“Il pittore? Deve essere lasciato libero”. Parla Daniele Amico


di FRANCESCO GRECO – S. MARIA DI LEUCA (LE). Dieci opere dieci, per incantare il mondo. Perché Leuca durante la stagione è un melting-pot di popoli, una Babele di lingue. E le opere di Daniele Amico esposte in una galleria particolare, la gelateria “Martinucci” (per tutto agosto), sono un’attrazione, una tentazione per lo sguardo dei turisti.

Ma qual è il mondo onirico dell’artista che il 21 marzo donò una sua opera al Papa?

DOMANDA: Lei sostiene che dopo il Settecento nella pittura è successo poco e nulla: si spieghi meglio…
RISPOSTA: "Ogni epoca ha avuto i suoi massimi esponenti, sin dagli esordi della nascita della pittura a olio. Pittori come Jan Van Dyck, Piero della Francesca, Albrecht Dürer, Michelangelo Buonarroti, Leonardo da Vinci, Michelangelo Merisi (Caravaggio), Tiziano Vecellio, Pieter de Hooch, Rembrandt, Harmenszoon van Rijn, Jan Vermeer, Francisco José de Goya, Joseph Mallord, William Turner, Johann Heinrich Füssli, William Hogarthe e tanti altri diedero inizio a una nuova corrente di pensiero nelle arti della pittura. Con questi artisti, essa cominciò a incastonare con logica e dedizione tutte le nobili arti che hanno percorso secoli di pensiero, ma che spesso non avevano trovato riparo nelle loro illustrazioni. Nel ‘400 ci fu con una delle più grandi scoperte che il mondo dell’arte potesse raggiungere: la pittura a olio. Sin dai primissimi esordi si custodiva gelosamente il segreto di questa materia che solo in seguito venne divulgato. Il mestiere del pittore raggiunse così i massimi vertici di espressione umana e la pittura divenne la massima rappresentazione della ragione, in quanto non accetta compromessi ma esige solo verità.
Si giunse in questo modo al ‘700, l’epoca in cui la pittura raggiunse la sua massima espressione. Il ‘700, a mio avviso, può essere definito la culla delle arti perché fu l’epoca in cui il pittore si è fatto testimone e figlio delle arti nel silenzio della propria esistenza.
I più grandi maestri della pittura, dai quali maggiormente ho tratto ispirazione, si collocano proprio in questi secoli: è stato grazie a loro e alle loro opere, infatti, che ho conosciuto e assorbito quello che mi piace definire il rispetto nei confronti di questo mio “mestiere”. Dal ‘900 in poi, con l’avvento dei mass media, il pittore è passato a essere un artista giocoliere, un mezzo di sola propaganda. Per l’artista pittore contemporaneo la parola “arte” è ovunque".

D. La sua ricerca sul colore l'ha portata a recuperare quelli del passato, presenti nelle sue opere: come mai?
R. "La scelta dei colori che utilizzo nelle mie opere è il frutto di uno studio continuo e meticoloso, al quale dedico la maggior parte del tempo che precede la realizzazione di un’opera.
La ricerca dei colori è una componente imprescindibile. Nella mia formazione pittorica ho sempre guardato a quegli stessi maestri di cui parlavo prima, affiancando a questi insegnamenti il rapporto con la mia Musa, modella e compagna di vita Valerie, oltre al rapporto fedele e autentico con il mio cane Odette, molto spesso ritratta nelle mie opere.  La grammatica della pittura è un apprendimento continuo e in costante crescita che assorbo a esempio nei musei, nelle opere dei grandi maestri, quasi in una sorta di confronto e di comunicazione dalla quale cerco di captare i segreti.
La maggior parte dei pigmenti che uso infatti hanno una storia secolare, appartengono a case di produzione che risalgono alle origini del ‘600, a quell’epoca che ha visto all’opera maestri che, mossi dalla propria fede, riuscivano a riportare sulla tela una manifestazione concreta del loro animo in un vero e proprio dialogo tra la coscienza e la propria tela.
Il colore, quindi, nella mia visione non è solo materia ma manifestazione concreta della propria anima in quanto esso si incarna nella tela prendendo vita ed evoluzione. Al colore tocca raccontare a chi osserva le opere quella che è la parte più nascosta e profonda dell’artista ed è per questo motivo che credo che la ricerca dei colori debba essere continua, in quanto esso è il tramite attraverso il quale il soggetto rappresentato e la sua essenza, filtrati dall’animo del pittore, diviene reale".

D. Par di capire che il suo rapporto con le gallerie e il mercato non è facile: ma gli artisti non vogliono farsi conoscere e vendere le opere?
R. "Il pittore, a mio avviso, deve essere lasciato libero di poter agire secondo le proprie intenzioni nel pieno rispetto dello studio e della ricerca, senza diventare uno strumento strategico per il mercato dell’arte, perché la vera pittura, come già detto, non accetta compromessi ma esige solo verità e ragione.
Il pittore deve giungere alla consapevolezza che la pittura non si può fare oggetto di vendita, che la creazione di un’opera d’arte non è sinonimo di vendita, che non bisogna correre dietro a fortune vane, futili e materiali perché così facendo si giunge alla rottura del dialogo con l’arte.
Le riposte alle domande che cerco non passano attraverso il mercato dell’arte che quota un dipinto, perché attraverso la pittura il mio animo si è purificato e questo non può avere un prezzo.
Ogni mille quadri si svela un perché, si ha una risposta.
Le gallerie potrebbero e dovrebbero salvaguardare coloro che nella propria esistenza hanno il privilegio di nutrirsi di questa verità assoluta che si tramanda da secoli: l’arte della pittura".

D. Lei riceve ordinazioni per dipingere soggetti che sono suggeriti dai committenti e rifiuta tali proposte: perché mai?
R. "Spesso capita di incontrare persone che mosse dalla curiosità vogliono entrare in questo mondo. Molto spesso le persone che ho davanti vedono i dipinti solo come qualcosa da appendere alle pareti. Credo che il gusto del bello nella società contemporanea sia molto inquinato, che stia avendo un cattivo sapore a causa del continuo sovrastare di cattive informazioni. Per rispondere a questa cultura scellerata generale, il mio consiglio per intraprendere la conoscenza e captare i segreti di questo meraviglioso mondo è di entrare in un museo senza strumenti tecnologici e cercando di instaurare un dialogo con le opere intorno. Solo allora si può acquisire il concetto di bello che l’opera ci rivela.
A me piace dire che nei musei si deve entrare da soli e da perfetti sconosciuti e che si debba dialogare con le opere.
A volte mi viene commissionato un dipinto e rifiuto la commissione perché credo che esso si debba desiderare per quello che rivela.
I dipinti non hanno tempo, non esiste presente, passato o futuro".

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