Giochi al pc in ufficio? Da oggi rischi il licenziamento
ROMA - Nessuna attenuante per chi si trastulla col pc in ufficio. Rischia di essere licenziato il dipendente sorpreso a giocare, anche per ore, al computer in ufficio invece di svolgere il suo lavoro. Lo si evince da una sentenza con cui la Cassazione ha accolto il ricorso di una societa' contro un verdetto della Corte d'appello di Roma che aveva dichiarato la nullita' del licenziamento intimato a un dipendente accusato di "avere utilizzato, durante l'orario di lavoro, il computer dell'ufficio per giochi, con un impiego - si legge nella sentenza depositata oggi - calcolato nel periodo di oltre un anno, di 260-300 ore", provocando cosi' "un danno economico e di immagine all'azienda".
I fatti risalgono al 2007: in primo grado, il tribunale di Roma confermo' il licenziamento, mentre la Corte d'appello decise di annullarlo, condannando il datore di lavoro a riassumere entro 3 giorni il dipendente o a risarcirlo con 6 mensilita'. La decisione dei giudici di secondo grado era stata motivata dal fatto che, nella lettera di contestazione, si faceva "riferimento ad un solo episodio concreto", restando cosi' per il resto "generica e tale da non consentire al lavoratore una puntuale difesa". La sezione lavoro della Cassazione ha accolto invece il ricorso dell'azienda sottolineando che "l'addebito mosso al lavoratore di utilizzare il computer in dotazione a fini di gioco non puo' essere ritenuto logicamente generico per la sola circostanza della mancata indicazione delle singole partite giocate abusivamente dal lavoratore".
Per la Suprema Corte e' "dunque illogica" la motivazione della sentenza d'appello "che lamenta indicazione specifica delle singole partite giocate, essendo il lavoratore posto in grado di approntare le proprie difese anche con la generica contestazione di utilizzare in continuazione, e non in episodi specifici isolati, il computer aziendale". La Corte d'appello di Roma, dunque, dovra' riaprire il caso "non considerando generica la lettera di contestazione da cui poi e' conseguito il licenziamento", concludono i giudici di 'Palazzaccio'.
I fatti risalgono al 2007: in primo grado, il tribunale di Roma confermo' il licenziamento, mentre la Corte d'appello decise di annullarlo, condannando il datore di lavoro a riassumere entro 3 giorni il dipendente o a risarcirlo con 6 mensilita'. La decisione dei giudici di secondo grado era stata motivata dal fatto che, nella lettera di contestazione, si faceva "riferimento ad un solo episodio concreto", restando cosi' per il resto "generica e tale da non consentire al lavoratore una puntuale difesa". La sezione lavoro della Cassazione ha accolto invece il ricorso dell'azienda sottolineando che "l'addebito mosso al lavoratore di utilizzare il computer in dotazione a fini di gioco non puo' essere ritenuto logicamente generico per la sola circostanza della mancata indicazione delle singole partite giocate abusivamente dal lavoratore".
Per la Suprema Corte e' "dunque illogica" la motivazione della sentenza d'appello "che lamenta indicazione specifica delle singole partite giocate, essendo il lavoratore posto in grado di approntare le proprie difese anche con la generica contestazione di utilizzare in continuazione, e non in episodi specifici isolati, il computer aziendale". La Corte d'appello di Roma, dunque, dovra' riaprire il caso "non considerando generica la lettera di contestazione da cui poi e' conseguito il licenziamento", concludono i giudici di 'Palazzaccio'.
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