'L’ufficiale e la spia': la recensione

di FREDERIC PASCALI - La ricostruzione cinematografica di un angolo di passato celato in un’epoca lontana è un lavoro che inevitabilmente si trova, prima o poi, a fare i conti con l’ispirazione soggettiva del regista di turno. Roman Polanski non si sottrae al rischio e nell’ adattare il bel romanzo di Robert Harris coglie l’occasione per indirizzare la sintesi verso la sottolineatura di un suo personale punto di vista.  La Parigi dell’Affaire Dreyfus, quella della Belle Époque, rivive con pochi tratti, pennellate decise che si innervano nel racconto cablato sulle vicende del protagonista: il colonnello Marie George Picquart.

È lui l’ufficiale che, nonostante i propri pregiudizi antisemiti, si mette alla ricerca della verità con intransigenza e dedizione tale da non temere di rischiare la propria carriera. Da poco messo a capo della Sezione di Statistica, il controspionaggio dell’esercito francese, visionando un nuovo documento intercettato presso il cestino dell’addetto militare tedesco, il colonnello Schwartzkoppen, si accorge che la scrittura del traditore di turno è combaciante con il famoso “borderau” attribuito al capitano ebreo Alfred Dreyfus.

La sceneggiatura de “l’ufficiale e la spia”, scritta dagli stessi Polanski e Harris, si muove in punta di fioretto svicolando l’enfasi, cercando di concentrarsi sugli aspetti realistici che la scenografia, di Jean Rabasse,  e i costumi, di Pascaline Chavanne, riproducono con eccezionale cura.  Tuttavia, in questa cernita dei fatti, in questo viaggio intimo al servizio della verità,  le velature della trama incidono non poco nella sortita di un pathos che non sembra mai essere realmente al centro dell’azione. Il dramma di un uomo, di un popolo, di una nazione intera si inerpica in una struttura narrativa che ricorda molto da vicino i grandi sceneggiati Rai degli anni ’60, ’70.

Jean Dujardin, “George Picquart”, Louis Garrel, “Alfred Dreyfus”, Emmanuelle Seigner, “Pauline Monnier”, sono perfetti nei loro ruoli e rappresentano al meglio un cast di assoluto valore che muovendosi su di una linea interpretativa dai contorni vagamente teatrali, ben sostenuta dai dialoghi e dalle musiche di Alexandre Desplat, cinge la pellicola di Polanski di un’aura classica hors catégorie.
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