Giustizia penale e informazione
Vittorio Polito. È in questi giorni in libreria il volume di Nicola Triggiani «Giustizia penale e informazione - La pubblicazione di notizie, atti e immagini», di Nicola Triggiani (Cedam, pagg. XXIV-264 - € 27).
Il libro - inserito nella collana di “Studi raccolti da Angelo Giarda, Giorgio Spangher e Paolo Tonini” - affronta un tema di grande interesse e attualità, ovvero le problematiche relative al complesso rapporto tra processo penale e informazione, analizzando in modo compiuto ed esaustivo la disciplina dei molteplici divieti di pubblicazione di notizie, atti e immagini previsti dalla legge a tutela di interessi processuali ed extraprocessuali.
Dall’indagine - che prende avvio dal conflitto tra diritto di cronaca e altri valori costituzionalmente tutelati (regolare amministrazione della giustizia, presunzione di non colpevolezza, diritto alla riservatezza) - emerge un profondo divario tra quanto prescrive la normativa e la prassi quotidiana: a fronte di un’articolata e apparentemente rigida regolamentazione risulta assai frequente la violazione dei divieti di pubblicazione di atti del procedimento penale posti a tutela del segreto investigativo ovvero di atti lesivi della riservatezza dell’indagato o di altri soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nel procedimento (come nel caso della pubblicazione del contenuto di brani di intercettazioni telefoniche non rilevanti ai fini processuali); senza dire della corrente divulgazione di foto o riprese video di soggetti in manette o sottoposti ad altri mezzi di coercizione fisica. Insomma - come evidenzia l’autore nell’introduzione - negli ultimi anni dall’“informazione sul processo” siamo passati al “processo celebrato sui mezzi di informazione”, cioè a qualcosa di molto diverso dalla cronaca giudiziaria, intesa come fondamentale mezzo di controllo dell’opinione pubblica sull’amministrazione della giustizia. La ricerca - anche alla luce delle proposte di riforma discusse negli ultimi anni - suggerisce possibili soluzioni per scongiurare i pericolosi effetti distorsivi derivanti dal cosiddetto “processo mediatico”, parallelo a quello giurisdizionale, che si celebra non solo sulla stampa, ma soprattutto nei “salotti televisivi”, dove opinionisti di varia formazione ed estrazione pronunciano “sentenze di condanna definitive” a carico di persone appena iscritte nel registro degli indagati, o addirittura non ancora formalmente iscritte, sulla base di sensazioni, impressioni, congetture, illazioni e dati comunque irrilevanti sul piano probatorio.
Nelle conclusioni, peraltro, l’autore - professore associato di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” (Sede di Taranto) e docente presso il Master di Giornalismo promosso dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia e dall’Università di Bari - sottolinea come, al di là di eventuali modifiche alle norme di diritto penale sostanziale e processuale, per tentare di raggiungere un corretto ed equilibrato rapporto tra ‘media’ e giustizia penale resta comunque centrale il richiamo alla deontologia e al senso di responsabilità per tutti gli operatori della giustizia e del mondo dell’informazione. Già Direttore del “Dipartimento per lo studio del diritto penale, del diritto processuale penale e della filosofia del diritto” dell’Università di Bari e avvocato cassazionista, Triggiani è autore di numerose pubblicazioni, tra cui i lavori monografici “Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale” (Giuffrè, Milano) e “Le investigazioni difensive” (Giuffrè, Milano), entrambi pubblicati nella collana di “Studi di diritto processuale penale raccolti da Giovanni Conso”. Da ultimo ha curato il volume «La messa alla prova dell’imputato minorenne tra passato, presente e futuro. L’esperienza del Tribunale di Taranto» (Cacucci, Bari).
Un volume di estremo interesse giuridico, ma utile ed indispensabile anche a giornalisti e registi che si occupano di cronaca giudiziaria, in relazione alla pubblicazione e diffusione, anche in via mediatica, di notizie, atti e immagini relativi ai processi penali.
