L'OPINIONE / Riforma costituzionale: così viene ferita la Carta del '48


di PIERPAOLO DE NATALE - Gioia ed euforia tra le fila del governo Renzi, dopo l'approvazione alla Camera del ddl Boschi che riformerà la Costituzione. Piuttosto che riforma, sarebbe opportuno definirla rivoluzione, considerando che non si elimineranno i commi di qualche legge di coalizione, ma si andranno a demolire alcuni elementi cardine della nostra Carta costituzionale.

Partiamo, dunque, dalla prima grossa novità in ambito legislativo. Dite addio al celebre bicameralismo perfetto, quello in cui a votare le leggi erano Camera dei Deputati e Senato della Repubblica. La prima sarà l'unica a poter votare la fiducia, il secondo sarà esautorato dalle proprie funzioni. I membri del nuovo Senato saranno 95 (non più 315) e verranno eletti dai Consigli Regionali. Nel dettaglio, si tratterà di 21 sindaci e 74 consiglieri - indicati alle regionali dagli stessi cittadini, per poi essere ratificati in sede consigliare - più 5 nominati dal Capo dello Stato, che resteranno in carica per 7 anni.

Il nuovo organo parlamentare conserverà piena competenza legislativa solo in materia di riforme e leggi costituzionali. Riguardo le leggi ordinarie potrà chiedere modifiche a Montecitorio, ma l'assemblea non sarà vincolata ad attuarle. Ora, non serve un accademico per comprendere come questa parte del ddl Boschi generi forti perplessità. Innanzitutto va notata la comoda via d'uscita regalata all'orda di consiglieri regionali indagati che, una volta ottenuta la nomina a senatori, godranno di quel simpatico trucco noto come immunità parlamentare. È vero che le carceri italiane hanno problemi di sovraffollamento, ma risolverli in questo modo pare alquanto esagerato. Inoltre, gli iter legislativi regionali non godono di ottima salute, così come sappiamo che l'Italia non pulluli di Comuni virtuosi (la Puglia ne conta appena due). Credete che concedere questo secondo incarico a consiglieri e sindaci potrà migliorare l'odierna situazione? Perdonate il pessimismo, ma all'orizzonte si avvistano solo enormi iceberg di inefficienza nello svolgere entrambi i ruoli.



Altra chicca offerta dal governo è l'abbattimento dell'autonomia legislativa conquistata a fatica dalle Regioni con il celebre art. 117 della Costituzione. Infatti, oltre a riservare nuove materie all'esclusiva competenza dello Stato, il ddl stabilisce che la Camera potrà anche approvare leggi nei campi di competenza delle Regioni col pretesto della "tutela dell'unità giuridica o economica della Repubblica".

Stabiliti nuovi quorum (più alti) per l'elezione del Presidente della Repubblica, che continuerà ad essere eletto da entrambe le assemblee parlamentari. Più importanti, invece, le novità in ambito referendario. Per i referendum in cui siano state raccolte 800 mila firme, sarà sufficiente un quorum pari alla metà dei votanti delle ultime elezioni politiche e non alla metà degli iscritti alle liste elettorali, come previsto quando le firme raccolte sono 500 mila. Inoltre, triplica il numero di firme necessarie per presentare un ddl di iniziativa popolare, da 50 mila a 150 mila.

Infine, tralasciando alcune modifiche di minor rilievo apportate alla disciplina della legge elettorale e dell'elezione dei giudici della Corte Costituzionale, arriviamo a due grandi abolizioni. Cancellate dall'ordinamento amministrativo le Province e abrogato definitivamente il Consiglio Nazionale Economia e Lavoro (CNEL), avente rilevanza consultiva e competenza legislativa in ambito economico e lavorativo. Un organo costituzionale sopravvissuto a quasi 70 anni di storia repubblicana, ora mandato allo sfasciacarrozze da una riforma che ha osato infliggere ferite mortali alla legge fondamentale dello Stato italiano.

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