Libri: 'Professione reporter'


di FRANCESCO GRECO - I grandi inviati, da Montanelli a Egisto Corradi e Luigi Barzini, da Ettore Mo, Igor Man e Domenico Quirico (per citarne solo alcuni), sono una specie in via di estinzione. Il giornalismo declina verso l’omologazione. Tutti scrivono le stesse cose. Spesso ingorgandole con arroganza di opinioni di cui non importa niente a nessuno. 

E’ l’epoca tragica e grottesca delle fake-news talvolta smentite da altre fake-news, dei “retroscena” a volte inventati di sana pianta e dei giornalisti embedded che lavorano sulle veline e i briefing con cui gli uffici-stampa filtrano la voce dei potenti che soffoca tutte le altre.
   
A rammentarci tempi migliori, illuminati da una luce di romanticismo (“la sete di emozioni”, “muoversi in solitudine”), di cui abbiamo nostalgia, penne gloriose che portavano il pubblico sugli scenari più imprevisti e complessi che si possono immaginare, spesso rischiando la vita per un articolo (“Prima trasmettere, poi verificare”, diceva Montanelli), Gianni Perrelli in “Professione reporter”, Di Renzo editore, Roma 2019, pp. 88, euro 12,00 (Collana “Dialoghi”, seconda edizione). 
   
Dall’intervista a Yasser Arafat nell’89, a Belgrado, alle 5 del mattino (“mentre consumava una cena tardiva”), a quella allo scrittore egiziano premio Nobel Maghuib Mafhouz, collaboratore prestigioso del quotidiano “Al-Ahram” (“al giornale andava solo il lunedì”), all’empatia necessaria con i fotografi compagni di lavoro a cui le redazioni potevano anche chiedere la foto di un ciclista che fa pipì durante la corsa, l’inviato speciale pugliese porta per mano il lettore nella sua “bottega”, nel fascinoso background della sua avventura professionale e umana iniziata al “Tempo”, la “Gazzetta del Mezzogiorno” e al “Corriere dello Sport”, poi sviluppatasi nei settimanali “L’Europeo” e “L’Espresso”.   
   
Oggi i giornali stessi, piegando verso un giornalismo da salotto, terrazza o bar sport,  hanno formattato, ucciso questa figura ricca della semantica del loro tempo, avvolta da miti e leggende, con un’agenda zeppa di contatti e grandi conoscitori della realtà economica, politica, sociale, culturale dei Paesi più caldi del pianeta, adattando “l’orologio biologico al salto dei fusi, dei climi e dei cibi”. 
   
I tassisti erano il loro front-office, e dalle chiacchiere nel tragitto fra aeroporto e albergo partivano per tessere la magica ragnatela dei loro reportage sospesi fra giornalismo e letteratura. 
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