Libri: Ungaretti, un poeta alla Grande Guerra

di FRANCESCO GRECO - “Ero in presenza della morte, in presenza della natura, di una natura che imparavo a conoscere in modo nuovo, in modo terribile. Dal momento che arrivo a essere un uomo che fa la guerra…”.

Ungaretti (“Porto sepolto”, “Allegria di naufragi”) è forse il poeta più noto e amato del Novecento italiano. Dacché era anche un personaggio, col basco blu, il cappottone pesante e le spalle larghe, e anche se sembrava imponente era alto solo un metro e 68.

Alla fama e alla popolarità contribuirono alcune apparizioni alla tv in b/n all’inizio dei ‘70 (“Caro vecchio mio…” cantava Iva Zanicchi strusciandoglisi addosso e il poeta – amato dalle donne - mostrava di gradire) e una foto in piazza San Marco, in pieno 68.

L’icona del poeta politicamente impegnato e per sua stessa ammissione “uomo della pace” (ma sulla guerra aveva un’opinione originale), stride un sacco con quella del soldato sul fronte del Carso (Brigata “Brescia”), in tre lunghi anni della Grande Guerra (detta “moderna”, come se le precedenti fossero arcaiche e i tradimenti degli alti ranghi fossero una novità e non una costante), una mattanza mostruosa quanto inutile, in cui i ragazzi del 99 (Ungaretti era dell’88 e nel 1908 era stato esonerato perché “dimorante” all’estero) forse ne uccise più la trincea col fango, le malattie (scabbia) e la depressione, i nervi logorati dall’attesa che i gas degli austriaci, e di cui in questi giorni si ricorda il centenario del “the end”.

Ma se si rammenta che su quel fronte c’erano anche altri che nella letteratura hanno lasciato un segno forte (da Dos Passos a Hemingway, poco più che ragazzi), allora si capisce che la guerra, anche per chi non crede al potere delle armi, alla prosecuzione della dialettica politica su un diverso livello o, come diceva Hemingway, “dichiarata da porci e combattuta dalla gente migliore”, esercita dall’alba del mondo (dal Peloponneso a Salamina al Vietnam, senza scordare le guerre di religione, le Crociate, quelle benedette dall’ONU, ecc.) un suo sottile e misterioso fascino, anche in chi vi è trascinato a viva forza e ingenuamente la “legge” come occasione di una palingenesi che darà vita e soffio a un uomo nuovo e una nuova morale. Magari fosse così…

“Pianto di pietra” (La Grande Guerra di Giuseppe Ungaretti), di Nicola Bultrini e Lucio Fabi, Iacobelli editore, Roma 2018, pp. 160, euro 14,00 (collana “Frammenti di memoria”), ci porta sul fronte bellico attraverso lo sguardo inquieto, le “visioni”, il tormento etico (“Sono soverchiato dalla guerra, da questa tremenda sofferenza. Posso anche cantare; è un modo infernale di piangere…” scrive a Papini il 18 luglio 1917) di un poeta in lotta con se stesso e il suo patrimonio di valori, a cui l’esperienza rafforzò la formazione culturale, umana e politica in senso pacifista.
Ancora a Papini confidava un elemento socio-antropologico dell’italiano: ”Penso che una non piccola causa della nostra sventura sia stata questa strafottenza in paese verso chi era al sacrificio, sacrificio indescrivibile e inimmaginabile, qui, sopratutto verso i poveri semplici soldati. Come si vuole che poi non abbiano odio di classe, questi poveri, se si fa di tutto, se non si trascura occasione per far sentir loro che sono di una classe inferiore”.  Scintille di socialismo in arrivo.
 
Ungaretti sussurrava poi candidamente a se stesso: “Viviamo nella contraddizione. Posso essere rivoltoso, ma non amo la guerra. Non l’amavo neanche allora, ma pareva che la guerra s’imponesse, per eliminare la guerra”.

In prefazione, Andrea Zanzotto riconosce in lui il suo “maestro” e invita a “ripercorrere quei luoghi” per “sentire l’attualità bruciante e quindi l’insegnamento vitale dell’esperienza di Ungaretti”. Il poeta veneto poi invita a cogliere “il valore forte e pedagogico della sua poesia” e anche “l’irreversibile passaggio dalla lotta tradizionale a una criminalità pura, che oggi è diventata norma”. Le guerre di oggi infatti sono prive di etica, massacri spudorati e impuniti, preceduti da volgare propaganda.
 
Il libro propone foto del poeta e degli scenari di guerra. Bultrini (Civitanova Marche, 1965) è uno studioso della Grande Guerra (ha pubblicato alcuni saggi), raccolte poetiche e lavora a “Il Tempo”. 
Anche Fabi si è occupato della stessa materia da storico e consulente museale (in Trentino, Veneto e Friuli Venezia Giulia). Ma anche in chiave scientifica e divulgativa: segnaliamo “Il bravo soldato mulo. Storie di uomini e animali nella Grande Guerra” (Mursia, Milano 2012) e per lo stesso editore “Soldati d’Italia. Esperienze, storie, memorie, visioni della Grande Guerra” (Milano, 2014).
 
Un libro che ci permette di “vedere” la guerra al netto della retorica patriottica e della rozza propaganda che, infidi pepli, avvolgono ogni conflitto dall’alba della civiltà al III Millennio e che – come annotò Ungaretti - inganna i “poveri semplici soldati” di ogni tempo, noi per primi.

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