NOBEL. Bravo Bob, albagia prima di tutto

di FRANCESCO GRECO - Gli dèi non debbono concedersi, ma negarsi, farsi percepire, adorare: altrimenti precipitano giù dall'empireo e diventano comuni mortali. Col rischio di insozzarsi del fango degli invidiosi, e dei mediocri, sparsi ormai dappertutto.

E infatti a Bob Dylan si rimprovera con tutta l'acidità possibile di aver rifiutato il premio ma non l'assegno collegato, cioè di essere venale. Lo scrittore inglese George Bernard Shaw nel 1925 (ma fu ufficializzato il 18 novembre 1926) fece l'opposto: rifiutò i soldi: ma a Londra, si sa, sono inguaribili snob. Boris Pasternak ringraziò ma il Kgb non gli diede il visto per andare a ritirarlo. Cose dell'altro secolo.

Sarebbe banale chiedersi se chi muove queste accuse avrebbe lasciato i soldi, tanto scontata è la risposta. E' vero che Jean Paul Sartre rifiutò tutto in blocco, ma il filosofo era un esistenzialista, viveva carpe diem di chiacchiere seduto ai bar di Parigi, cioè era un nerd, seppure stagionato.

Ex abrupto vien da chiedersi: ma questi accademici di Stoccolma saranno un po' ingenui? Un colpo di telefono non glielo potevano dare a Bob prima di annunciare al mondo che volevano premiarlo col Nobel? Se ha dei progetti procedenti è maleducazione fargli cambiare l'agenda.

Bob Dylan dunque non andrà in Svezia il 9 dicembre prossimo alla cerimonia del Nobel per la Letteratura 2016. E fa bene, perché è in linea col suo essere artista, uomo, personaggio pubblico. Uno che bussa alle porte del paradiso (“Knockin On Heavens Door”) non starebbe a suo agio fra gli accademici svedesi.

A parte il fatto che nessuno in Minnesota lo ha mai visto con una cravatta al collo, se ci andasse tradirebbe se stesso, la sua vita tutta anti-sistema. Dovrebbe agghindarsi come un pinguino per dire banalità come un Renzi qualunque che fra poco camminerà sulle acque del lago e guarirà Lazzaro? Stonerebbe con l'immagine del menestrello costruita in 60 anni di duro lavoro e di poesia.
Un grande artista, un poeta, un cantautore ha troppo rispetto delle parole, sa della loro enorme importanza, perciò ne fa un uso oculato. Per cui se ci anche andasse non avrebbe niente da dire.

Sbaglia la signora Dacia Maraini a dire che bisognerebbe inventarsi un Nobel a parte per la musica e quindi, sottinteso, quello a Dylan (e anche a Dario Fo nel 1998) è fuori luogo.

Dylan e l'autore di “Mistero Buffo” sono due grandi artisti ben dentro la carne viva della contemporaneità, ne sono la sintesi. Hanno fatto bene gli accademici svedesi a cambiare format al premio. Perché fra 50 anni tutti si ricorderanno di Dylan e nessuno, o quasi, della scrittrice bielorussa cui lo diedero nel 2015 e i cui libri hanno letto forse solo in Svezia.

E' come se fossimo nella Roma di Cesare e Nerone e fare baccano per il Nobel a Cicerone e non a Virgilio. Un appunto agli accademici eredi di Alfred Nobel: nel 2017 fatevi un giro di telefonate preventive, sondate il terreno, aratelo, per non correre il rischio di gettare il seme sulla terra arida. Dal Polo Nord all'Equatore i bambini vi guardano.

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