Libri: i fantasmi del comunismo nella casa deserta

di FRANCESCO GRECO - Controrivoluzionario, borghese, sabotatore... Era facile, nell'URSS di Stalin a ridosso della seconda guerra mondiale, preda dei fantasmi ideologici e delle conseguenti ossessioni di massa, incappare in accuse vaghe e quasi sempre senza riscontri, ma sufficienti a rovinare la vita di un uomo, spedito a migliaia di chilometri, senza che la sua famiglia ne sapesse più nulla. Accade al giovane ingegnere Kolia ("un figlio rispettoso ed un onesto membro del Komsomol"), nonostante una sua invenzione tecnologica di cui ha parlato in prima pagina la "Pravda": "il primo pignone intagliato con la fresa di Fellows fabbricata nel nostro stabilimento". A tradirlo è un compagno d'infanzia, di cui probabilmente ha perduto la memoria.

La madre Olga Petrovna, vedova di un medico, lavora in una casa editrice di Stato ("aveva spesso l'occasione di essere la prima a leggere, ancora manoscritta, una nuova opera della letteratura sovietica"). E i fantasmi giungono anche lì fino a farle perdere il posto. Tutto quel che accade in quell'ufficio, è la metafora allucinante di ciò che avviene nel Paese. E' la solida nervatura che regge il romanzo di Lidija Cukovskaja (Helsinki, 1907 - Mosca, 1996), "La casa deserta", Jaca Book, Milano 2019, pp. 160, euro 15,00, bella traduzione dal russo di Giovanni Bensi, prefazione alla prima edizione di Viktor Nekrasov ( collana "Calabuig").

Più possente di Solgenicyn, più destrutturante di Salamov, "La casa deserta" è un documento sulla notte della ragione di cui fu preda l'URSS. Figlia di uno scrittore per l'infanzia, sodale delle poetesse Marina Cvetaeva e Anna Achmatova (il titolo del romanzo è preso dalla sua poesia "Condanna"), solo nel 1965 ha visto pubblicata la sua opera (in inglese, olandese, tedesco, svedese). E se ne capisce il perché. E' un inno alla libertà di pensiero, contro tutte le dittature di ieri, oggi, domani. Nello specifico, troviamo la quotidianità in chiave minimalista (dalla coabitazione al risparmio della corrente elettrica al "primus") della vita nell'URSS dell'altro secolo (siamo a Leningrado), dove l'assassinio si chiama "disgrazia".

Con una prosa ironica, ma di un'ironia sottile, quasi impercettibile, sospesa fra sociologia e antropologia, misteri e censure. L'illusione di un mondo e un uomo nuovi e la delusione per la sua caduta è nel calvario di una madre che si sottopone a file interminabili per avere notizie del figlio, che lotta contro il muro della burocrazia e del cinismo. E quando Olga ("le piacevano i romanzi stranieri") si spegne lentamente, con lei muore anche la speranza di chi - tutto il popolo sovietico - in quell'utopia, quel sogno fattosi incubo aveva creduto.
Nuova Vecchia

Modulo di contatto