Matarozzo per la XIV edizione dell’Antologia di Poesie in Vernacolo pugliese: ‘I “poeti” della prima ora, oggi ad alti livelli lirici’

di LIVALCA - «Dolce cantare spegne ciò che nuoce» è una condivisibile affermazione di Gabriele D’Annunzio che tutti noi verifichiamo attendibile in vari momenti della vita : a scuola per un saggio, in un concerto nel momento  in cui il cantante solista invita il pubblico ad accompagnarlo, allo stadio quando il canto affratella gli uomini e placa istinti non sempre amichevoli  e  anche in azioni belliche spesso il canto ha raffreddato gli animi e, comunque, si tratta di una  verità sacrosanta. Come realtà indubitabile è che la poesia di D’Annunzio « I pastori» sia di una sincerità che va oltre il tempo e le mode : ‘Settembre andiamo è tempo di migrare/ Ora in terra d’Abruzzi  i miei pastori lascian gli stazzi e vanno verso il mare/ scendono all’Adriatico selvaggio che verde è come i pascoli dei monti./ Han bevuto profondamente ai fonti alpestri, che sapor d’acqua rimanga nei cuori esuli a conforto/ che lungo illuda la lor sete in via/  Rinnovato hanno verga d’avellano e vanno pel tratturo antico al piano, quasi per... il sole imbionda sì la viva  lana che quasi dalla sabbia non divaria/ Ah perché non son io con i miei pastori?’ (chiedo scusa per piccole imprecisoni ma sono versi mandati a memoria il secolo scorso). Sperando di non essere frainteso, provo a spiegarmi.

Sto leggendo per diletto  gli originali dell’Antologia di Poesie in Vernacolo Pugliese - iniziativa che si deve alla UIL Pensionati di Puglia e all’Associazione per i Diritti degli Anziani di Bari e che in quest’annata  2018/2019 giunge alla XIV edizione sempre per i tipi della Levante editori  di Bari - e mi sono soffermato  sul  titolo  che da sempre è  «Il mio cuore, la mia terra, la mia vita» e non ho potuto fare a meno di pensare che i tanti pensionati pugliesi sparsi per l’Italia, dopo una vita lavorativa passata fuori regione, declamando i versi sopra citati con nostalgia pensino ‘Ah perché non son io con i miei compaesani?’. Non solo, ma che  tutti aspettino con ansia settembre per poter inviare i loro versi agli organizzatori e lascino i luoghi in cui stanno passando le vacanze (‘ stazzi’ mi sembra un termine buono per ogni interpretazione, chiaramente qualunque  sia la valutazione deve sempre mirare alla positività) e ritornino verso il loro Adriatico, quello che da Trieste ad Otranto  si allunga per 800 chilometri e poco più di 200 per  larghezza.   I nostri pensionati  sono quindi  pronti a ‘poetare’ in quel dialetto che vide messer  Dante tentare una  prima classificazione  (De vulgari eloquentia) parlando di schema che comprendeva  quelli parlati a destra o a sinistra dell’Appennino.   Mi fermo qui, altrimenti  potrei  non essere  in sintonia con padre Dante e invece voglio dimostrargli il mio ‘affetto’ citandolo : « Ben poco ama colui che può esprimere con parola quanto ama».   Premesso che sto scrivendo queste note prima che il Comitato scientifico decreti i vincitori per ogni sezione, vi confesso che sono stati i versi della poesia ‘Compleanno’ di Michele Lucatuorto a farmi pensare al ‘vate’  e al suo amore, più volte manifestato, per Chopin : « Nottùrne di Chopin, nòte dòlge  accarezzano l’aria…..tu bella come sempre, che mi conquisti ancora….sei la mia eterna fanciulla…..Danzeranno  sempre le note di  Chopin in questa  stanza e tu sarai con me a conquistarmi ancora, come oggi, come ieri, e pe sèmbe» (Sono versi che mantengono melodia e sentimento anche in lingua, per cui bravo davvero il poeta).  Quanto avrebbe Lucatuorto  da ‘regalare’ ai nostri giovani in termini di romanticismo letterario e musicale; non gelosia, non sospetto, non noia, ma amore normale (il termine richiama la profondità del sentimento, quello che regala beatitudine, indipendentemente  dalla composizione della coppia!) e traboccante desiderio  per una donna, la sua donna, la sua regina innalzata nella magia di quella sana passione che non può mai finire.  Lucatuorto sa che il corpo, come tutto con il tempo, deperisce, ma lui, lasciando da parte i ‘Preludi’, si affida ai ‘Notturni’ di Chopin, dove l’apparente monotonia e tristezza viene alimentata da una ritmica aggressiva che si tramuta in parole che non hanno tempo, ma esprimono gioia di vivere. Il musicista polacco, nato a Varsavia, ma pur sempre figlio di un francese ha letteralmente conquistato  il nostro poeta Lucatuorto che lo nomina ben due volte nella stessa poesia a dimostrazione che il suo amore per la fanciulla-donna amata dura dall’alba al tramonto della vita.  Ho un solo rimpianto, e di questo chiedo venia a Lucatuorto, oggi non sono nello spirito giusto per esaltare  con termini, vocaboli, espressioni sublimi tale magnificenza per cui chiedo aiuto a Carducci ‘…il verde melograno da’ bei vermigli fior…’ ( Amico lettore dimentica per un attimo la finalità di ‘Pianto antico’ e ricordati che dove vi è il pianto, prima vi è stata una gioia : si piangono le cose e le persone che ci hanno fatto vivere bene !).

