Kent Haruf, se l'America muore senza “Benedizione”

di Francesco Greco - Dad Lewis ha fatto il commerciante per tutta la vita mandando avanti un negozio di ferramenta, l'unico a Holt, cittadina della provincia americana (Colorado, fa pensare a “Paris, Texas”). Era il sogno della sua vita e lo ha realizzato. American dream, un archetipo.
Ora ha 77 anni e sente che non gli resta molto da vivere: ha una malattia che non perdona. I fotogrammi della sua esistenza gli appaiono nitidi come fotogrammi, in primo piano i fantasmi, gli errori, i rimpianti, i sensi di colpa. L'agonia diviene così un redde rationem con se stesso, un bilancio che la memoria ha attivato, implacabile come una seduta psicanalitica: tutto il rimosso torna a galla, incluse le ombre dei genitori trapassati (ma anche dei vivi, il figlio Frank, gli addetti che mandano avanti il negozio).

Tutto è enfatizzato, il suo sguardo febbricitante dà importanza a cose grandi e piccole di cui non si era mai curato: il dissidio col figlio gay, che non si fa vedere da anni, la vedova Tanya il cui marito, Clayton, lavorava in negozio e sorpreso a rubare, si è suicidato (gli si offre ma Dad ha la sua morale), la bimba dei vicini, Alice, che vive con la nonna Berta May dopo essere rimasta orfana (altro cancro): ha la pelle liscia e fresca che Dad vuole assolutamente toccare (e lo farà in cambio di qualche dono) prima del viaggio che incombe.

Sublime romanzo (fa parte della trilogia della pianura) di Kent Haruf, “Benedizione”, NNEditore, Milano 2015, pp. 280, euro 17. Lo stile dimesso, sommesso, piano, caratterizza la prosa di Haruf (1943-2014), scrittore che richiama il tormento dei personaggi dostoevskijani ma anche il dolore irrisolto di Faulkner, il minimalismo di Jhon Steinbeck, la quotidianità di Erskine Caldwell o di Pearl S. Buck.
L'oscura e operosa provincia USA, patriottica e moralista, soffocante, crepuscolare, stereotipizzata, da cui Frank (che si fa chiamare Franklin) fugge con la sua inquietudine dai tarli che consumano la vita, avvelenano i giorni, finendo col fare lavori inutili e col non farsi trovare quando la madre lo cerca (ma non la sorella).

Anche Lorraine, la figlia di Dad ha avuto il suo trauma: la bambina è stato ucciso in un incidente stradale: un lutto mai elaborato: aveva 16 annii ma che non l'ha inacidita. É poi c'è il pastore Rob Lyle, che si rovina con un curioso, originale sermone che irrita i benpensanti che vogliono essere solleticati nelle loro certezze, benché infime, le Jhonson, la madre Willa e la figlia Alene, entrambe ex insegnanti: la prima è rimasta vedova troppo presto e la seconda è stata l'amante di un preside ammogliato che non ha mai voluto divorziare dalla madre delle sue due bambine, che anzi è riuscita a trovarla in un supermercato per schiaffeggiarla davanti a tutti.

Insomma, in un universo spossato, ognuno trascina il fardello della sua esistenza, che gli opprime il cuore, accettandolo come una sorta di contrappasso dantesco per il solo fatto di essere nati direbbe Cioran, una continua espiazione, un peccato originale indelebile: echi di dolori mai sopiti, ferite mai richiuse del tutto. Uno dei passaggi più belli è quando tutte le donne decidono di fare il bagno, dalla formosa Lorraine (“era bianca come il latte e aveva grandi seni”) alla bambina Alice dal corpo spigoloso e acerbo (“aveva le scapole appuntite”), sino ai bellissimi capelli della vecchia Willa Jhonson (“lunghi, voluminosi e lucenti”). Un sorta di battesimo con cui esorcizzano fantasmi e paure, come se l'acqua donasse loro un vigore interiore inattaccabile: un guizzo di vitalità in un mondo malato.

La bellezza e la dolcezza di “Benedizione” - che ha snodi commuoventi e aspri, come la vita - fanno riflettere su un fatto oggettivo: ormai solo i piccoli editori fanno recruiting nella narrativa di qualità, la letteratura con la “elle” maiuscola. I grandi si sono arresi al consumo facile facile, al profitto e creano best-seller. Cosa resterà, dinanzi a tale trend, della letteratura del XXI secolo? Eppure basterebbe una bambina con la sua bicicletta a scompaginare il mondo codificato che abbiamo messo su, senza più socialità: prede della solitudine delle piazze virtuali, viviamo dorate solitudini. Impotenti, rassegnati.

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