Morte di un commesso viaggiatore sul palco del Petruzzelli

di Sabrina Lanzillotti - Il sipario si apre sulla casa di Willy Loman, un sessantatreenne disilluso seduto su di una sedia con accanto due valige. Con lui ci sono i suoi figli Biff ed Happy, due giovani belli e forti che però sembrano non avere alcuno scopo nella vita. Queste le prime scene de “Morte di un commesso viaggiatore”, opera teatrale scritta nel 1950 da Arthur Miller e oggi riproposta da Elio De Capitani.

Durante le tre ore successive, il protagonista ripercorre le fasi più salienti della sua vita, dai sogni giovanili alle sconfitte dell’età adulta. Dagli errori di gioventù alle speranze mal riposte nell’amato figlio Biff, giovane promessa del football che crescendo è diventato un cleptomane, passando per il rimpianto di non aver seguito suo fratello di Africa, Willy non riesce ad accettare il fallimento della sua vita e l’umiliazione di non riuscire a provvedere a sé e a sua moglie, la dolce Linda che gli è completamente devota.

Quella del signor Loman è la storia di un uomo sconfitto dalla vita, ma è anche la storia dello sgretolamento del sogno americano che lo ha portato a crollare nel baratro, in un mondo di autodistruzione e morte.

Proprio negli anni di maggior espansione dell’ideologia americana, Miller non si fa impressionare dal mito dell’uomo che raggiunge il successo solo con le sue forze, intuendone la forza devastante nel caso di sconfitta. “Morte di un commesso viaggiatore” è la storia di uomo come tanti e di un sogno, 'il solo sogna che un uomo possa avere… quello di arrivare ad essere il numero uno'.

Nonostante sia stata scritta più di cinquant’anni fa, quest’opera è ancora incredibilmente attuale, così come lo sono le paure e le sofferenze del protagonista, al quale è stato tolto il diritto di vivere con dignità. De Capitani dirige i suoi attori con straordinaria maestria e porta sul palco un lavoro ricco di emozioni. Il pubblico è commosso e straziato davanti alle sorti del povero Willy e non può non provare un grande pathos per quella persona tanto, anche troppo, comune.