Skujina, l’altro punto di vista sul mondo e le cose

di Francesco Greco. La forza selvaggia della natura nei suoi squarci improvvisi e l’introspezione impudica nei nostri mondi interiori sono i due binari dove scorre inquieta la pittura di Agnese Skujina, artista nata nel 1985 a Limbazi (Lettonia) che giunta in Puglia non se n’è più andata e si è stabilita a vivere a Specchia, nel sud Salento. L’artista procede nella sua ricerca estetica nella maniera più sincera possibile, ibridando e sovrapponendo i paesaggi della sua terra che si porta nel cuore con quelli trovati nel cuore del Mediterraneo nella terra d’accoglienza e allo stesso tempo frugando nell’inconscio dell’uomo contemporaneo come fosse una matrioska dai colori vivaci.

Fino a tutto settembre propone ne “L’altro lato” le ultime opere a Palazzo Coluccia (via Matteotti, 48, Specchia), una grande casa con giardino di palme altissime nel centro antico del paese, che ancora conserva gli echi del lavoro di secoli, le voci, i rumori, col suo frantoio e il palmento. Agnese è un’artista cosmopolita che ha proposto la sua opera nel mondo: Verona, Bologna, Tricase, Riga, Valmira e Solacgriva (Lettonia), Lecce, Metaponto, etc.

Non è la sua una pittura di facile decodificazione e ogni password che ti procuri può essere relativa. Lo sguardo è puro, e quello interiore, che si sostanzia in un format psicanalitico, impietoso quanto privo di facili soluzioni. L’artista riesce così a catturare sulla tela l’ambivalenza della natura dove si ascolta il respiro dell’uomo, e vedendola quasi in termini antropomorfi. Agnese riesce a rendere materiali le idee come se le estrapolasse dall’Iperurano dove vagano libere e senza mèta. E tuttavia esse riescono a tormentare l’uomo spingendolo in una dimensione “no exit”, cioè in una palude concettuale in cui si dimena inquieto mentre cerca di “scoprire quello che già c’è” (il titolo dell’opera in foto).

La pittrice lettone cita, a supporto della sua percezione artistica, Sol LeWitt (1928-2007) artista americano teorico del minimalismo e del concettualismo. Postulati con cui si contamina con intensità e abbandono, ma che poi personalizza in scelte di colore, sviluppi e contenuti assolutamente originali. “Le idee sono essenzialmente simili alle cose – teorizza a proposito di 6 tele 150x150 proposte sotto il titolo - che senza la presenza umana sono impersonali. L’idea è alla base di ogni cosa, occupa forma, materia e colore. Ma in tutto questo c’è l’uomo in mezzo, a fare da interfaccia tra idee e forme. Senza la presenza umana, l’idea resta nello spazio. Le idee sono la fonte di tutto, esistono in natura e sono state messe in atto prima di noi”.

Le idee dunque l’input della sua arte, che a un certo punto diviene impellente, incontenibile. Aggiunge Agnese: “Nei miei quadri si riflettono le cose che mi scatenano un prurito interiore che non mi dà pace e da cui noi non riesco a scappare. Prima o poi emerge dall’inconscio sotto forma di immagine. Perchè il titolo ? Osservando i miei quadri si vede che sono composti da due strati, uno copre l’altro. Uno è più vicino dell’altro, più importante dell’altro. E’ l’uomo a essere meno importante, ho spostato l’uomo nell’altro lato, nel piano più lontano. A differenza della tematica , dove l’uomo era al centro della ricerca, questa volta ho lavorato con lo spazio intorno all’uomo. L’altro lato è quello senza la presenza umana. Una dimensione difficile da spiegare, non trovi le parole…”. Forse perchè l’inconscio dell’uomo è torbido e indecifrabile? La ricerca di Agnese Skujina continua…