I risparmi dei leccesi? Ammontano ad oltre 10,7 miliardi di euro

LECCE - Oltre 10,7 miliardi di euro. A tanto ammontano i risparmi in provincia di Lecce. Tra depositi bancari e postali, nel 2016, i salentini sono riusciti a mettere da parte altri 304 milioni di euro, raggiungendo la quota di 10 miliardi 772 milioni (nel 2015 erano 10 miliardi 468 milioni). «Fermi» in conti correnti, libretti di risparmio o sotto forma di buoni fruttiferi o certificati di deposito. È quanto emerge da un’elaborazione realizzata dall’Osservatorio economico di Davide Stasi (su dati Bankitalia).

In particolare, i risparmi sono aumentati, negli ultimi cinque anni, di più di un miliardo di euro (al 31 dicembre 2011 ammontavano a 9 miliardi 736 milioni). Pari a una crescita del 10,6 per cento.
In questo arco di tempo, è cresciuta la raccolta bancaria: da 4 miliardi 754 milioni a 6 miliardi 66 milioni. Pari a un tasso del 27,6 per cento.

In particolare, a Lecce, nei 56 sportelli bancari aperti nella città capoluogo, sono «fermi» quasi due miliardi di euro. Per la precisione, un miliardo 849,7 milioni. A partire dal 2011, lo stock è salito di 270 milioni, pari al 17 per cento (al 31 dicembre 2015 era di un miliardo 579,6 milioni).

Più di tutti, però, cresce Leverano, dove i depositi sono aumentati del 46,8 per cento (da 111,7 milioni a 163,9). Segue Gallipoli, con il 46,6 per cento (da 129,8 milioni a 190,3). Al terzo posto della graduatoria figura Maglie, con il 46,2 per cento (da 182,8 milioni a 267,2).

In termini percentuali, si registrano, poi, le performance di Tricase, con il 41,3 per cento (da 119,5 milioni a 168,8); Poggiardo, con il 40,7 per cento (da 28,5 milioni a 40,2); Veglie, con il 38,6 per cento (da 57,8 milioni a 80,2); Casarano, con il 37,1 per cento (da 137,9 milioni a 189); Taurisano, con il 33 per cento (da 47 milioni a 62,5); Galatina, con il 32,5 per cento (da 208,4 milioni a 276,2); Copertino, con il 31,6 per cento (da 123,9 milioni a 163).

Si fermano, sotto il 30 per cento, Ugento, con il 27,5 per cento (da 47,3 milioni a 60,3); Trepuzzi, con il 26,8 per cento (da 39,5 milioni a 50,1); Galatone, con il 26,3 per cento (da 69,1 milioni a 87,3); Monteroni, con il 24,8 per cento (da 53,8 milioni a 67,2); Martano, con il 23,6 per cento (da 63,6 milioni a 78,7); Taviano, con il 23 per cento (da 71,6 milioni a 88,1); Nardò, con il 12,6 per cento (da 182,4 milioni a 205,4); Campi salentina, con il 9,9 per cento (da 54,1 milioni a 59,5); Otranto, con l’8,4 per cento (da 43,2 milioni a 46,9).

Tra i primi venti Comuni, per grandezza e numerosi di sportelli, solo Squinzano registra una flessione dei depositi bancari: da 67,7 milioni a 66, ovvero il 2,4 per cento in meno. In questi primi venti Comuni è concentrato, il 70 per cento dei depositi bancari e postali. Nei restanti, i risparmi sono saliti da un miliardo 334 milioni a un miliardo 805 milioni. Pari a un tasso del 35,3 per cento.

«Crescono i risparmi in provincia di Lecce», commenta Davide Stasi. «Aumentano, infatti, i depositi bancari e postali custoditi su conti correnti, libretti di risparmio o sotto forma di buoni fruttiferi o di certificati di deposito. Il dato è senz’altro da interpretare: le possibili spiegazioni vanno ricercate nell’incertezza economica che ha frenato gli acquisti e gli investimenti, nonché nella maggiore preoccupazione per l’introduzione di nuove imposte e tasse. Così, molte famiglie hanno pensato di mettere da parte i propri risparmi. In economia, però, non è sempre un bene. Anzi, può, avere conseguenze negative sul tessuto produttivo locale. Un grande economista britannico, John Maynard Keynes, sosteneva che: «ogni volta che risparmiate cinque scellini, togliete a un uomo il lavoro di una giornata».

Questo «paradosso» riferito al risparmio spiega come una delle più classiche virtù (che è quella di accumulare denaro di scorta) può creare «danni», se lo stesso risparmio non viene fatto più circolare nel grande circuito dei movimenti di spesa e di acquisti.

Perciò, considerata la contrazione dei consumi sempre più marcata, continuare a risparmiare e spendere meno vuol dire fare ancora più male all’economia di quanto non ne possano provocare le decisioni del Governo e l’inasprimento della pressione fiscale.

Se da un lato è comprensibile che l’incertezza economica spinga le famiglie a risparmiare, dall’altro, però, occorrono scelte chiare a favore del rilancio dei consumi, altrimenti non si riuscirà ad innescare l’agognata ripresa della produttività e dell’economia reale. Risulta necessaria la riduzione della pressione fiscale sulle imprese e sui lavoratori, che ha frenato, soprattutto a livello psicologico, i consumi».

Più in generale, nel  2016  la  ricchezza lorda delle famiglie italiane è cresciuta ancora, mettendo  a  segno  un incremento dello 0,8 per cento rispetto a fine 2015. L’aumento è la conseguenza di un maggior flusso di risparmio, dato  che  i  prezzi  delle  attività  reali  si  sono  stabilizzati  nel corso dell’anno, a fronte di un calo di quelli della componente finanziaria perché le attività in portafoglio (azioni, bond, fondi e  polizze)  hanno  sofferto  per via del non brillante andamento dei mercati. In tale contesto gli italiani hanno messo da parte di più grazie all’aumento del reddito disponibile consentito dalla ripresa dell’occupazione.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto