Anche Bari aveva la fabbrica di carte da gioco 'baresi'

di VITTORIO POLITO – Festività natalizie, tempo di giochi, soprattutto di carte, come sette e mezzo, scopa, briscola, ecc., e non si può non ricordare che Bari è stata sede di una grande fabbrica di carte da gioco, quella di Guglielmo Murari.

Friedrich Nietzsche (1844-1900), filosofo tedesco, sosteneva che “Nel vero uomo è nascosto un bambino che vuole giocare”. Infatti, pare che il gioco è nato quasi sicuramente con l’uomo, il quale deve avere sempre avvertito l’esigenza di dedicarsi a qualche passatempo individuale o comune e le carte da gioco hanno probabilmente colpito il segno.

Vito A. Melchiorre, nel volume “Le carte baresi”, ci ricorda come i giochi interessano i bambini sin dai primi mesi di vita. Anche gli animali non sono esenti da tale esigenza. Spesso i reperti archeologici testimoniano frequentemente l’abbondanza di balocchi per i bambini e di strumenti diversi di svago per i grandi, ma il nostro interesse è finalizzato alle carte da gioco.

Non si sa con certezza se le carte da gioco siano state inventate dai cinesi o se siano una derivazione indiana degli scacchi: sembra accertato che non sono state inventate in alcun paese d’Europa. È attendibile, invece, che gli Arabi le hanno diffuse verso la metà del secolo XIV in Spagna, e quindi nel mondo occidentale. I primi mazzi di carte da gioco furono i “naibi”, una sorta di carte per fanciulli costituite da una serie di figure istruttive, e un gioco, pure di carte, di origine araba, a base non figurativa ma numerale: la fusione di questi due giochi avrebbe dato origine ai tarocchi, ma la questione è alquanto incerta e discutibile. Anche la nostra città ha contribuito alla diffusione di tali giochi con proprie carte dette “baresi”, derivazione dalle figurazioni di tipo trevigiano che anticamente avevano 13 carte per ogni palo.

Quello che è attendibile è che a Bari verso la fine dell’Ottocento sorsero numerose fabbriche di carte, ma quella di Guglielmo Murari, considerato industriale intraprendente e “re” delle carte da gioco, si impose restando famosa. Guglielmo Murari ottenne nel 1895 l’onorificenza di cavaliere della “Corona d’Italia” e nel 1911 quella “Al merito del lavoro”. Nel 1916 invece il competente Ministero chiese al Murari di studiare la possibilità di ridurre i numerosi tipi di carte regionali in uso.

Nel libro suddetto sono ricordate anche le sedi degli stabilimenti di Via Sparano n. 127 e 129 angolo Piazza Ateneo (attualmente Piazza Umberto) n. 6 e 10, di Via Cavour dal n. 196 al n. 204, angolo Via Zuppetta, e di quello sulla via vecchia di Valenzano (oggi Via Re David) di ventimila metri quadrati. Quest’ultima azienda che contava 100 macchine e 200 dipendenti, giunse a produrre due milioni e mezzo di mazzi di carte l’anno, consentendo all’Erario di incassare fino a 300.000 lire di bollo l’anno, recuperando così molti consumatori del prodotto del contrabbando. Murari volle anche promuovere la fondazione di un’associazione di mutuo soccorso fra i dipendenti dell’azienda. Morì a Bari il 2 marzo 1937. Nel suo testamento, come ricorda Alfredo Giovine nel libro “Bari belle époque” (Schena Editore), non dimenticò alcuno dei suoi dipendenti ai quali lasciò un saluto, un ringraziamento e un dono in denaro.

Il Comune di Bari ha ricordato l’avvenimento pubblicando nel 1996 per la Collana “Quaderni monografici del Comune di Bari”, il volume n. 12 “Le carte baresi” di C. Calò Carducci e V.A. Melchiorre, per i tipi di Mario Adda Editore. La pubblicazione ci fa sapere che lo stabilimento Murari in poco tempo diventò la più famosa fabbrica di carte da gioco italiana. Il volume si presta a più tipi di lettura, quello della storia, del racconto-descrizione e quello delle immagini. Gli autori riescono molto bene nell’intento. «È uno dei modi migliori per dialogare con i cittadini, per trasmettere loro un senso di attaccamento alla “baresità” che non vuole essere in  alcun modo “campanilismo”; è, anzi, l’esempio concreto di come ci si possa riappropriare del nostro passato recente; di come si possa donare, a chi barese non è, il segno “della civiltà creatrice” che l’uomo, specie nelle realtà locali, sa esprimere effettivamente», come afferma Domenico D’Oria, assessore al Comune di Bari, nella presentazione del libro.

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