Il Segretario Generale della Uil Carmelo Barbagallo,  in una prefazione ricca di spunti condivisibili, attuali e al passo di una società in evoluzione, che richiede certezze e flessibilità consapevole, rispolvera un canzone di Giorgio Gaber : « La libertà non è star sopra un albero/non è neanche il volo di un moscone, la libertà non è  uno spazio libero/libertà è partecipazione», che può essere ricapitolato  nell’assunto ‘la libertà è il diritto di fare tutto ciò che non danneggia gli altri’. Gaber era un figlio della buona borghesia milanese di chiare origini slave (vero cognome  Gaberscik) che ha dovuto subire l’affronto  per cui  molti, in buona fede, hanno confuso la sua ‘partecipazione’ con lo spirito di Pierre de Coubertin, il fondatore dei moderni Giochi Olimpici. La ‘partecipazione’ di Gaber  era rivolta a tutti coloro che erano al mondo, indistintamente, quella, invece,  del barone Pierre ( di  chiara  origine italiana del ceppo dei Freri della Roma rinascimentale)  faceva riferimento a delle persone che erano già degli sportivi di discreto successo, essendo stati selezionati fra i migliori del paese di provenienza.

Selezione non fa rima con partecipazione, ecco per cui il Segretario Barbagallo parla, giustamente, di ‘stare insieme’. Il Segretario Generale Uilp Puglia Rocco Matarozzo - uno che con le parole ci sa fare e che non nasconde aspirazioni (non ho detto ambizioni!) letterarie che probabilmente merita e meriterà in un futuro prossimo - nella sua introduzione dice una  verità che va subito sbandierata e condivisa :’…chi si affida alla traduzione in italiano, potrebbe cadere in errore nel giudicare un’opera  perché, spesso, la traduzione è fredda e non riesce ad esprimere tutto il calore e la poesia che il dialetto sa dare, poi aggiunge, grazie al ‘mestiere’ cui ho fatto riferimento prima, ‘….la maggiore soddisfazione è notare come ‘poeti’ della prima ora, prendendo gusto,abbiano affinato nel tempo stile, linguaggio, espressione poetica fino ad arrivare ad alti livelli lirici’. Questa  oculata, attenta, assennata riflessione di Matarozzo  ritengo sia il più intelligente invito ad impegnarsi ed investire in sentimento, magari evitando quelle polemiche che non tengono conto che la giuria prima di emettere una preferenza è assillata da mille dubbi, ma deve scegliere.

Semplice ed efficace la poesia di  Pasquale Frulli «Il vagabondo e il cane», mi ha ricordato dei versi di Leonardo Sinisgalli dedicati a ‘Bianchina’.  Vorrei tanto che Frulli, qualora non conoscesse il poeta di Montemurro (PZ) che ha studiato a Benevento e vissuto a Roma, provasse a leggere qualcosa al riguardo perché  da cosa nasce sempre qualcosa  e da parole poesie.

