‘A Bari si attraversa di sguincio’, detti popolari in dialetto barese

di VITTORIO POLITO - È stato pubblicato da Adda Editore il volume di Vincenzo Sassanelli “…a Bari si attraversa di sguincio”, una raccolta di detti popolari in dialetto barese “privatissimo”, come scrive l’autore.

Il volume di Sassanelli, che tratta numerosi argomenti, vuole essere un’agile raccolta di detti popolari dialettali (molti sconosciuti), “da lasciare ai figli”, alcuni dei quali scritti in un dialetto impreciso. In realtà si lasciano ai posteri detti dialettali scritti con vocaboli non corretti, secondo autori qualificati come Barracano, Colasuonno, Gentile, Romito, ecc., come ad esempio “moshque” (mosca), che si scrive “mosque”, o “gn’tteve” (ingoiava), che si scrive “gnettève”, o l’pine (lupino) che si scrive lepìne, mparà” (imparare) che si scrive ambarà o mbarà, o “chijidde” (quelle - quelli) che si scrive “chidde” o “viccijarì’ (beccheria o macelleria) che si scrive vecciarì o vicciarì. Così pure l’uso abbondante della lettera “J”, anche quando non serve.

Va detto innanzitutto che “la lingua barese” – come sostiene l’autore – non “sta inesorabilmente morendo”, quello che sta morendo è il modo corretto di scriverla, come si evince dalle sue citazioni nel testo. Il fatto di scusarsi con i lettori per gli “strafalcioni” non ha alcun pregio se solo si tiene conto dei numerosi testi grammaticali e di dizionari disponibili per la consultazione e gli approfondimenti ai quali rimando.

«Il dialetto, scrive Francesco Granatiero, non è una parola di cui vergognarsi, è una lingua parlata locale, una lingua senza potere economico-politico-militare, ma con una dignità, una civiltà, una cultura e, per chi lo ha succhiato con il latte materno, il senso profondo dell’esistenza e degli affetti più cari, la lingua-madre madre delle lingue, il sussulto della terra che parla, l’oralità che precede la scrittura e la grammatica», quindi possibilmente scriviamolo secondo i dettami di competenti autori.

Anche Michele Emiliano, che presenta l’edizione, pur dichiarando di conoscere il dialetto barese (?), inizia la sua prefazione con “Na parol de men e retiret a cast”, che invece si dovrebbe scrivere “Na paròle de mene e retirete a caste”.
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