Una lezione morale e civile: tre uomini che hanno ascoltato le loro coscienze

di Alessandro Nardelli - Libertà e giustizia sociale, le coordinate, quanto nella politica, come nella vita civile ed economica che hanno contraddistinto la storia di tre italiani del Novecento, che par giusto rievocare per taluni aspetti che, nel degrado della modernità liquida, figurano da moniti educanti. Si tratta di “eredi” della tradizione libertaria dell’Ottocento e primissimi del Novecento,a vario titolo presenti nella lotta partigiana e nella ricostruzione dell’Italia post-bellica, Sandro Pertini, Enrico Mattei e Adriano Olivetti.A settant’anni di storia repubblicana meritano di essere ricordati per il loro decisivo contributo ed impegno sociale,politico, economico.

La giustizia sociale in uno Stato libero deve avere due essenziali obiettivi: il godimento delle più ampie libertà individuali garantite ad ogni cittadino, compatibilmente con quelle degli altri e, di pari importanza, l’uguaglianza sociale ed economica, con particolare attenzione ai meno avvantaggiati nella società, anche con forme premiali e garantiste. Tali obiettivi, devono poter essere favoriti, in modo che si possa ragionevolmente presumere che essi vadano nel senso dell’interesse di ognuno e che siano connessi ad impegni e responsabilità accessibili e comuni a tutti.

Alessandro Pertini, detto Sandro, partigiano, avvocato, giornalista e politico socialista ed antifascista, già Presidente della Camera e settimo Presidente della Repubblica Italiana, lo si può definire come un “combattente per la libertà”, eminente rappresentante delle istituzioni e simbolo di unità nazionale. Egli ha pagato con la prigionia e il confino, per far sì che si affermassero e trionfassero i suoi ideali di integrale libertà, giustizia sociale e pace.

Pertini nasce in provincia di Savona a Stella San Giovanni, il 25 settembre 1896 da Alberto Pertini, un proprietario terriero e Maria Muzio, la madre alla quale per tutta la vita, sarà intimamente legato. Durante gli studi liceali subisce l’influenza del suo insegnante di filosofia Adelchi Baratono, socialista, collaboratore della “Critica sociale” di Filippo Turati. Pertini consegue la prima di due lauree, quella in giurisprudenza, presso l’università di Genova avviandosi subito all’attività forense. La seconda la ottiene anni dopo in Scienze Politiche. Nel 1917, chiamato alle armi, viene inviato in qualità di sottotenente di complemento sul fronte dell’Isonzo e sulla Bainsizza un altopiano carsico a nord-est di Gorizia, tristemente noto all’esercito italiano per la disfatta di Caporetto. Il combattente Pertini, si disimpegna in maniera valorosa e temeraria, tanto da venire proposto per la medaglia d’argento al valor militare, per il suo fondamentale ruolo di guida durante l’assalto al monte Jelenik.

Al ritorno dalla guerra, inizia la militanza attiva nelle fila del partito socialista italiano. In quegli anni si trasferisce a Firenze ospite del fratello Luigi e nel 1924 entra a far parte del circolo delle personalità osteggianti il fascismo, che vedrà assieme a lui, i fratelli Rosselli, Guido Rossi e Gaetano Salvemini. Il 10 giugno 1924, data dell’assassinio di Giacomo Matteotti, lascia in Pertini una traccia indelebile che alimentano i suoi ideali: s’iscrive al Partito Socialista Unitario e per le sue idee, sempre professate, subisce il violento attacco e la distruzione dello studio professionale condiviso con l’avvocato Giovanni Pera.

Oggetto di continue rappresaglie squadriste, Pertini nel 1925, per volantinaggio sovversivo,viene tratto in arresto per un anno. Condannato l’anno successivo al confino per cinque anni sull’isola di Santo Stefano, per la sua opera di fiero e indomito oppositore al regime Fascista. Resosi irreperibile e sottrattosi alla cattura, egli prima si sposta a Milano, quindi fugge clandestinamente in Francia assieme a Filippo Turati, padre del partito dei lavoratori italiani poi Partito socialista italiano, con l’aiuto di Carlo Rosselli, teorico del socialismo liberale e di Adriano Olivetti.

