Cinema: un fischio e fu il mito Alessandroni

di FRANCESCO GRECO - “Alessandrò, mi servirebbe una fischiatina!”. Al telefono c'era Ennio Morricone. Comincia così il mito di Alessandro Alessandroni (1925-2017). Sergio Leone girava in Spagna (Almerìa) il western-spaghetti “Per un pugno di dollari” (uscì a settembre 1964), ma “nessuno di coloro che suonarono o fischiarono aveva mai messo piede sul set e incontrato gli attori...”.

Non era la prima volta nella storia del cinema che si fischiava. Fritz Lang lo aveva messo in “M” (il suo primo sonoro).
 
Forse di nuovo c'era l'ermeneutica. Quel fischio (oltre a “elemento inconfondibile di uno stile”) cosa richiavama se non  il silenzio della solitudine siderale, nel cuore dell'uomo impotente rispetto al destino e del pianeta, nelle galassie più remote, dei buchi neri ove oggi intravediamo la materia oscura? Gli americani colsero la novità ontologica, filologica, estetica, rispetto ai loro western e anche loro ne fecero un successo (uscì nel 1967).
 
Cose dell'altro secolo, del cinema con la “c” maiuscola, che ha fatto la storia (da Nino Rota a Morricone, da Totò a Gassman, ecc.), amato e studiato dai grandi registi americani: epos e mito, divismo e sogni di massa, sale stracolme, socialità col ronzio del proiettore e la gazosa.
Oggi che non è più un rito, ma un consumo solitario, quasi onanistico, anche un po' triste, sul display esiguo di un i-pad, a ogni ora, quanta nostalgia evoca risentire su Youtube quell'altro fischio, la traccia “Addio a Cheyenne” di “C'era una volta il West” (sempre Leone-Morricone).
 
Un mondo con la sua intensità e ricchezza di emozioni e sentimenti (e aneddoti) si trasfigura così nella storia dell'uomo del fischio (“un'icona culturale”) rievocata con stile efficace e pregno di pathos da Francesco Bracci (1984, insegna all'Università di Berna) in “Un fischio da leone” (Dalla dolce vita, al western, all'Africa), Tsunami Edizioni, Milano 2017, pp. 184, euro 18 (collana “Le tormente”), commossa prefazione di Sir Christopher Frayling (lo incontrò mentre lavorava alla biografia di Leone) e un ricco apparato iconografico, oltre alla cronologia di film e dischi, dagli anni '50 ai giorni nostri. 

Testimonianza di una carriera lunga un secolo, superlativa, polisemica (“Ahò, ma sei ancora vivo?”, Corrado, anni '80). Anche se “Alex” non voleva essere solo l'uomo del fischio (e fu anche un apprezzato pittore). 
 
Bracci suona il clarinetto, è figlio del medico del maestro a Soriano (Monti Cimini), dove “Sandro” visse d'estate da bambino nel casale della nonna materna (ma anche successivamente in Namibia, dove andò a vivere dal 2000 con la nuova compagna Margaret Courtney-Clark, e dov'è sepolto).

L'amata moglie Giulia era mancata a soli 48 anni, nel 1984. Ebbero tre figli, Alex jr. Cinzia e Cristiano, morto a 40 anni. Un bel caratterino, cantava anche lei e amministrò bene i guadagni di “Alex”.
 
Figlio di un fruttivendolo, negozio a Tor di Quinto, famiglia “allargata”, la storia di “Sandro” (in parte autodidatta, origini nel cabaret, polistrumentista, arrangiatore, compositore, varietà di generi: dal jazz all'easy listening, agli sperimentalismi) è sovrapponibile specularmente a quella del nostro cinema degli anni migliori: dal neorealismo alla commedia all'italiana sino ai western mitici di Leone (la trilogia del dollaro, e oltre: “Alessandrò, datte da fa, fai le cose fatte bene, vedi de fischià bene”), ma non disdegnò la tv del canale unico e i documentari.   
 
Quando il Tevere era la nostra Hollywood e i film si facevano con poco: i produttori erano a loro volta degli intellettuali. I capolavori immortali, amati dal mondo, sono nati così.

Alessandroni fu testimone appartato e pudico (“Finalmente lo vedo, dopo averlo sentito fischiare per tanti anni!”, Eli Wallach) di un cinema che non c'è più. Peraltro coperto dall'oblio, rimosso selvaggiamente, anche da produttori attaccati alle tette della tv, e dello Stato, con film che spesso manco escono. La tv ha destrutturato tutto.