Fizzarotti e Girasoli: due scrittrici tra Poeta, Poesia, Eros e Thanatos

di GRAZIA STELLA ELIA - Santa Fizzarotti Selvaggi, in questa ennesima fatica di scrittura, si presenta in tandem con Domenica Girasoli, in un libro dall’emblematico titolo Il Poeta, la Poesia tra Eros e Thanatos. Scenari della psicoanalisi, pubblicato di recente con la casa barese Levante editori. Un libro nel quale le quattro parole chiave, scritte con l’iniziale maiuscola, la dicono lunga sull’importanza che i relativi temi assumono nella trattazione. Temi esistenziali difficili, scabrosi, affrontati e dipanati con la competenza analitica e scientifica che emerge sin dalle prime pagine. Un libro che raccoglie saggi psicologici e filosofici in cui è protagonista la Poesia, vista nelle sue tante sfaccettature e considerata una sorta di deus ex machina dell’Arte. Scrive infatti la Fizzarotti a pagina 28: “La funzione poetica - ed essa soltanto - organizza e governa l’opera d’arte. Anzi, essa rende possibile il mutamento di cose, di oggetti, di parole in ‘altro’”. Già, perché “dal silenzio le parole sono generate per evocare nel labirinto del cuore l’Altro e l’Altrove”. Per creare l’arte bisogna prima soffrire. “I linguaggi dell’arte sono metafora di civiltà e di vita”, mentre la Poesia, operatrice catartica, trasfigura e sublimizza. Ecco il saggio che vede al centro il Poeta, il quale, “forse per magia, incontra l’anima del mondo […] dove, nel buio acceso da rari bagliori, appare il disegno dell’inimmaginabile”. Il poeta, nella sua produzione di versi sul tema dell’esistenza e della morte, rimane al centro nel saggio Ciò che fanno i Poeti. In queste pagine Domenica Girasoli prende in esame i più significativi testi di poeti, narratori, artisti, filosofi e scienziati: Orazio, Lorenzo De’ Medici, Foscolo, Carducci, Svevo, Leopardi, Mimnermo, Manzoni, Ungaretti, Balzac, Zola, Boito, Proust, Eschilo, Van Gogh… Molti, davvero tanti gli aspetti della visione che l’uomo ha della vita e della morte. Il pensiero della fine rimane comunque angosciante e soltanto “l’arte aiuta l’uomo a rivalutare la vita, pur sapendo che al termine c’è la morte”. L’arte è movimento, è cambiamento: attraverso la gestualità, l’immagine, la musica, la scrittura, la poesia, la mente umana comunica con i colori e il linguaggio dell’inconscio. La Girasoli si riferisce poi a Giuseppe Gorjux e alle sue “divagazioni”. Si apre un nuovo capitolo della Fizzarotti, che porta avanti il discorso su Gorjux, per proseguire con le citazioni di altri autori, fra cui Saffo, l’inquieta poetessa, che aveva scritto: “Qualcuno un giorno si ricorderà di me”. Segue l’analisi della coscienza, che è “il risultato del processo di una serie complessa e articolata di reazioni di cui gran parte è dovuta alle emozioni, forse all’impronunciabile”. La Fizzarotti non è affatto nuova a dissertazioni di ordine psicologico e qui disserta da par suo. “Nessuno di noi - ella scrive - è povero dentro di sé, basta aprire lo scrigno del cuore: talora un attimo riscatta un’intera vita”. E’ l’Arte espressa in tutte le arti, in primis la poesia, a dare “al nulla e al tutto l’anelito della leggerezza” (pag. 85). L’auspicio è che l’homo homini lupus si veda mutato in homo homini agnus e che l’Amore divenga Agape, “Sogno dei sogni”. Nel libro ci si imbatte in pagine scritte dalle due autrici in simbiosi e si passa alla lettura di testi personali, come quello in cui la Girasoli riporta i pensieri di varie persone menzionate con il nome di tanti fiori, sulla vita e sulla morte. A predominare è la paura di dover finire, il terrore della morte. Entrambe le autrici concordano nell’affermare la validità che ha l’Arte nell’offrire serenità a chi è inquieto al pensiero della morte. “La scrittura, il disegno, le note musicali sono testimonianze dell’esistere al mondo”. Il lavoro del terapeuta fa pensare alla maieutica di Socrate. Il terapeuta deve infatti indurre il paziente a guardare in se stesso per far affiorare le emozioni “da gestire affinché divengano i luoghi della ragione”. Racchiude, questo libro, un viaggio di esplorazione umana e artistica a tutto tondo, con la poesia, la pittura e la musica, con le peculiarità più espressive dell’Arte, capaci di far agire con illuminazione, ad onta delle inevitabili ombre. Mi pare opportuno, a questo punto, riportare le parole di Seneca che si leggono in apertura del libro: Ci vuole tutta una vita per imparare a vivere/e, ciò che forse ti stupirà di più, è che ci vuole/tutta una vita per imparare a morire. Concludo con alcune righe tratte dalla dotta prefazione del poeta-filosofo Francesco Bellino: “ Le due autrici hanno il merito di riproporre nei loro interessanti saggi il problema della vita e della morte in tutta la sua radicalità”. Auguri, dunque, a queste due donne, perché continuino a lavorare di fino, nell’intento di ricondurre alla serenità tante persone prese dall’inquietudine. Un lavoro non facile, che poggia su basi scientifiche, ma anche sulla capacità di generare empatia e calore umano.

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