Libri: 'E tutto divenne luna', e follia


di FRANCESCO GRECO - Sapevate che c’è carenza di storie di Natale e che le riviste le cercano disperatamente? Che Babbo Natale è un ciccione inventato da una multinazionale delle bevande? Che, se non bastasse, forse è pure pedofilo? Che la festa altro non è che una “possente campagna pubblicitaria”, “un omaggio collettivo al vitello d’oro”?

E sapevate che il desiderio di paternità può portare un uomo a scambiare una bambola per una figlia, accudita come tale da un uomo incontrato sul treno che sta andando in ospedale (“i medici mi hanno detto che dovranno squartarmi”) e che la consegna allo scrittore “almeno per uno o due mesi”? 

Georgi Gospidonov (bulgaro del 1968) è forse il figlio che Emile A. Cioran avrebbe voluto avere. Stesso gusto per il paradosso amaro, al di là di ogni illusione e disincanto. Nel dna di chi è nato o ha vissuto in un regime comunista. Che nel surreale ha trovato una password per sopravvivere, o quanto meno non finire nella follia e nello smarrimento di se stessi.
 
“E tutto divenne luna”, Edizioni Voland, Roma 2018, pp. 144, euro 16, 00, collana Sirin (postazione di Giuseppe Dell’Agata, bella cover di Marco Meniero), allinea 19 racconti sublimi, di uno scrittore che può essere considerato un maestro di stile. 
 
La sua prosa “frammentaria, intertestuale e moderatamente postmoderna” (Dell’Agata) è quanto di più innovativo e diremmo anche rivoluzionario si muove nell’Est europeo che cerca mentalmente di fuoruscire dal comunismo, col rischio di sprofondare in una palude ancora più infida: i populismi e i sovranismi, facili da vendere (un po’ come Babbo Natale), soprattutto se per lungo tempo ci si è abituati alla negazione della democrazia, alla sua sciatta finzione, ma che forse ne rappresentano l’ontologico proseguimento, stessa chiusura culturale e politica, oltre che dominio sulle menti grazie a big data e algoritmi.
 
Il sole che illanguidisce la sua forza, mentre “Il gatto si è rintanato da qualche parte. Anche lui lo sa. Fuori la gente sta sprecando gli ultimi minuti di sole”. Quel che ci resta da vivere (“8 minuti e 19 secondi”, il racconto che apre la raccolta), cos’è se non un ammonimento, una cruda, livida allegoria, la metafora di quel che ci attende, se continuiamo a fuggire da ogni responsabilità, facendoci lavare la mente dagli astuti maghi del marketing, cinici profeti del nulla?

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