"Chi ha ucciso Mary Poppins?", quando il pubblico si fa vita e la vita si fa teatro

Roberta Calò. Nel teatro si vive sul serio quello che gli altri recitano male nella vita (Eduardo de Filippo). Ecco allora che il regista Marco de santis saltando a piè pari ogni tradizione,approda sul palco con "Chi ha ucciso Mary Poppins". Dopo l 'enorme successo ottenuto, la replica prenderà vita lunedì 24 settembre ore 21.30 presso il teatro Osservatorio sito in via Trento 12,Bari (Ingresso a contributo libero - necessaria prenotazione, info@scheggedortaet.com, marcodesantis@scheggedortaet.com, Mariangela Berardi: 333/7786299 begin_of_the_skype_highlighting 333/7786299 end_of_the_skype_highlighting, Marco De Santis: 338/6145010).

A farla da padroni sono artisti dalla rinomata esperienza tra cui svettano nomi altisonanti: il regista Marco De Santis, eclettico sperimentalista già noto per Staging Shakespeare in collaborazione con quattro attori madrelingua e la tredicesima notte; l'attore Claudio Ciraci, poliedrico e brillante, già noto per le sue interpretazioni altamente performanti tra cui La Morsa e Il terzo Uomo, ultimamente dedicatosi al cabaret e alla commedia dell'arte annoverando successi come Zelig lab on the road che l'hanno portato a maturare una maestria nell'improvvisazione messa al servizio di quest'ultimo grande successo. La compagnia teatrale Schegge D 'Ortaet torna così a stupire gli spettatori con una "performance of theatrical game"; sotto la lente d ingrandimento c 'è la società con i suoi vizi e le sue virtù, con i suoi pregi e i suoi difetti, con i suoi lati ora chiari ora cupi alternando scene di forte riflessione a istanti di piacevole ironia. Una dimensione tutto sommato anche goliardica che abbraccia dal vivo il pubblico chiamato a partecipare attivamente allo spettacolo. Facendo riecheggiare tra le mura la voce dell 'infanzia attraverso le fiabe e lasciando che le ali del teatro spicchino il volo oltre qualsiasi barriera dogmatica, gli spettatori sono invitati a porre degli ostacoli agli attori i quali avranno il compito di impegnarsi per riuscire a superare le difficoltà e a portare a termine la storia perché come lo stesso Eduardo de Filippo diceva :"Per fare buon teatro bisogna rendere la vita difficile all 'attore". Una prova dunque per chi recita che deve fare i conti con la propria capacità d 'improvvisazione e per chi assiste che deve confrontarsi con quella parte di sé che forse troppo spesso viene sottaciuta o soffocata dall 'inarrestabile divenire della quotidianità .Un' esperienza teatrale tanto paradossalmente unica quanto follemente stimolante che ha trovato la giusta chiave di lettura per armonizzare attori, pubblico, teatro, vita, riflessione, sorriso sulle note di un unico melodico obiettivo, quello di voler scandagliare l 'esistenza e trovare il senso di ogni cosa a partire prima di tutto da se stessi perché come lo stesso Novalis affermava:"Il teatro è l 'attiva riflessione dell 'uomo su se stesso". A spiegarci gli aspetti più emblematici di questo spettacolo è lo stesso regista Marco de Santis.


