Veloce come il vento: la recensione

di FREDERIC PASCALI — Matteo Rovere, in uno dei suoi primi lavori di lungometraggio, azzecca in pieno la partenza e sfodera traiettorie che portano la sua opera a ergersi tra le uscite più interessanti del cinema italiano di quest’anno. Sorretto da una sceneggiatura, dello stesso regista, di Filippo Gravino e di Francesca Manieri, che ha nei dialoghi il suo innegabile punto di forza, il lavoro di Rovere scorre senza pause con la giusta tensione narrativa e la precisa collocazione dei punti di svolta.

La diciassettenne Giulia De Martino è una pilota di grandi speranze e, nonostante la giovane età, già partecipa al Campionato Italiano di Gran Turismo. Durante una delle sue prime gare il padre colpito da infarto muore. Per Giulia è un colpo durissimo che la lascia in una situazione di grave disagio, sola con il suo fratellino Nico. Al funerale del genitore ricompare Loris detto “il ballerino”, il fratello che Giulia non vede da 10 anni, ex pilota di grande talento ma da tempo tossicodipendente e nullafacente. Entrambi hanno qualcosa da dimostrare e da conquistare, faranno un tratto di strada assieme.

“Veloce come il vento” consacra Stefano Accorsi, “Loris”, nella sua forma migliore, quella alla “Jack Frusciante è uscito dal gruppo”, tale da cementare tutte le idee del film di Rovere.

Ben riuscite le riprese della velocità in pista che non hanno nulla da invidiare al corrispettivo cinema di genere e regalano netta la sensazione di trovarsi nell’abitacolo con i piloti. Un po’ debole, e abbastanza scontato, l’espediente del cattivo che propone la corsa clandestina risolutiva. A parte l’effetto dèjà vu, nello specifico non convincono del tutto alcune scelte stilistiche che fanno molto fiction televisiva. Fortunatamente per il regista anche in questo caso l’interpretazione di Accorsi “porta a casa” la lode.

Si comporta altrettanto bene Matilda De Angelis, “Giulia”, che, pur con ancora qualche incertezza, dimostra personalità e versatilità degne di un sicuro grande avvenire.

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