Internato nel carcere dell’isola di Santo Stefano, dopo poco più di un anno di detenzione, il 10 dicembre 1930, Sandro Pertini è trasferito, a causa delle precarie condizioni di salute, alla “Casa Penale” di Turi, dove conosce, di persona, Antonio Gramsci. Nasce fra i due una grande amicizia e affinità intellettuale che si approfondisce con la comune condivisione delle sofferenze della prigionia.

Nel 1932 Pertini, a causa delle precarie condizioni di salute, viene trasferito al sanatorio giudiziario di Pianosa. Sua madre Maria, presenta domanda di grazia alle autorità. Mail figlio non riconoscendo l’autorità fascista e quindi il Tribunale che lo aveva condannato, si dissocia pubblicamente dalla domanda di grazia affermando: “la domanda di grazia in mio favore mi umilia profondamente”.

Il 10 settembre 1935, dopo sei anni di prigionia, viene trasferito a Ponza come confinato politico e il 20 settembre 1940, pur avendo ormai scontato la condanna, giudicato “elemento pericolosissimo per l’ordine nazionale”, viene riassegnato al confino per altri cinque anni, trascorsi prima alle Tremiti e poi a Ventotene, dove incontra Altiero Spinelli, Umberto Terracini, Pietro Secchia ed Ernesto Rossi.

Liberato dopo la caduta di Mussolini, il 25 luglio 1943 è a Roma, impegnato nella ricostruzione del Partito Socialista con Pietro Nenni e Giuseppe Saragat. Nella Capitale partecipa alla difesa contro i tedeschi a Porta San Paolo, motivo per il quale nel 1945, viene insignito della medaglia d’oro al valor militare.

Il 5 ottobre 1943 viene catturato dalla SS assieme a Saragat e condannato a morte per l’attività partigiana. La sentenza non viene eseguita, grazie all’intervento tempestivo delle “Brigate Matteotti”, che, il 25 gennaio 1944, rendono possibile la fuga di entrambi i condannati dal carcere di “Regina Coeli”, grazie all’intervento di Giuliano Vassalli.

Una volta liberato Pertini raggiunge Milano assieme all’amico Saragat e diviene segretario del Partito Socialista nei territori occupati dai tedeschi, partecipando attivamente alla Resistenza. Conosce così Carla Voltolina, staffetta partigiana, che sposerà con rito civile nel 1946.

Conclusa la lotta armata, nell’Italia ormai libera, si dedica alla vita politica e al giornalismo sulle colonne de’ “L’Avanti” da lui diretto dal maggio 1949 all’agosto del 1951.

Nel 1945 è nominato Segretario del Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, carica che ricopre fino al dicembre dello stesso anno. Eletto alla Costituente, è poi senatore nella legislatura repubblicana (1948-1953) e riconfermato nel 1958. Più volte deputato, ricopre la carica di vice Presidente della Camera tra il 1963 e il 1968. Dal 5 giugno 1968 al 4 luglio 1976 è apprezzato Presidente dell’Assemblea di Montecitorio per il suo carisma super partes.

L’8 luglio 1978, Sandro Pertini viene eletto settimo Presidente della Repubblica Italiana, al sedicesimo scrutinio con 832 voti su 995, il più alto numero di preferenze mai ricevuto da un eletto. Svolge il suo incarico con grande equilibrio ed efficacia, guadagnandosi ampio consenso popolare e notevole considerazione internazionale. A pochi giorni dalla conclusione del suo settennato, precisamente il 29 giugno 1985, rassegna le dimissioni dalla carica presidenziale, nell’intento di facilitare l’elezione del successore. Da quel momento è Senatore a vita in qualità di ex Presidente della Repubblica. A seguito della complicazione per una caduta, muore a Roma nella notte del 24 febbraio 1990.