Domanda: da quale idea nasce questo spettacolo e qual'è la correlazione con Mary Poppins? 
Risposta: Chi ha ucciso Mary Poppins significa Chi ha ucciso l’infanzia, chi è cresciuto dimenticando l’essere fanciulli e la spensieratezza del gioco. Guardare con gli occhi di un bambino il mondo che ci circonda e commentarlo con gli occhi di un bambino cresciuto. Questo fa cadere lo spettacolo in un gioco grottesco di specchi dove qualsiasi riferimento al passato si trasforma i una divertente e puntuale analisi dell’oggi, del presente, immerso nelle sue contraddizioni. Emerge proprio questo, le contraddizioni della realtà. Quando ero bambino ho adorato Mary Poppins, me ne sono infatuato, avrei voluto avere una Mary Poppins accanto a me che mi facesse sorridere di fornte alle difficoltà che si incontrano nella vita. E fortunatamente così è stato, e la mia Mary Poppins è sempre stata la fuga nella letteratura, nel viagio fantastico, nell’immaginazione. Faccio teatro, è il mio lavoro e immaginare mondi che non esistono è parte del mio lavoro. Per cui ad una certa età mi sono accorto che il mondo che ci circonda cambia le regole del gioco, e l’immaginazione e il fantasticare diventano un lusso. Giusto, per carità. Ma allora mi sono chiesto, guardandomi intorno, chi ha ucciso Mary Poppins? Da qui, poi, le fiabe, il gioco di improvvisazione sulle fiabe, dove gli attori tentano di costruire una fiaba, immaginandola e ricreandola sulla scena e il pubblico interviene immaginando una serie di situazioni che mirano a mettere in difficoltà gli attori. Tutti immaginano. Bellissimo.

-Cosa c'è di teatrale e cosa c'è di vero in questa performance of theatrical game? 
Di teatrale tutto e di vero tutto. Magari sarebbe più corretto dire cosa c’è di preparato e cosa di improvvisato. Il gioco sulle fiabe è uno schema di improvvisazione molto semplice. Ce ne sono diversi, nelle varie scuole di pensiero, tutte molto valide. L’efficacia vera di un gioco d’improvvisazione lo vedi nell’effettivo riscontro con il pubblico. Se il pubblico rimane e ride è un chiaro segnale che quel meccanismo umoristico funziona. Lo spettacolo è diviso in due parti. La prima in cui parlo accompagnato dalla musica di Antonello Arciuli con interventi degli altri attori. Tutti siamo sul palco. Facciamo ridere. Questo funziona. In questa prima parte io emergo rispetto a loro. Sono una specie di protagonista assoluto, un monologhista che dietro di se ha un’orchestra di voci e suoni che lo segue ovunque. E poi, nella seconda parte, ecco che mi defilo e lascio il campo, o meglio, lascio il testimone agli attori, e loro riescono a condurre un grandissimo spettacolo. Il mio compito è quello di spingere il pubblico a mettere gli attori in difficoltà. E la cosa funziona. Molto. Però devo ammettere che questo spettacolo riesce soprattutto per la capacità dei miei ragazzi. Claudi Ciraci, Marzia Colucci, Roberta Barbieri e Silvia Cuccovillo. Se uno non li conoscesse mi verrebbe di presentarveli come ‘Quei Bravi Ragazzi’.

-In questo spettacolo quanto c'è di strettamente introspettivo per ciascuno di voi e quanto c'è di critica sociale? Qual'è il punto d'incontro tra questi due aspetti? 
Introspezione e critica sociale...penso che questi due termini siano presenti nell’intero complesso drammaturgico mondiale. Chi fa teatro, chi scrive il teatro o per il teatro, butta su carta o sulla scena un frammento di se stesso, un frammento che comunque gli appartiene. E se lo fa è perché ha qualcosa da dire, e se qualcuno ha qualcosa da dire è quasi sempre contro qualcuno, contro la società. Anche i romanzieri dell’ottocento, dalla Austen a Melville, per citarne solo due anziché fare un elenco telefonico, parlavano di sé attraverso una storia che, di per sé, denunciava o comunque metteva in evidenza dei contrasti o contraddizioni. Se non c’è contrasto non c’è dramma e chi fa teatro sente continuamente una calamita che perpetuamente lo porta vicino e lontano dalla società. Non credo si possa teorizzare un punto di incontro fra questi due termini, giammai in questo spettacolo. Mettiamo tutto in un frullatore, lo accendiamo e forse questo è il risultato più vicino al ‘punto d’incontro’. (claudio ha risposto: di critica sociale direi chè cè molto…anzi forse l’intero asse dello spettacolo è un tentativo di far riflettere sulle cose ridendoci su…se non erro fu Gigi Proietti a dire che in fondo risata e l’anagramma di satira. Per quello che mi riguarda trovo che il punto di incontro sia il fatto stesso che chi vive d’arte si trova a dover improvvisare per vivere…e allora perché non farlo su di un palco?)

