Terrorismo islamico, che fare?

di VITTORIO POLITO — Il terrorismo è un arma feroce ed efficace, violenta e spettacolare, ma anche criminale ed al tempo stesso politica. Esso è un’arma che rappresenta un estremo rimedio per la realizzazione di principi che, in qualche caso, potrebbero essere nobili e condivisibili, ma spesso spara nel mucchio sacrificando cittadini inermi, nel tentativo di raggiungere obiettivi diversamente ottenibili per via pacifica.

Qualche anno fa il Federal Bureau Investigation (FBI) definiva il “terrorismo” l’uso illegale di forza e violenza contro persone o cose allo scopo di intimidire o coercizzare un governo, la popolazione o singoli rappresentanti, finalizzato al raggiungimento di scopi politici e sociali.

Gli esempi sono numerosi e negli ultimi decenni abbiamo assistito ad azioni terroristiche sempre più violente da parte delle brigate rosse, dell’ETA basca, dell’IRA irlandese, delle FARC colombiane, dell’UCK balcanico, fino a giungere ai feroci kamikaze ed ai loro mandatari che compongono il network islamico del terrore che oggi si chiama ISIS.

Un miscuglio indescrivibile in cui lotta di liberazione e terrorismo si confondono fino ad arrivare al terrorista suicida. Nei paesi islamici o nei villaggi palestinesi, anche chi non è direttamente complice, molte volte condivide con simpatia le loro azioni.

La parola “terrorismo” viene così rifiutata per far posto a quella di “Jihad”, ossia guerra santa, ed entrare in un gruppo terroristico, per le donne, significa fare un salto in avanti nello status e nella fede.

“Nella religione islamica - sostiene Leandro Abeille, sociologo del Servizio di Polizia Scientifica - gli uomini appartengono e sono guidati da Dio, senza libero arbitrio. Questo essere strumenti dell’Altissimo si trasforma nella più micidiale forma di lotta contro coloro che non riconoscono Allah e opprimono il suo popolo. In questo crogiolo motivazionale nasce l’idea del terrorista; dal sacrificio per Dio, invece, nasce il terrorista suicida”. La realtà è che il Corano, come il Vangelo e altri testi sacri, propongono messaggi di libertà psicologica e sociale e di giustizia che spesso vengono fraintesi e alterati.

I terroristi suicidi vengono chiamati giornalisticamente kamikaze, che significa “vento divino”, dal nome del tifone che nel 1281 distrusse la flotta mongola mentre tentava l’invasione del Giappone.

Nelle scuole per terroristi, ad esempio, in quelle della Jihad islamica, si insegna ai giovani che non solo è bene uccidere, ma che è anche bene morire e che gli attacchi suicidi sono il modo migliore per colpire efficacemente il nemico. Il precetto coranico invita a combattere e uccidere i pagani che non si sottomettono; e questa è la cosiddetta guerra santa, ossia la contrapposizione armata del mondo musulmano a quello degli infedeli e che di santo non ha proprio nulla.

Beppe Severgnini scrive sul “Corriere della Sera” che il terrorismo islamico «Può e deve essere fermato lanciando una controffensiva culturale. “Propaganda” non è una parolaccia. La storia offre molti esempi di “psychological warfare”, che opera sul sistema di convinzioni e di valori degli avversari, sulle loro emozioni e sui loro motivi. Da Alessandro Magno alla Guerra Fredda, passando per le operazioni britanniche contro i nazisti: qualcosa, anche oggi, bisogna tentare. La narrazione dello scontro – in Europa, in Medio Oriente, in Africa – è lasciata ai carnefici, che così riescono a conquistare nuovi adepti (infiammando soggetti frustrati e menti deboli). Ma la vita è più affascinante della morte: basta saperla raccontare».

Di fatto il fenomeno diventa sempre più complesso e le aumentate difficoltà economiche, dovute a ragioni interne e internazionali, i tassi elevatissimi di crescita demografica e gli interessi economici e politici interni, hanno provocato un fenomeno di rigetto del sistema e della cultura occidentale. Senza considerare che, nella cultura islamica, la religione è l’unica forza che può veicolare il malcontento e incentivare la lotta, anche suicida. Gli stati musulmani integralisti sono, com’è noto, inscindibilmente connessi con la religione, a differenza dello stato laico occidentale.

Insomma, gli occidentali tentano di occidentalizzare l’Islam, gli islamici fondamentalisti delle frange violente si propongono invece di islamizzare l’occidente. E così il gioco continua e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto