Delle classi medio-alte (la scrittrice lavora al Tg3, impagina i cucchiai di Totti, le gaffe della Minetti), mica borgatare, ma che tracciano un trend e soprattutto formattano compilation di luoghi comuni sul femminismo, la sudditanza ai media che aprono il solco del modus vivendi e poi offrono l’aratro del consumismo a difenderlo, che cestinano i file degli appelli della Chiesa per la sfera privata, fingendo di non sapere che Edipo è morto, Eros non sta bene e Tanathos gode buona salute. L’emancipazione è pure protagonismo, autodeterminazione.

“Sposati e sii sottomessa” (Pratica estrema per donne senza paura), di Costanza Miriano, Editore Vallecchi, Firenze 2011, pp. 258, € 12.50 (Collana “Avamposti”) è nato, supponiamo, per reazione: dopo 13 e-mail a vuoto e 4 sms freddissimi ricevuti. Dopo aver bombardato le amiche con consigli tipo “Ha ragione lui”, “Sposalo”, “Fate un figlio”, “Obbediscigli”, “Fate un altro figlio”, “Trasferisciti nella sua città”, “Perdonalo”, “Cerca di capirlo”, “Fate un altro figlio”, non restava che continuare la mission in tipografia. D’altronde, l’autorevolezza della Miriano (nata a Perugia, vive a Roma), deriva dalla militanza sul campo. Ha sposato Guido, ha 4 figli (Tommaso, Bernardo, Livia, Lavinia): non male per una ragazza che si definiva “un cesso”, che cucina ramazzando nel frigo e vieta alle figlie di entrare in camera sua. Le sue nonne e prozie sembrano citazioni della Luxemburg al suo confronto, poi cita Chesterton (“Non c’è niente di più trasgressivo ed eccitante dell’ortodossia”) e si sdogana a sinistra.

Un’incognita però aleggia sul libro: letto in modo sbagliato, senza premunirsi della password giusta, c’è il rischio che le femministe dure e pure, area Governo Vecchio, la aspettino sotto casa a S. Giovanni e la “processino” come controrivoluzionaria e borghese, simpatizzante del Tea-Party. Crede nel matrimonio (“un esoscheletro che difende prima di tutto noi”), ma in modo laico, scettica più di Pirrone, più razionale di Voltaire. Sa stare al mondo, sa quando parlare e tacere, anche se bruciacchia lo sformato, insiste coi figli con gli spinaci. Consiglia di aver coraggio, buttarsi, non aspettare: “Noi dobbiamo dare, difendere, sostenere, appoggiare la vita”. Non è la tomba dell’amore come aneddotica misogina vuole, e sbattersi fra la scuola, il catechismo e il campetto al Testaccio per prelevare i figli può essere divertente, magari pensando alla borsa ultimo grido e sopportando la corte del collega. In un momento storico di relativismo, di modelli imposti dai media ma estranei, di coppie aperte, scoppiate, allargate, omo, liquide, pantofolai che rinunciano ai figli perchè minaccia la loro libertà, salvo pentirsene quand’è tardi, l’ortodossia metafisica con cui lei s’inventa una via tutta sua è sovversiva, destabilizzante, antisistema, “grillina”. Anche se serve l’analista, o la zingara, per decodificare questa frase: “Scegliere è dire un no insieme al si”. Da emicrania a grappolo. La sua autostima di genere fa tenerezza, richiama le suffragette inglesi. Dispensa pillole di sapienza confuciana, veste il saio di donna Letizia: “Solo noi sappiamo trovare linguaggi… la donna si ritrova dandosi… la chiamata delle donne è a collaborare a dare la vita in tutti i modi possibili. Generare, sostenere, ascoltare, incoraggiare i figli di carne e non… Noi per prime abbiamo il talento di accogliere, accettare, educare, e non solo i figli… Il nostro genio è nel tessere relazioni…”. E il maschio? Un accessorio. Non è buono manco a sistemare il tergicristallo rotto, ma “mio marito è un uomo intelligente”, lo cogliona Costanza.

Peccato, non l’hanno chiamata al governo “tecnico ” a dare una ravanata alla famiglia italiana atomizzata: avrebbe finanziato l’affitto ai bamboccioni che non mollano la presa sulla cameretta perché temono il mutuo, forse rimesso la tassa sul celibato e, perchè no? sul nubilato e introdotto il premio di maternità e le balie in coop. “E’ una forza potente l’istinto materno – giura – quello che certo femminismo si è sforzato di negare“. Il post-femminismo? Spiate l’asilo del quartiere: è fatto di “schiere di piccoli guerrieri e file di spose, nutrici, crocerossine e cuoche”. Il fine giustifica i mezzi, la patria ha bisogno di figli, se possibile non intronati dalla playstation, Mazinga Zeta e i talent-scout. E mentre si attende il seguito, magari le testimonianze di quelle che hanno seguito i consigli (Monica vs Domenico, ecc.) col “tuffo coraggioso nella vita”, o un prime-time (Costanza-show), giura che “le donne hanno messo in crisi i vecchi equilibri – a volte a ragione – ma senza aver saputo proporne di nuovi”. Accadeva nell’età del bronzo, nel tempo a. C. (avanti Costanza), ora siamo nel d.C. (dopo Costanza), le cose cambiano. La bellezza del libro è nel proporre come format l’ironia e la levità per una quotidianità di coppia faticosa ma serena, coscienti che la vita è una sola (non in senso trasteverino). Grazie Costanza! Da standing-ovation. Parafrasando l’inno dei cultori del bunga-bunga, tutti in coro: “Meno male che Costanza c’è, al Tg3…”.

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