Altra figura di italiano eminente che ha contribuito a costruire l’Italia repubblicana è Enrico Mattei. Politico e imprenditore, si può parlare di lui come di un “capitalista etico”, che nelle sue alte responsabilità ha anteposto alla mera speculazione, l’impegno per l’indipendenza economica e il bene comune del Paese.Egli è stato influenzato fortemente dalla nuova teoria cristiano-sociale secondo la quale, l'imprenditore cristiano, deve svolgere una missione sociale, avendo conseguentemente responsabilità etiche economiche a vantaggio del popolo.Con un modo di operare a suo modo rivoluzionario, Mattei fin da subito,ha deciso di portare avanti, quella che sembrava essere una missione, sfidare gli interessi dell'industria privata in campo energetico, anche a costo di farsi inimicizie pericolose per la sua stessa vita, come infatti accaduto. 

Nasce nelle Marche ad Acqualagna di Pesaro nel 1906 dove vive fino al 1919, quando si trasferisce con la famiglia a Matelica, cittadina prospera e ricca di aziende. Impiegato in una conceria, a diciassette anni, da semplice operaio diviene nel giro di tre anni, direttore della stessa fabbrica.Sveglio e intelligente, molto incuriosito dai misteri della chimica fonda successivamente l’Industria chimica lombarda. Partecipa attivamente alla resistenza durante l’occupazione nazista, avvicinandosi come rappresentante DC nel comando militare del CLN, posto rimasto vacante dopo l’arresto di Galileo Vercesi. Finita la seconda guerra mondiale diventa vicepresidente della Federazione italiana volontari della libertà e ottiene la nomina a commissario straordinario dell’AGIP. Nel 1945 ne assume la carica di vicepresidente - fu in questo periodo che nasce il noto logo dell’azienda petrolifera con il cane a sei zampe - sviluppandone l’attività nella pianura padana, fino alla scoperta degli importanti giacimenti di Caviaga e Cortemaggiore.

Eletto deputato nelle liste della Democrazia cristiana nella prima legislatura (1948-1953), Mattei diviene presidente dell’ENI, e cerca di liberare l’azienda dalla morsa dalle grandi multinazionali statunitensi per gli approvvigionamenti, mosso da un interesse verso il bene comune, che lo porta a difendere quella che è di fatto la caratteristica più nobile e di valore dell’ENI: la sua natura pubblica. Viola dunque il regime di monopolio assoluto che imperava allora nel settore degli idrocarburi, riuscendo a concludere inizialmente, accordi con i paesi produttori: Iran, Marocco, Egitto ed Algeria, proponendo loro un margine di guadagno pari al 75%, concessione impensabile da parte delle 7 Sorelle. Per questo motivo, le grandi compagnie petrolifere, cinque americane e due britanniche, che si spingevano al massimo fino al 50% di profitto totale, vedono in Enrico Mattei e la sua politica antimperialista, una grave minaccia per la tenuta e la sopravvivenza stessa del loro monopolio. Il Presidente dell’ENI, con questa scelta vincente diviene così stimato interlocutore dei paesi produttori, esponendosi in prima persona, come nel caso della lotta per l’indipendenza algerina dalla Francia, da lui dichiaratamente sostenuta e finanziata e che gli valgono le minacce da parte dell’OAS, (Organisation Armée Secrète). Successivamente punta sull’Urss per stipulare importanti accordi commerciali, affrancandosi definitivamente dal giogo delle 7 Sorelle e divenendo un uomo troppo scomodo per i poteri forti che lo avrebbero preferito morto piuttosto che vivo.

