Francesco Greco. Ecco un libro da adottare nelle scuole d’ogni ordine e grado. Non solo italiane, ma del mondo: la minaccia di estinguere in poco tempo la specie, di trascinare nel baratro la civiltà sedimentata in millenni è globale, riguarda tutti presi uno a uno e come community. Vai avanti nelle pagine e un’ulcera fastidiosa morde lo stomaco e hai l’aspra sensazione che stiamo danzando sulla tolda del Titanic, incuranti e incoscienti del rischio concreto del Big-Bang che incombe su di noi a causa di comportamenti irrazionali e devastanti ormai divenuti purtroppo costume.
“I diritti della natura” (Wild Law), di Cormac Cullinan, Piano B edizioni, Prato 2012, pp. 264, € 16.90 (traduzione di Davide Sapienza, scrittore e attivista dei diritti della natura) è un grido di dolore per la Madre Terra vilipesa, saccheggiata, aggredita. Ci dice, fra l’altro, che siamo all’anno zero: o mutiamo radicalmente stili di vita letali per gli ecosistemi, o siamo agli ultimi giorni a Pompei, al “The End”, all’Apocalisse. Mai come in questo XXI secolo la “Grande Opera” è stata a rischio estinzione. Egoisti e violenti come siamo, volgari, bradi, senza più alcun principio interiore, “zetergeist” (senso del sublime), con la liturgia cosmica incrinata, ogni equilibrio minacciato, il black-out annunciato. L’assunzione di responsabilità dovrebbe essere collettiva, di tutti i governi contestualmente, nuove governance per dar vita a una nuova legislazione in grado di affrontare la situazione e puntare alla “liberazione dalle criticità congiunte”. Tutti concetti con cui è bene familiarizzare, perchè sono, e lo saranno ancor più domani, pane quotidiano nella dialettica che metteremo in campo mentre intanto si confrontano due scuole di pensiero: chi dice che è tardi, chi che ancora qualcosa si può fare se si prende atto del tunnel in cui siamo entrati, del “the end”.
Non si può non dar ragione a Vandana Shiva quando ammonisce: “La sopravvivenza della nostra specie e la salute della Madre Terra dipendono dalla nostra capacità di trasformare i sistemi di governo”. Governi le cui leadership, è il caso di dire senza se e senza ma, sono in forte ritardo dall’abbozzare una strategia comune di dialettica prima e di azione poi “per salvare il pianeta e uscire dall’emergenza ecologia e umanitaria”: si marcia in ordine sparso, e ciò vanifica gli sforzi e confonde i popoli e il loro “principio interiore”. L’ipotesi esclusa dalla razionalità, proprio quella forse si avvera, perché “lo sviluppo umano ha accelerato il degrado e la distruzione di quasi ogni aspetto della Terra”. C’è infatti chi è convinto, e James Lovelock (sua la teoria di Gaia) è fra questi, “che il sistema climatico della Terra abbia già superato il punto di non ritorno, e che stia inesorabilmente ruotando verso un nuovo equilibrio con il quale diverrà inospitale per la vita umana”.
Occorre dunque una nuova legislazione, un diritto dalla parte della Terra vilipesa, saccheggiata, per convergere verso la “liberazione dalle criticità congiunte” e la tutela degli ecosistemi. Lo afferma, e lo prova con una serie di riflessioni implacabili, Cullinan, che vive in Sudafrica (Cape Town), è avvocato, esperto di governance e scrittore, nel 2010 fra gli estensori della Dichiarazione dei Diritti della Madre Terra che è stata presentata all’Assemblea Generale dell’Onu ed è ritenuto dai governi un interlocutore serio nello sviluppo della complessa tematica dei cambiamenti giuridici necessari a fronteggiare le emergenze ambientali planetarie.
Un terreno su cui l’Ecuador nel 2008 ha fatto da apripista sulla scia della pressione popolare, modificando la Costituzione che adesso riconosce i diritti della Natura, messa al centro del diritto, con quel che ne consegue: “Lasciarsi bloccare dalle difficoltà – ammonisce lo studioso - equivale a dire si alla nostra estinzione”. Che fare in un futuro che è già qui con le sue incognite? Cullinan lo dice chiaramente sovrapponendo il suo pensiero a certe teorie della decrescita di Serge Latouche: “Dovremo essere capaci di far fronte al calo dei volumi di produzione di petrolio e altri minerali, trovare il modo di arginare e invertire l’inquinamento e la contaminazione della biosfera, la perdita dei terreni fertili, la desertificazione, l’impoverimento delle riserve di acqua potabile e di pesce, la distruzione delle foreste e degli habitat delle specie selvatiche e l’impennata dei livelli di consumo uniti alla crescita della popolazione”.
Cullinan sostiene poi che “i principali manovratori della distruzione sembrano inattaccati”. E si riferisce a un sistema produttivo che uccide l’ambiente e all’assenza di un diritto che lo contrasti. Come dire: siamo nelle mani di lobby potentissime che condizionano le governance dei popoli colti a loro volta da accidia e spesso afasia, che continuano masochisticamente a inoltrarsi in un tunnel viscido di masochismo e autodistruzione, con l’istinto di conservazione annebbiato da una voluttà di possesso che incuba la tragedia. Questo libro, per la Shiva “una pietra miliare”, aiuta a responsabilizzarsi rispetto ai nostri destini, e i diritti della Terra. Profezie dei Maya o no, l’Apocalisse potrebbe innescarsi senza scampo. Se iniziassimo nel nostro piccolo a fare qualcosa, adesso?
