Bisignani, ecco i potenti nell'Italia di Renzi

di Francesco Greco - “Con Berlusconi non andrò, perché con lui non potrò mai essere il numero uno”: Matteo Renzi da Rignano. Bozza di una filosofia esistenziale, senso della mission mutuata da Carlo Magno. Dettata da un “io” turgido, “autoreferenziale” direbbe Bergoglio (detesta la Kirchner, il prossimo presidente argentino? Forse italiano). Dilatata a “manifesto” politico da quest'altra pillola, da segretario 27enne della Margherita: “Tutte bischerate. Chiamatemi solo quando parliamo di fedeli da premiare”.

A nomine un gigante nell'Eden: bypasserà De Mita e Fanfani, “nominatori” storici e finirà nel guinness dei primati. Illuminante un'altra epigrafe per i posteri: “Sulla figa e sui soldi non mi faranno mai cadere”. Gufi avvisati. Da tavole della legge pure: “La comunicazione è più importante della verità”. Pochi caratteri scolpiti su Twitter dal “primo premier 2.0”.

Renzi desnudo come non s'era ancora visto e non si sospettava nei primi 400 giorni vissuti pericolosamente. Sotto la lente della premiata ditta Bisignani-Madron, che anche ne “I potenti al tempo di Renzi” (da Bergoglio a Mattarella), Chiarelettere, Milano 2015, pp. 240, euro 16.00, svela il background oscurato, rimosso della storia d'Italia e formatta ex abrupto leggende metropolitane e ballon-d'essai. La rottamazione ne esce relativizzata, trucido slogan da brandire, strategia piegata alla tattica, atout che fa un sacco prima repubblica.

A Palazzo Chigi dove “dibattito e condivisione non sono di casa” c'è un mantra: “Lo vuole Matteo”. La sua passione? Nobili e dimore antiche, araldica e stemmi gentilizi. Ama correre in sala-stampa a comunicare al mondo il progetto di legge fresco di cluster, spesso privo di linee-guida (“Sul patto di stabilità mise la fiducia su pagine bianche”) che i suoi ministri hanno approvato al buio (“Datemi solo i titoli”) e che poi Napolitano faceva riscrivere ex novo. Sarà anche il format del bizantino Mattarella? Perché, chiosa Bisignani, la politica oggi è “ritmo e comunicazione”. Infatti “per lui è importante solo il feeling con l'opinione pubblica, tutto il resto lo considera superfluo”. Già, ma comunicare il nulla è rischioso: e se il popolo sgama l'usura, come direbbe Ezra Pound?

Bisignani entra nei palazzi del potere con la grazia dell'elefante in una cristalleria e con una password irriverente, a tratti blasfema, spoglia il Re (“spregiudicato, perspicace”) che chiagne e fotte e disegna il cerchio magico (“giglio fiorentino”) della mappa del potere. Compagni di merendine e zingarate, ma anche new entry di chi balza con scatti di reni alla Jascin sul carro del vincitore zeppo come il 64 sotto Giubileo.

Pole position per quelli della Leopolda: Marco Carrai, Luca Lotti “Lampadina” (“Prezzemolino”, “ernarca dè noantri”, compra le pizze margherita per Matteo, che mangia direttamente dal cartone “sennò si raffreddano”) e Maria Elena Boschi (a nomine ormai è autonoma, si muove pro domo sua), insieme alla “Vigilessa” Manzione e a Francesco Bonifazi (liaison con la Boschi nel cv, tesoriere, sta al Nazareno per contrastare i complotti orditi da un D'Alema ancora con la crostata in bocca che al confronto di Renzi pare l'educanda di Cemak ai primi petting).

Una piccola corte di “mandarini” think-thank, un Granducato in 16mi di “beatificati”, fidelizzati, unti da un divo diffidente, che s'è portato dalla Toscana “massone”. Ruoli importanti anche per il guru israeliano dell'economia Yoram Gutgeld: sua l'idea degli 80 euro, mentre quella del camper è del regista Fausto Brizzi (“La notte prima degli esami”): a casa sua don Matteo si rilassa.

Ideologicamente contigui: Oscar Farinetti Eataly, qualche banca (Unicredit, Intesa Sanpaolo), i Ghisolfi (industria chimica), il raider Davide Serra (Algebris), che colleziona foto di Nobel e una fantomatica spectre internazionale cui Bisignani però non crede e fa restare Renzi in una teca provinciale. Tutto oro quel che luce? Quando mai? L'incantesimo è ombrato da gelosie alla “Mamma, lo vedi quello?”. Fra la Boschi e la Bonafè (la Simona è scappata a Bruxelles), e carsica tra la pasionaria tutta panna (nasce bene, area banche popolari, habitué del salotto-De Benedetti) e la Madia di casa al Quirinale. Star in carriera, avide di luci della ribalta. Scintille anche fra i ministri Padoan e Poletti. Arsenico, pugnali, merletti: Guelfi e Ghibellini politically correct: citazioni 2.0 del caffè corretto di Sindona e gli intrugli dei Borgia.

