Don Tonino 'sentiero di Dio', e dell’uomo

di FRANCESCO GRECO - “Diventate coscienza critica del mondo, diventate sovversivi. Non fidatevi dei cristiani che non incidono la crosta della civiltà. Fidatevi dei cristiani autentici sovversivi come san Francesco” (don Tonino rivolto ai giovani).
 
E’ un uomo di Chiesa, e del mondo, profondamente attuale e moderno quello che emerge nel libro di Giancarlo Piccinni (Presidente della Fondazione omonima) “Don Tonino sentiero di Dio” (con inediti dagli scritti e dal carteggio) e la sostanziosa prefazione di don Luigi Ciotti, Edizioni San Paolo, Milano 2018, pp. 144, euro 12,50, ebook 8,99 (i proventi  della vendita saranno devoluti in opere di beneficenza).
 
Nell’enorme mole di materiale lasciato nella sua breve ma intensa parabola umana, episcopale, teologica, esistenziale dal vescovo di Molfetta, Ruvo di Puglia, Terlizzi e Giovinazzo, non c’era ormai quasi più nulla di inedito.
Eppure il cardiologo – che a sua volta ebbe una corrispondenza con don Tonino - è riuscito a trovare cose rimaste nascoste e a offrirle quale ulteriore supporto cognitivo e analitico oggi che, dopo l’evento del 20 aprile 2018, tutto è riletto con un’altra, nuova password.

Per scoprire quanto le sue illuminazioni fossero scagliate nel tempo, le sue “provocazioni” sempre fertili, non soggette a relativismi di sorta (basta leggere ciò che pensava dell’Europa, delle guerre, della pace (“Di cosa dovrebbe interessarsi un vescovo? Del colore dei paramenti o del numero di ceri da mettere sull’altare?”).
 
Proprio come le parole dei profeti quale fu e quale è stato “letto” da Papa Francesco nel suo ormai celebre discorso alla folla di Alessano prima e di Molfetta dopo. In cui verso la fine c’è chi ha intravisto una piccola apertura al tema della beatificazione.
 
Sfogli questo libro e pensi: beati i tempi di 25-30 anni fa, quando la parola non era stata ancora surrogata e scarnificata dal byte delle posta elettronica, scorreva veloce e sapida sulla carta, la impregnava di concetti magmatici, disegnava arazzi nel cielo, sostanziava sogni, utopie, speranze.
 
Da questo scrigno, Piccinni ha enucleato gemme preziose, a futura memoria. Le lettere fra don Tonino e padre Balducci, padre David Maria Turoldo (un filo rosso corre fra le riflessioni e le analisi dei tre “giganti”), all’artista Fernando Campanile e – come già detto - allo stesso Piccinni a cui il 31 dicembre 1982 confida la durezza e lo smarrimento dei primi tempi di episcopato, “la prigionia del palazzo sontuoso”, che pare evocare la solitudine del patriarca di Garcìa-Màrquez. Come se avesse paura di non essere all’altezza, di finire schiacciato sotto il peso di grandi responsabilità, in un momento storico complesso, gli equilibri del mondo in discussione .
 
E’ un “Mite discepolo del Maestro mite” (Enzo Bianchi) all’apparenza fragile, ma determinato, che con l’intelligenza e il coraggio del suo carattere, capisce subito che deve osare, parlare senza accademie né barocchismi, benché lo si attacchi con particolare violenza, o forse proprio per questo, come gli suggerisce Turoldo (“a maggior ragioni intervieni, intervieni sempre di più… Sono anche vili”).
 
In breve diventa un’icona trasversale alla politica, di una Chiesa che, esaurita la spinta propulsiva e innovatrice del Concilio Vaticano II, cerca il suo aleph per capire il mondo che cambia velocemente, e l’uomo sempre più smarrito, agnello sacrificale di interessi che sono altrove e che lo annullano nel suo etimo.
 
Uno scritto struggente nel suo aspetto evocativo del fratello Marcello chiude un libro necessario a capire le parole di un uomo che ha messo a dimora semi i cui frutti potranno essere gustati in abbondanza nel tempo che verrà.

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