“I diritti della natura” (Wild Law), di Cormac Cullinan, Piano B edizioni, Prato 2012, pp. 264, € 16.90 (traduzione di Davide Sapienza, scrittore e attivista dei diritti della natura) è un grido di dolore per la Madre Terra vilipesa, saccheggiata, aggredita. Ci dice, fra l’altro, che siamo all’anno zero: o mutiamo radicalmente stili di vita letali per gli ecosistemi, o siamo agli ultimi giorni a Pompei, al “The End”, all’Apocalisse. Mai come in questo XXI secolo la “Grande Opera” è stata a rischio estinzione. Egoisti e violenti come siamo, volgari, bradi, senza più alcun principio interiore, “zetergeist” (senso del sublime), con la liturgia cosmica incrinata, ogni equilibrio minacciato, il black-out annunciato. L’assunzione di responsabilità dovrebbe essere collettiva, di tutti i governi contestualmente, nuove governance per dar vita a una nuova legislazione in grado di affrontare la situazione e puntare alla “liberazione dalle criticità congiunte”. Tutti concetti con cui è bene familiarizzare, perchè sono, e lo saranno ancor più domani, pane quotidiano nella dialettica che metteremo in campo mentre intanto si confrontano due scuole di pensiero: chi dice che è tardi, chi che ancora qualcosa si può fare se si prende atto del tunnel in cui siamo entrati, del “the end”.
Non si può non dar ragione a Vandana Shiva quando ammonisce: “La sopravvivenza della nostra specie e la salute della Madre Terra dipendono dalla nostra capacità di trasformare i sistemi di governo”. Governi le cui leadership, è il caso di dire senza se e senza ma, sono in forte ritardo dall’abbozzare una strategia comune di dialettica prima e di azione poi “per salvare il pianeta e uscire dall’emergenza ecologia e umanitaria”: si marcia in ordine sparso, e ciò vanifica gli sforzi e confonde i popoli e il loro “principio interiore”. L’ipotesi esclusa dalla razionalità, proprio quella forse si avvera, perché “lo sviluppo umano ha accelerato il degrado e la distruzione di quasi ogni aspetto della Terra”. C’è infatti chi è convinto, e James Lovelock (sua la teoria di Gaia) è fra questi, “che il sistema climatico della Terra abbia già superato il punto di non ritorno, e che stia inesorabilmente ruotando verso un nuovo equilibrio con il quale diverrà inospitale per la vita umana”.
Occorre dunque una nuova legislazione, un diritto dalla parte della Terra vilipesa, saccheggiata, per convergere verso la “liberazione dalle criticità congiunte” e la tutela degli ecosistemi. Lo afferma, e lo prova con una serie di riflessioni implacabili, Cullinan, che vive in Sudafrica (Cape Town), è avvocato, esperto di governance e scrittore, nel 2010 fra gli estensori della Dichiarazione dei Diritti della Madre Terra che è stata presentata all’Assemblea Generale dell’Onu ed è ritenuto dai governi un interlocutore serio nello sviluppo della complessa tematica dei cambiamenti giuridici necessari a fronteggiare le emergenze ambientali planetarie.
Un terreno su cui l’Ecuador nel 2008 ha fatto da apripista sulla scia della pressione popolare, modificando la Costituzione che adesso riconosce i diritti della Natura, messa al centro del diritto, con quel che ne consegue: “Lasciarsi bloccare dalle difficoltà – ammonisce lo studioso - equivale a dire si alla nostra estinzione”. Che fare in un futuro che è già qui con le sue incognite? Cullinan lo dice chiaramente sovrapponendo il suo pensiero a certe teorie della decrescita di Serge Latouche: “Dovremo essere capaci di far fronte al calo dei volumi di produzione di petrolio e altri minerali, trovare il modo di arginare e invertire l’inquinamento e la contaminazione della biosfera, la perdita dei terreni fertili, la desertificazione, l’impoverimento delle riserve di acqua potabile e di pesce, la distruzione delle foreste e degli habitat delle specie selvatiche e l’impennata dei livelli di consumo uniti alla crescita della popolazione”.
Cullinan sostiene poi che “i principali manovratori della distruzione sembrano inattaccati”. E si riferisce a un sistema produttivo che uccide l’ambiente e all’assenza di un diritto che lo contrasti. Come dire: siamo nelle mani di lobby potentissime che condizionano le governance dei popoli colti a loro volta da accidia e spesso afasia, che continuano masochisticamente a inoltrarsi in un tunnel viscido di masochismo e autodistruzione, con l’istinto di conservazione annebbiato da una voluttà di possesso che incuba la tragedia. Questo libro, per la Shiva “una pietra miliare”, aiuta a responsabilizzarsi rispetto ai nostri destini, e i diritti della Terra. Profezie dei Maya o no, l’Apocalisse potrebbe innescarsi senza scampo. Se iniziassimo nel nostro piccolo a fare qualcosa, adesso?