- Quanto e perchè è importante la viva e attiva partecipazione del pubblico in un simile esperimento teatrale? 
È importante perché senza di loro lo spettacolo sarebbe un’imbarazzante narrazione di fiabe e cose gia sentite. Il pubblico, ogni volta che facciamo questo spettacolo, è fortemente imbarazzato durante i primi due o tre interventi. Dopo di che inizia a sciogliersi, e lì non lo fermi più. Non ve lo sto dicendo perché fa parte della mia teoria, ma perché così funziona ogni volta che lo facciamo. Il pubblico, quando va a teatro paga, e pagando si permette di criticare fino alla morte uno spettacolo. Ci sarà sempre l’attore meno bravo, la battuta sbagliata, il finale discutibile, i tempi dilatati e via discorrendo. Il pubblico ha bisogno di criticare. Oggi piu che mai. E allora ecco il nostro gioco. Il pubblico si rende conto che può intervenire mettendo in difficoltà gli attori ma che non gli capiterà nulla di estremamente imbarazzante, tipo essere trascinato sulla scena. Assolutamente no. Viene chiesto semplicemente di dare un comando ad un attore e l’attore, attraverso il gioco di improvvisazione segue il comando che gli è stato dato, lo risolve e ritorna alla storia narrata. Ovviamente dopo le prime difficoltà superate ecco che gli spettatori tutti iniziano ad accanirsi cercando di distruggere, letteralmente, il lavoro degli attori. E questi impassibili riescono ad andare avanti. Lo spettatore non se ne accorto ma è diventato coautore dell’opera, sta facendo teatro! Ovviamente il modo con cui l’attore lavora è frutto di prove e tecniche particolari. Non tutti possono farlo alla cieca, ci vuole un percorso che permetta di dialogare con il pubblico in un certo modo. Ecco perché ho deciso di avviare una serie di laboratori a cadenza mensile sull’improvvisazione. Penso di fare qualcosa del genere anche nel corso di recitazione che ogni anno tengo al Cutamc, al centro Universitario di Teatro.

- Che fine ha fatto la fiaba nella realtà di oggi? E' possibile farla rivivere in parte almeno a teatro? 
 Ma no. La fiaba rivive se la fai vivere tu nella vita. Avete presente quella leggenda secondo cui quando qualcuno dice di non credere alle fate una fata muore? Beh, è la stessa identica cosa, solo che si muore un pochino dentro. È ovvio che non esiste nulla in teatro. Tutto è un'illusione. La bellezza e la grandezza non sta nel credere che tutto sia vero. Il contrario, la maestosità e l’immortale bellezza del teatro sta proprio nel suo essere completamente e inequivocabilmente una finzione. Anche quando andate in chiesa Dio o chi per lui non c’è. Anche loro fanno teatro.

-Il vostro teatro sperimentale è un'esigenza personale di riscoprire modi diversi per esprimervi o è un tentativo di cercar strade sempre diverse per arrivare a conquistare un rapporto sempre più stretto col pubblico? 
 Un po’ tutte e due le cose. Penso che uno spettacolo e un gruppo di lavoro di attori e registi si incontrino sulla strada. A volte, nella mia ricerca artistica, sono mosso da curiosità di sperimentare un nuovo linguaggio con gli spettatori. Non dimentichiamo che facciamo teatro, diciamo qualcosa perché qualcuno l’ascolti. Loro sono il centro. E quando decidi di voler comunicare qualcosa, di aver qualcosa da dire ecco che ‘casualmente’ ti imbatti in un opera o in un idea nella quale ti rispecchi. Certo è che faccio teatro sempre per il pubblico. Non c'è dubbio dunque sulla qualità di un simile spettacolo e sugli stimoli che una performance di tale calibro dalle mille e più svariate sfaccettature possa offrire a quanti vorranno vivere in prima persona un'avventura senza precedenti. Un biglietto di sola andata, quello proposto, verso un viaggio alla riscoperta di quelle dimensioni di noi stessi e degli altri che forse avevamo dimenticato e che solo chi sa fare teatro può riportare alla luce, perchè come ci insegna il grande Proietti: "Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso...".