Il libro - inserito nella collana di “Studi raccolti da Angelo Giarda, Giorgio Spangher e Paolo Tonini” - affronta un tema di grande interesse e attualità, ovvero le problematiche relative al complesso rapporto tra processo penale e informazione, analizzando in modo compiuto ed esaustivo la disciplina dei molteplici divieti di pubblicazione di notizie, atti e immagini previsti dalla legge a tutela di interessi processuali ed extraprocessuali.
Dall’indagine - che prende avvio dal conflitto tra diritto di cronaca e altri valori costituzionalmente tutelati (regolare amministrazione della giustizia, presunzione di non colpevolezza, diritto alla riservatezza) - emerge un profondo divario tra quanto prescrive la normativa e la prassi quotidiana: a fronte di un’articolata e apparentemente rigida regolamentazione risulta assai frequente la violazione dei divieti di pubblicazione di atti del procedimento penale posti a tutela del segreto investigativo ovvero di atti lesivi della riservatezza dell’indagato o di altri soggetti direttamente o indirettamente coinvolti nel procedimento (come nel caso della pubblicazione del contenuto di brani di intercettazioni telefoniche non rilevanti ai fini processuali); senza dire della corrente divulgazione di foto o riprese video di soggetti in manette o sottoposti ad altri mezzi di coercizione fisica. Insomma - come evidenzia l’autore nell’introduzione - negli ultimi anni dall’“informazione sul processo” siamo passati al “processo celebrato sui mezzi di informazione”, cioè a qualcosa di molto diverso dalla cronaca giudiziaria, intesa come fondamentale mezzo di controllo dell’opinione pubblica sull’amministrazione della giustizia. La ricerca - anche alla luce delle proposte di riforma discusse negli ultimi anni - suggerisce possibili soluzioni per scongiurare i pericolosi effetti distorsivi derivanti dal cosiddetto “processo mediatico”, parallelo a quello giurisdizionale, che si celebra non solo sulla stampa, ma soprattutto nei “salotti televisivi”, dove opinionisti di varia formazione ed estrazione pronunciano “sentenze di condanna definitive” a carico di persone appena iscritte nel registro degli indagati, o addirittura non ancora formalmente iscritte, sulla base di sensazioni, impressioni, congetture, illazioni e dati comunque irrilevanti sul piano probatorio.
Nelle conclusioni, peraltro, l’autore - professore associato di Diritto processuale penale nell’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro” (Sede di Taranto) e docente presso il Master di Giornalismo promosso dal Consiglio dell’Ordine dei Giornalisti della Puglia e dall’Università di Bari - sottolinea come, al di là di eventuali modifiche alle norme di diritto penale sostanziale e processuale, per tentare di raggiungere un corretto ed equilibrato rapporto tra ‘media’ e giustizia penale resta comunque centrale il richiamo alla deontologia e al senso di responsabilità per tutti gli operatori della giustizia e del mondo dell’informazione. Già Direttore del “Dipartimento per lo studio del diritto penale, del diritto processuale penale e della filosofia del diritto” dell’Università di Bari e avvocato cassazionista, Triggiani è autore di numerose pubblicazioni, tra cui i lavori monografici “Ricognizioni mezzo di prova nel nuovo processo penale” (Giuffrè, Milano) e “Le investigazioni difensive” (Giuffrè, Milano), entrambi pubblicati nella collana di “Studi di diritto processuale penale raccolti da Giovanni Conso”. Da ultimo ha curato il volume «La messa alla prova dell’imputato minorenne tra passato, presente e futuro. L’esperienza del Tribunale di Taranto» (Cacucci, Bari).
Un volume di estremo interesse giuridico, ma utile ed indispensabile anche a giornalisti e registi che si occupano di cronaca giudiziaria, in relazione alla pubblicazione e diffusione, anche in via mediatica, di notizie, atti e immagini relativi ai processi penali.
