Bisignani, l'uomo che sussurra ai potenti

di Francesco Greco - Visti da vicino, per narrare gli ultimi 30 anni di storia patria. Andreottiano col format-Andreotti (ossificato in un archetipo nell'approccio politico), attraverso una gallery polisemica, planetaria, escatologica e oggettiva. Ritmo incalzante, senza pudori, cadute di ritmo, visioni deformate. Svela il sottosuolo, penetra la carne viva e il background del sistema-Italia.

Fasci di luce impietosa raccontano l'humus di ieri dilatato sino all'oggi: come siamo giunti al Basso impero spettacolo quotidiano. Fummo la quinta potenza, oggi la tigre di carta s'accartoccia su se stessa, prona ai diktat della troika, e intanto “la gente ha fame e ha paura”. La crisi economica, culturale, politica, morale che passa oltre i tweet in un clima da ultimi giorni a Pompei, Atlantide che s'inabissa mestamente.

Un filo rosso, dice questo saggio, unisce la prima alla seconda Repubblica: un mondo vivo pur se lacerato da contraddizioni giunto al crepuscolo tra ambiguità, voracità di denaro, bulimia di potere, bizantinismi: atout da pensiero meridiano.

Arazzo sapido ordito con scampoli del Novecento, “secolo breve” e “ismi” (l'ideologia è the end, sopravvive il super-ego, l'arraffo, la carriera, la casta dei “nominati”) nel secondo tempo, il transito nel renzismo senza stile, che surroga il peggio della Prima repubblica, con i barbari che premono all'orizzonte Nord, e falangi dell'integralismo islamico a Sud.

“L'uomo che sussurrava ai potenti”, di Luigi Bisignani e Paolo Madron, Chiarelettere, Milano 2013, pp. 336, euro 9, ebook 5,99, è un libro anche pedagogico (da adottare nelle scuole). Preceduto da un'aura di chiaroscuri cucitagli addosso – sorte di chi esce dal coro - da invidiosi e smemorati, Bisignani si rivela un curioso della fauna umana.

Formazione aristotelico-illuminista, guarda la realtà e la vede com'è, senza pregiudizi etici, né ideologie castranti, rifugge da complotti e dietrologie italian style: collega le tessere del mosaico. Memoria elefantesca, sguardo del falcone federiciano, vede il fumo e non si limita a dire che arde il fuoco ma ricostruisce il canovaccio, i retroscena e condisce il tutto con aneddoti inediti, restituisce un dagherrotipo implacabile sulle ansie (da prestazione, il suicida Raul Gardini, Gotti Tedeschi. Geronzi) dei potenti, tic, manie, debolezze (ossessione del sesso dietro le Sacre Mura) e tutto ciò che è la condizione umana da Neanderthal a Twitter.

Diplomatico sublime, Bisignani ha la lente dell'entomologo, modulazione sospesa fra sociologia, psicologia, antropologia, anche psicoanalisi: illumina gli snodi storici più pregni di pathos, tormentati, misteri su cui si è scritto a fiumi, osserva uomini e cose, fatti e misfatti che chi è sfatto di cultura umanistica (con levità lo rimprovera all'intervistatore), i più, è topos culturale, legge con lo sguardo viziato di moralismo.

A 10 anni sta a Buenos Aires (il padre è manager Pirelli), la casa è un salotto, ci passa la miglior gioventù dell'epoca: Montanelli, Andreotti, Peron e Isabelita. La Domenica delle Palme legge alla messa in Vaticano celebrata da Paolo VI: ha 17 anni. Buzzo del giornalismo (non quello burocratico d'oggi, tette e veline): gavetta al “Mezzogiorno”, poi “nera” all'Ansa. 62 anni, 4 figli, una madre adorata, si definisce “battitore libero senza padroni né padrini”, per gli amici a San Pietro “stimolatore di intelligenze”. Suo modello sottinteso dev'essere Richelieu, o Arafat.

Visionario, disincantato, narcisista come chi ha potere, il cui esercizio, leggenda metropolitana vuole che sia più eccitante del sesso. Ecco Alfano superstizioso, la bellissima Rosi Greco, Berlusconi che detesta l'aglio e “non è un uomo di potere”, ma s'abbocca con De Benedetti per il ”fondo salva-imprese”, De Michelis, Altissimo, Martelli “avanzi di balera”, Andreotti che “assolve” B. per le cene eleganti: “Chi è senza peccato...”, Monti “genuflesso verso il potere”, i soldi di Mosca al Pci, Bergoglio e l'incubo dei poveri, la bestemmia di Verdini, Gorbaciov che non poteva incassare l'assegno del Premio-Fiuggi, lo sfondo storico del caso-Moro (intrigato dai servizi segreti), fondi neri Iri, tangente Enimont, quando Cuccia andò in un bordello di Varsavia, i soldi del Vaticano a Walesa e  di George Soros a Charta 77, i cont(r)atti con Gheddafi, Tangentopoli “gli ultimi giorni del capitalismo italiano”, i “cani da riporto”, i dossier non bruciati, Carlos Slim lo riceve al “Danieli” di Venezia in una stanza spoglia, Di Pietro, Grillo “attenzionati” dagli USA e poi le nomine ai vertici di FFA, banche, gruppi industriali, ecc.

Madron perde un'occasione di platino per due domande aspre: che fine ha fatto l'archivio di Andreotti? L'agenda di Moro? C'è qualche nome non emerso nelle inchieste sul suo omicidio, magari ancora vivo? B. quanto nasconde all'estero nei paradisi fiscali? Dettagli sul patto Stato-mafia? Chi sono i colleghi in grembiule e cappuccio, in quali testate operano?

Da oggi comunque leggendo il giornale sapremo decodificare i segnali che i potenti si mandano, quelli in ascesa e in caduta, veline, bufale, polpette avvelenate. Bisignani meriterebbe la cattedra di Semiotica a Cambridge, quella vera, non da bancarella rionale cui ci ha abituati la tv, da cui si tiene prudentemente lontano: forse per non diventare un brand paghi 2 porti via 3, ma anche per dar ragione a De Gaulle: “Niente rafforza l'autorità quanto il silenzio”. Da tramandare ai posteri.