Acuti e brillanti i versi di Donato Bellomo nella poesia « Bilancia» (mi hanno ricordato un  Vladimir Majakovskij con tanta ‘gentilezza’ in più), rovinati in parte  da quella ‘balzana’ affermazione ‘n’attàn indègnj d’ièss nu capfamigghj’: caro Bellomo meglio non avere nessuna opinione di un individuo, che considerarlo indegno come pater familias, da sempre depositario della memoria  di coloro che ci hanno preceduto.

In compenso lo stesso Bellomo chiude la sua lirica, forse  sulle orme del poeta Salvatore Cutrupi, con una saggezza che sa di vecchia scuola barese: ‘u’pasàt non serv, bsogna scì nnanz, non d’serv pròprj a nudd, chessa vlànz!’. Se ho individuato il Bellomo giusto posso affermare  che ‘ la malasort du pulp bares’ ci ricorda che …’ada mrì pur tu’.

La poesia più genuina, autentica e ‘casareccia’ è senz’altro  « Paese mio» di Benito Tomasone, dal dialetto impossibile ma molto  armonioso.  E’ dedicata a San Severo, cittadina in cui il nome Tomasone richiama  i magnifici Premi Letterari Nazionali Umberto Fraccacreta e  Alessandro Minuziano (In quella San Severo famosa per il santuario della Madonna del Soccorso vi sono due professori, Rosa  Nicoletta Tomasone e Domenico Vesciarelli , uniti anche nella vita, che portano con dedizione e competenza il nome del Gargano in giro per il mondo : instancabili pellegrini - viaggiatori in terra straniera - di una cultura contadina, in cui lo spettacolo di una terra generosa consola di ‘ataviche’ mancanze).

 L’autore di « Paese mio» è un uomo sereno, tranquillo che rimpiange solo un marciapiede, un muro e la sua ragazza. Non vorrei  azzardarmi a concludere che tutti gli essere umani cercano con impegno la felicità, ma a San Severo si ottiene senza fatica, anche servendosi dei  versi.

Voglio dare seguito a  queste atipiche osservazioni con la poesia di Caterina Cannito  dal titolo « Arte nobile, sarta da uomo», che non vuole essere un invito a riscoprire un lavoro manuale in via di estinzione, ma un consiglio a prendere in considerazione mestieri desueti, obsoleti oggi ma che già domani potrebbero assicurare un futuro lavorativo: ‘L’arta nobile m’mbarebbe e dopp me diplomebbe/ sarta da mascule diventebbe/ che ai wagnedde insegnebbe’. Sto scrivendo queste note il 25 settembre del 2019 e ritengo giusto lasciarvi, fedeli miei amici lettori, con la poesia di una signora di Altamura che ha impastato semola di grano duro rimacinato con parole colme di normale gioia, aggiungendo lievito naturale per amalgamare gusto e letizia, il tutto cotto in un forno a legna dove figli e nipoti fanno percepire il clima creatosi ‘grazia di Dio’ e ci ricordano che pane e parole sono una ricetta con cui il mondo, nel bene e nel male, ha collezionato millenni.  Ecco il testo della poesia « Basta poco» che deve essere sufficiente a rendere appagati tutti : poeti, comitato scientifico, redazione, segreteria, azienda editoriale, tipografica e tutti coloro che considerano  i versi  non solo sfogo individuale, intima confessione, gioia condivisa o come diceva Cesare Pavese: « Far poesia è come fare l’amore : non si sa mai se la propria gioia è condivisa» e, proprio per questo motivo,  vi comunico solo i primi versi della poesia ‘ Ogni giorno è un giorno qualunque , ma può diventare speciale, basta poco…’. Il seguito lo troverete leggendo l’Antologia, ma vi ‘dono’ un indizio, che non è una prova, la poesia cui faccio riferimento la troverete  senz’altro dopo pagina duecentocinquanta.

Mi permetto ora un piccolo riferimento personale per  un amico speciale, già premiato in passato per una sua composizione dalla  giuria dei Pensionati di Puglia, che ha ritenuto di ‘rompere’ il rapporto con il sottoscritto  per davvero ‘pretestuosi’ motivi. Mi affido a dei versi sull’amicizia attribuiti a Jorge Luis Borges: «Non  posso cambiare né il tuo passato/ né il tuo futuro / Però quando serve starò vicino a te… La tua allegria, il tuo successo e il tuo trionfo non sono miei / Però gioisco sinceramente quando ti vedo felice/… Non posso dirti  né cosa sei né cosa devi essere / Solamente posso volerti come sei ed essere tuo amico».

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