L’onorevole Enrico Mattei, conscio che la sua vita è a rischio, parte per la Sicilia, il 26 ottobre 1962, salutando la moglie e confidandole che non era certo che sarebbe ritornato da quel viaggio.La sera del giorno dopo, il 27 ottobre, il Morane-Saulnier MS-760 Paris I-SNAP su cui viaggiava di ritorno da Catania, precipita nelle campagne di Bascapè (Pavia) provocando la morte di tutti gli occupanti: Mattei, il pilota Irnerio Bertuzzi e il giornalista statunitense William McHale che doveva intervistarlo. Secondo alcuni testimoni, l’aereo sarebbe esploso in volo.

Infine, Adriano Olivetti,in questo trittico di italiani integerrimi che meritano partecipata riconoscenza,si caratterizza per la forte caratura imprenditoriale e sociale, che lo ha visto spendere il suo genio, per la costruzione definita da alcuni all’inizio “utopica” e “inattuale”, di un progresso umano saldamente fondato su pilastri di equità e solidarismo. Egli ha avuto l’ambizione di rivedere il concetto di società, ripensandola a partire dalla partecipazione dal basso, l’alternativa all’individualismo capitalistico.Avendo una motivazione religiosa di fondo nel suo pensiero, un Cristianesimo “altro”per il suo tempo che aveva come concetti fondamentali quello di “persona” e di “comunità”.

Olivetti nasce a Ivrea nel 1901, dove suo padre Camillo aveva fondato ai primi del secolo l'omonima fabbrica di macchine da scrivere. Dopo la laurea in chimica industriale al Politecnico di Torino, Adriano inizia a lavorare nell’azienda di famiglia come operaio. Dopo un soggiorno negli Stati Uniti nel 1925 introduce negli stabilimenti una nuova organizzazione del lavoro, che mettendo al centro del processo il lavoratore e le sue esigenze, rappresenta una novità assoluta in Italia: la produttività, per Olivetti, è strettamente legata al livello di motivazione dei lavoratori e alla loro partecipazione alla vita dell’azienda. L’impegno all’interno dell’azienda cresce - nel 1932 è direttore generale, nel 1938 presidente - e si moltiplicano le innovazioni e gli esperimenti: alla fine degli anni ‘40 l’orario di lavoro è ridotto di tre ore a parità di stipendio; nel 1948 crea il Consiglio di Gestione, organo lavoratori-azienda per finanziamenti a servizi sociali ed assistenziali. Negli anni ‘50 realizza con Luigi Cosenza la Fabbrica Olivetti a Pozzuoli, una sintesi di industria moderna e giardino mediterraneo. Accanto ai successi aziendali, l’azienda Olivetti diventerà una multinazionale, producendo sia la prima macchina da scrivere portatile (1932) sia il primo calcolatore elettronico italiani (1959). Olivetti è anche impegnato come editore (Edizioni di Comunità, la rivista Urbanistica) e uomo politico (è sindaco di Ivrea nel 1956 e deputato nel 1958). Muore improvvisamente nel 1960 in treno mentre ritorna da uno spostamento per lavoro.

Pertini, Mattei e Olivetti consideravano indispensabile per lo sviluppo di un Paese il rapporto costruttivo nella società con i giovani, vero capitale da spendere per un futuro di prosperità e crescita. Il dialogo, l’impegno e le prospettive politico-economiche e sociali, pur partendo da esperienze e storie personali differenti, li hanno accomunati in programmi e realizzazioni del buon governo, destinati ad aprire piste insperate e a suscitare entusiasmo e seguito d’ideali e di modelli nella ricostruzione post bellica con una lungimiranza e una capacità di precorrere i tempi profetica ma non per questo utopica. L’Italia di oggi deve a loro gratitudine per genialità, coraggio e fedeltà a ideali di libertà, giustizia sociale e ricerca del bene comune. Siamo davanti a personali esempi di onestà e rettitudine, nella vita pubblica e nel loro quotidiano vivere fra i contemporanei, da additare proprio come modelli di incisivo riferimento alle generazioni dei nuovi cittadini della nostra Nazione, in un tempo ancora difficile che è di forti contraddizioni e formidabili trasformazioni epocali.

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