Spring Breakers, il sogno americano cambia volto


Andrea Stano. Dopo la discussa partecipazione alla 69esima Mostra cinematografica di Venezia approda nelle sale italiane il trasgressivo film “Spring Breakers – Una vacanza da sballo”. Il sottotitolo, puramente e purtroppo di matrice italiana, è fuorviante. Il film non è una commediucola alla “American pie” bensì una pellicola molto più impegnata che scandaglia crudamente e con rudezza le moderne generazioni di giovani americani dell’era contemporanea.

Tre disinibite collegiali del Midwest, Candy, Brit e Cotty, assieme alla più morigerata amica di lunga data, Faith, desiderano ardentemente di vivere la vacanza da sogno a Miami durante la consueta settimana lontana dagli studi universitari (il break di primavera). Non potendo contare sui propri esigui risparmi decidono allora di procurarsi il denaro compiendo una improvvisata rapina in un fast food di periferia. Ha inizio così la loro lunga e travagliata esperienza peccaminosa, tra droghe, alcool e fugaci scappatelle fino all’arresto durante un festino a base di cocaina. La loro improbabile cauzione verrà pagata da un irriconoscibile James Franco (Spiderman, 127 ore) che interpreta Alien, un gangsta rapper che si prodigherà nel proteggere le ragazze sotto la propria “egida” iniziandole ad attività criminali come furti, pestaggi ed omicidi.

Il film è vietato ai minori di 14 anni. Saggia decisione, non per chissà quali scene pulp e di spietata violenza, ma soprattutto per tematiche affrontate, linguaggio non proprio edulcorato e parecchi nudi femminili gratuitamente esposti a inizio film nella goliardia del divertimento nelle lussuriose ed esagerate feste in spiaggia (scene molto vive e reali, quasi come fossero di repertorio).

Spring Breakers non è male, certo non è un capolavoro, il genere non ci consente di utilizzare questo termine già a prescindere, però è un film che fa pensare. Il regista ed autore del soggetto è Harmony Korine, uno dei massimi esponenti del cinema indipendente, il quale obiettivo è denunciare a tinte forti l’ormai sbiadito ideale del sogno americano trai teenagers statunitensi.

I loro cervelli messi a mollo tra tv trash, videogames e sibaritici e diseducativi videoclip musicali sostengono il messaggio di fondo che il regista vuole esternare, riuscendoci francamente in modo impeccabile. Certo, le esagerazioni non mancano, anzi, sono più che mai deliberatamente concepite, ma sono funzionali a rendere meglio l’idea.

Tra le protagoniste figurano Selena Gomez e Vanessa Hudges e fa specie vedere le due ragazzine di scuola Disney cimentarsi in ruoli così ribelli e dissacranti in un film assolutamente politicamente scorretto. Del resto il fine strategico del regista era proprio quello, contaminare le fidanzatine d’America, inquinandone l’aspetto e degradandole a donnacce inselvatichite, senza scrupoli né sale in zucca.

Il “je accuse” di Korine è rivolto a tutti quei giovani che si lasciano irretire dallo sfavillante e colorato mondo delle droghe, dagli inutili eccessi di alcool e dalla smania di apparire sempre felici e contenti, ridicolmente convinti che il mondo si possa ghermire attraverso i soldi. Quelli facili però, non guadagnati col sudore e l’abnegazione. Giovani che, tuttavia, sono stati forse abbandonati dalle istituzioni e dalla società di appartenenza, non più seguiti come un tempo, obnubilati dalla civiltà del mainstream. Giovani che decidono arbitrariamente di calpestare i veri principi e i preziosi valori su cui poggiare realmente l’intera esistenza.

Il film si lascia guardare, nonostante una partenza a rilento, con qualche pizzico di irritazione di tanto in tanto, come quel maledetto rumore di caricatore di pistola che rimbomba e riecheggia sistematicamente ogni 10/15 minuti. La musica è fortissima, del resto la technopop non è già orecchiabile di suo, se poi la si spara a mille con montaggio frenetico e luci psichedeliche, non si va certo incontro allo spettatore, coinvolto in quel che accadrà ma colto di sorpresa per argomenti e forte impatto visivo.

Il film a tempo decelera con rallenty forzati e urticanti ripetizioni fuori campo di dialoghi già belli che terminati, chiari espedienti del cineasta propedeutici ad immergere lo spettatore nel catatonico stato confusionale regalato dall’assunzione di stupefacenti. Ma non solo, perchè questo modo di girare il film è di per sé un messaggio. Proietta colui che lo guarda nell’angoscia esistenziale provata dagli adolescenti e in quella che si prova standoli a guardare, buttando ingenuamente le proprie vite in un fiume di vomito e birra.

In tutto questo emerge una scena di alta scuola, quando Alien e le sue ragazze cantano e ballano, imbracciando il mitra, la romantica Everytime di Britney Spears, melodica canzone che collide col contesto generale, così come con tutta la formazione musicale del regista, dedito al genere indie.

E’ solo un film, o perlomeno ci auguriamo che lo sia. E’ impensabile che i giovani americani tutti si lascino avvolgere da un turbinio di eccessi, depravazione ed indecenza. Gli studenti hanno il diritto di staccare la spina ogniqualvolta li è possibile, e magari, sconfinare e trascendere perbenismo e assennatezza quel che basta per non essere più se stessi prima di ricominciare la pesantissima routine quotidiana. La Mtv generation è servita, un monito da prendere seriamente in considerazione.