La mamma di Renzi Stefania è una baciapile anticomunista, il padre Tiziano uomo di mondo, Bisignani non crede che la massoneria entri nella parabola di Renzi, che con la moglie Agnese Landini nasce cattolico dell'Agesci, scout tutto campi e fogli universitari e, schiappa a pallone, opta per il ruolo di arbitro, anche se i movimenti son goffi e sgraziati, da “ex cicciottello”.

Dal febbraio 2014 vive in un appartamento disordinato ma confortevole. Pochi incontri selezionati, più che altro clientes. Alle 21 Palazzo Chigi (arrivò e tolse le cialde del caffè) è “extra omnes”. Adora fare editing sui pezzi prima della stampa, dopo il proto. La mail gliela gestisce il comunista Pilade Cantini: passa solo quelle buone. Ha un fotografo di fiducia, Stefano Guindani, mago del fotoshop che anni fa fece sparire la pancetta dai manifesti elettorali, ”Renzi lo benedice ancora oggi”. Ossessionato dall'immagine, narcisista (“Ama primeggiare”), al confine del culto della personalità (come Craxi e Berlusconi) gestisce le riprese da dare in pasto al popolo bue. L'operatore è Tiberio Barchielli, ex autista. Nero sulle contestazioni, sbianchettate le amicizie ambigue: Michael Ledeen appare in tutti i misteri italiani.

Gli Usa non lo amano (nonostante i 90 F35), freddi i report dell'ambasciata (ma lui cura la Clinton, già la vede dopo Obama), e manco Putin, in luna di miele con B. e Prodi, né l'azzimato Cameron. La Merkel sta in campana e per tenerla buona sui conti Renzi usa Draghi. Poca simpatia anche in Vaticano: dicembre 2014, minacciò tagli alla spesa sanitaria vaticana, niente soldi alle scuole cattoliche. Compilation di gaffe (negli Usa senza passaporto, fuori protocollo in Cina). Non esce senza il kevlar (coperta antiproiettile) con cui la scorta dovrebbe proteggerlo dai seccatori (di solito mostrano affetto con statuette e treppiedi).

Perché l'anno scorso affrettò lo sfratto di Letta con l'ok del Colle? Bisignani pensa male ma c'azzecca: il semestre Ue (un flop: a gennaio 2015, a Strasburgo, davanti a quattro gatti, sbroccò) e le nomine delle aziende pubbliche (Ferrovie, Poste, Eni, Enel, Finmeccanica). In scadenza, voleva gestirle in proprio (anche se considera i cv carta da chiodo). Micidiale nel posizionare gli adepti come nell'oscurare chi pensa ostile alla causa: da rivoluzione in un solo paese. Il capolavoro è stato Mattarella, con cui ha rottamato una hit di ingenui: Finocchiaro, Rutelli, Casini, Fassino, Amato, di nuovo Prodi: belli addormentati nel bosco cui sfuggiva lo stupro filologico nell'hashtag “stai sereno”.

Ora c'è da okkupare la Rai, I care. Retroscena, curiosità, aneddoti illuminano le quinte da quando R. trovò il vello d'oro e scese in campo (“Da uno a cento quanto gli piace Palazzo Chigi?” “Mille”). E ora cosa fa? “Quello che ha sempre fatto: piazzare i suoi uomini, distruggere quelli che ritiene avversari e tarpare le ali a quelli che emergono troppo e rischiano di fargli ombra”.

Altri potenti scannerizzati: Bergoglio sovrappeso, Mattarella “freddolosissimo”, Salvini “tirchio di prima categoria” tutto felpe, icona gay suo malgrado, misogino che quando Elisa Isoardi fece outing la compagna Manuela lo buttò fuori di casa.

E l'immancabile cantastorie che, dice Bisignani, ha fatto autogol stracciando il Patto del Nazareno, giocandosi così “un provvedimento fiscale e uno sulla prescrizione”, mentre, ostaggio della “scugnizza” e la “badante”, tra un botulino e l'altro pensa alla successione: in stand-by Marina (“in questi anni ha seguito suo padre e la politica”), Barbara e il tosco Paolo Del Debbio “recalcitrante all'idea”. “Uomo di pancia e di mente”, i servizi sociali hanno restituito un altro B. A Cesano Boscone cambiava i pappagalli ai nonni, un paio gli sono spirati in mano. La pappa reale gli serve a tener buono Brunetta, che di Renzi dice è un “azzardo morale”, ma il divo tratta con Confalonieri, specie sulla Ei Towers: Rai e Mediaset, arretrate tecnologicamente, costrette alle nozze con i fichi secchi.

Da un saggio cosparso di ironia, qua e là spruzzato di vetriolo, emerge l'Italia post-ideologica, familistica, arruffona, malmostosa dei film di Sordi, l'inciucio peripatetico, il consociativismo selvaggio, dove l'etica è accomodata come la coperta di Linus e il richiamo della foresta è forte. Bisignani si conferma gran conoscitore del dna italico: legge gli uomini e gli anfratti del potere e sottopotere, fruga nei grumi sociologici e semantici con zoom e piani-sequenza neorealistici. Sospeso fra storia e antropologia, s'inventa un clichè analitico poco usato dagli italians che, pregni di ideologia e annebbiati dalla militanza, si affezionano a tesi intrise di pregiudizi che portano lontano nelle fiabe, in vicoli ciechi di verità autoconsolatorie, plaghe infide di zanzare e menzogne canforate.

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