La ‘colonna della giustizia o infame’ di Bari


di VITTORIO POLITO - La “giustizia” è il pregio o il merito etico-sociale consistente nella volontà di riconoscere e rispettare i diritti altrui, attribuendo a ciascuno ciò che gli è dovuto secondo la ragione e la legge. Secondo la concezione scolastica è una della quattro virtù cardinali, hanno cioè la funzione di “cardine”, insieme a “prudenza”, “fortezza” e “temperanza”.

Nella simbologia è rappresentata come una bella donna, vestita di bianco che ha in mano la bilancia (per pesare ragioni e torti), ed è bendata a significare l’imparzialità, nell’altra mano ha una scure ed una verga, simboli della punizione.

Nei tempi passati per dissuadere i malintenzionati a compiere nuovi crimini, la “giustizia” assumeva l’aspetto di orrido spettacolo. Infatti, dopo l’esecuzione, i corpi, smembrati, erano esposti al pubblico ludibrio in luoghi designati dalle autorità nelle sentenze. Questi “spettacoli” erano abbastanza frequenti dalle nostre parti e un ordine diramato dal preside della Sacra Udienza di Trani del 12 marzo 1651 ne dà testimonianza. Dopo una condanna a morte di tale Vito Scalera di Santeramo, la triste incombenza di andare ad esporre il corpo sezionato fu affidato al ministro di giustizia, Gio Pizzoli, il quale era stato munito di lasciapassare per non subire il controllo dell’insolito bagaglio. Il documento indicava anche il luogo ove esporre i lugubri trofei.

A Bari che succedeva? In Piazza Mercantile è presente la cosiddetta “colonna della giustizia” o “colonna infame” con un leone accovacciato alla base. Secondo Antonio Beatillo (1570-1642), teorico, storico e gesuita, si tratterebbe di un monumento eretto dai baresi vicino al mare e poi trasferito nella piazza, dopo aver liberato la città dai saraceni (1002). Ciò non appare credibile in quanto la belva non rappresenta affatto il Leone di Venezia, ma tiene fra le zampe lo scudo della città di Bari e sul collare incise le parole “custos iusticiae”. Pare che su quel monumento erano esposti al pubblico ludibrio gli insolventi, o la fustigazione dei malfattori, o la gogna di bancarottieri e falliti.

Armando Perotti ipotizza che il monumento in questione fu installato intorno al 1546, quando il viceré Pedro di Toledo emanò una sanzione di condanna della disumana pena della gogna, offrendo al reo per sgabello la groppa del leone.

Successivamente, in seguito alla separazione della provincia di Bari da quella di Otranto, dopo la contesa con Bitonto per il privilegio di avere a Bari la sede della Sacra Regia Udienza, si decise di rinunciare in onore del patrono San Nicola per “non avere sott’occhi patiboli di malfattori ed esecuzioni d sangue, sconvenienti al venerato santuario, cui traevano le genti devote di tutte le nazioni”.

Le note di cui sopra sono state rilevate da alcuni testi di Vito Antonio Melchiorre (1922-2010) editi da Adda e Levante Editori.

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