“Sacro Gra”, girone dantesco di varia umanità

Dal nostro inviato Francesco Greco
VENEZIA – Un girone dell’Inferno dantesco, dove la sola regola vigente è l’assenza di regole, l’anarchia totale, l’inventarsi la vita ogni mattina dei suoi abitanti borderline. Scagliato fuori dal tempo e dallo spazio. Senza altra preoccupazione che svegliarsi anche l’indomani, che alla fine si trasfigura in una forma di esistenza, con un suo codice ed estetico accidentalmente trovato e poi coltivato.

   Ecco il Grande Raccordo Anulare, un anello di 64 km. che cinge Roma, e che ha ispirato il docu-film (è la prima volta che la Mostra li accetta e li mette in concorso) “Sacro Gra” firmato da Granfranco Rosi, che è stato accolto con simpatia dalla critica e il pubblico, quasi tutto di ragazzi (anche qui il trend sono gli occhiali a specchio) che hanno messo via i risparmi per essere al Lido, molte le ragazze appassionate di cinema arrivate da tutta Italia (e che vorrebbero lavorare nel cinema: come Matelda studentessa di Farmacia di Firenze, attrice e Ludovica, milanese, aspirante costumista, a Venezia con la mamma). La sera tornano col vaporetto alle loro stanzette dal costo accessibile con lo sguardo sognante.
   Se a Londra incontri il barbone che ad Hyde Park sale su un bidone e recita Shakespeare, a Roma il suo equivalente è l’homeless che dà lezioni al mondo, strologa contro i politici (ci vuol poco!) e ha la ricetta per salvare il pianeta, basta essere disposto ad ascoltare qualche minuto.

   La specie antropologica “on the road” vivacchia fra la puzza delle auto e l’asfalto perennemente arroventato. Scacciata dalla vita, si è inventata un nuovo format per sopravvivere senza cedere alla facile rassegnazione, o alla follia. Questo spirito di adattamento non li ha incupiti, ma li trova sereni ogni mattina al risveglio.
   Il contadino, il pescivendolo (“anguillaro”), il nobile in rovina (citazione del Conte Mascetti, Tognazzi “Amici miei”, Mario Monicelli), il botanico che combatte per salvare le palme aggredite dal punteruolo rosso, l’infermiere dal cuore d’oro che assiste la vecchia madre.  

   Personaggi che sembrano usciti da un film di Fellini tanto sono stralunati, insonni, schizzati.
Disegnati da Dorè. Con una loro grazia nei modi e una dolcezza interiore. Una filosofia di vita. La società li ha rifiutati e loro se ne sono fatta una ragione. Non ce l’hanno con nessuno. E’ l’umanità dolente che ha messo via i sogni e che si sbatte per campare avendo trovato dentro di loro un fuoco, un’energia strana, un mood.

   La modernità li spalma ovunque sul pianeta (effetto globalizzazione della povertà): a Roma vivacchiano anche sul Gra con una dignità e una quiete interiore che stupirebbe il manager di successo, il tycoon, l’operatore in Borsa, il docente univesitario, il politico da intrallazzo. Rosi è stato abile nel cogliere i loro sorrisi naif, gli sguardi sinceri, puliti, la compostezza dei modi, l’eloquio senza eccessi né volgarità. Da oggi in poi ci fermeremo ad ascoltarli qualche minuto interrompendo le nostre giornate frenetiche. Abbiamo molto da imparare.

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