Giornata della Memoria: quando Ebrei e Polacchi arrivarono nel Salento

di Francesco Greco - Con la fine della guerra, paradossalmente, la diaspora di Ebrei e Polacchi divenne più acuta e dolorosa. Scampati ai campi di sterminio di Dachau, Auschwitz o Treblinka, gli Ebrei giunsero nel Salento con un sogno nel cuore: la Palestina. I Polacchi, invece, non vollero tornare in patria perché temevano Stalin, che aveva fatto seppellire nelle fosse di Katyn (1940) la migliore gioventù e non aveva mosso un dito per difendere Varsavia dai nazisti (1944). Anche loro sbarcarono in Salento. Aprirono scuole di ogni tipologia con l'intento di preparare la classe dirigente del futuro e poi fare ritorno.

In occasione della Giornata della Memoria, ne parliamo con la scrittrice pugliese Tina Aventaggiato, che ha approfondito queste tematiche nel romanzo storico “L'occhio guarda a Sion”, appena pubblicato (gennaio 2016) da Salomone Belforte, editore in Livorno sin dal 1805.

Domanda: Dottoressa Aventaggiato, da dove venivano e perché gli Ebrei giunsero nel Salento?
Risposta: Gli Ebrei che, dal 1945 al 1947 sostarono nel Salento, erano quelli sfuggiti alle persecuzioni naziste. Alla fine della guerra, tutti i campi di prigionia, di lavoro e di sterminio venivano chiusi e i prigionieri aiutati dagli Alleati a tornare a casa, nei loro paesi. Molti Ebrei sopravvissuti non vollero tornare nei luoghi, specie in Germania, dove l’amico li aveva traditi e il vicino di casa venduti per poche lire o per impossessarsi dei loro beni.

L’orrore nazista aveva creato in loro un grande bisogno di sicurezza che dava nuovo vigore al sogno mai sopito della Terra Promessa. Questo produsse un grande moto migratorio verso la Palestina e perciò verso i porti dell’Europa meridionale, da cui speravano di imbarcarsi e raggiungere la Palestina, anche illegalmente.

I campi profughi del Salento furono i campi con maggiore concentrazione di Ebrei dell’Europa dell’Est. I campi furono il n. 36 a Santa Cesarea Terme; campo n. 39 a Tricase Porto; campo n. 35 a Santa Maria di Leuca; campo n. 34 il territorio costiero di Nardò, soprattutto Santa Maria al Bagno e Santa Caterina.

D. Perché alla fine della guerra c’erano tanti Polacchi in Terra d’Otranto?
R. La domanda è perché i Polacchi alla fine della guerra restavano nel Salento invece di tornare, come tutti i soldati, a casa loro. Non tornavano in Polonia perché rifiutavano il nuovo governo comunista. L’anticomunismo polacco era di lunga data, ma era stato alimentato ulteriormente dalle vicende della seconda guerra mondiale, l’eccidio di Katyn nel 1940 e la distruzione di Varsavia da parte dei nazisti nel 1944 mentre l’Armata Rossa restava a guardare senza aiutare gli insorti polacchi.
I Polacchi accusavano Stalin di aver ucciso la classe dirigente polacca (Katyn) e di aver permesso la sua eliminazione da parte dei nazisti nel 1944. La Polonia comunista privò Anders e 75 ufficiali polacchi della cittadinanza polacca dal 26/09/1946.
Militari polacchi alloggiavano nei Comuni di Campi Salentina, San Pietro in Lama, Diso, Castro, Marittima, Squinzano, Galatina e Andrano. Nardò ospitò un Ospedale militare. Hanno funzionato Scuole Medie e di specializzazione umanistica a Alessano e a Matino; di agricoltura a Lecce; per ferrovieri del genio polacco a Maglie; a indirizzo scientifico-matematico a Casarano;  Scuole militari a Galatone e a Gallipoli dove c’era anche il Comando.

D. Perché così tante scuole lontani dalla patria?
R. Aprirono in Occidente una rete di scuole, “la piccola Polonia”, con lo scopo di creare velocemente una generazione colta di Polacchi che fosse in grado di governare il Paese quando il governo comunista fosse caduto.

D. I Salentini come accolsero gli uni e gli altri?
I documenti lasciati dagli Ebrei testimoniano che il loro soggiorno nel Salento è stato di rinascita: vivevano finalmente in case vere, al mare e al sole. La sensazione di essere rinati deve presupporre che si sentissero ben accolti. Sappiamo che c’erano scambi di prodotti alimentari tra Ebrei e Salentini. I prodotti a lunga conservazione (scatolame, cioccolata, latte e uova in polvere, ecc...) forniti dall’Unrra (acronimo di United Nations Relief and Rehabilitation Administration) agli Ebrei erano scambiati con i prodotti freschi dei contadini (pomodori, verdura, frutta fresca).
Le sarte salentine cucivano o adattavano i vestiti che arrivavano nei campi dalle organizzazioni assistenziali. Le testimonianze dei Salentini mostrano che questa vicinanza produceva curiosità su come gli Ebrei vestivano (le donne in pantaloni!), mangiavano, i loro matrimoni, i battesimi.
La diffidenza che ci si aspetta di trovare verso un popolo che, nella vulgata comune del Salento cattolico e della propaganda fascista, aveva ucciso Cristo, non c’è nei ricordi dei Salentini che sono entrati in contatto con loro. Bisogna aggiungere però che i proprietari delle case requisite per ospitare gli Ebrei, si adoperarono in vari modi per farli spostare altrove e tornare in possesso delle loro case.
La chiara disposizione all’accoglienza della popolazione contadina del Salento è confermata dai rapporti che questa ebbe con i Polacchi: rapporti amichevoli, innamoramenti, feste in comune.
D’altro lato, nell’immaginario collettivo del Salento, è ancora vivo il sentimento che i Polacchi fossero fascisti. Sentimento alimentato dal fatto che all’esercito polacco furono affidati, a fine guerra, compiti di ordine pubblico e nelle elezioni del 1946 alcuni Polacchi furono coinvolti in forme di repressione nei confronti di sedi di partiti di sinistra e di Camere del Lavoro.

D. Dopo 70 anni, cos’è rimasto di quei passaggi e di quelle etnie?
R. Molto poco: tombe con i nomi polacchi nei cimiteri e pochi ricordi. Il linguaggio porta qualche segno, come il mercato dell’usato a Lecce è ancora il mercato dei Polacchi e a Poggiardo, tutt’ora, andare dagli Ebrei significa andare nella parte del mercato settimanale riservato all’usato.
Ma i segni che il Salento sta cercando con determinazione di ricostruire questo momento storico sono evidenti. Pubblicazioni ed eventi che disegnano la nostra identità si moltiplicano. L’assenza del Salento dai libri di Storia ci pesa e stiamo cercando il nostro posto all’interno dei grandi eventi. La scuola chiede Storia. Il Salento ha bisogno di definire la propria identità portando alla luce le orme che ha lasciato nella Storia.

Nella foto, Ebrei in marcia al campo di Santa Maria al Bagno, Nardò (Le)
Per gentile concessione di Paolo Pisacane
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