La superstizione: alcuni arnesi che sono oggetto di atmosfera inquietante

di VITTORIO POLITO - Chi di noi non è stato mai superstizioso? Un gatto nero che attraversa la strada, uno specchio che si rompe o l’olio che si versa, o il verso di una civetta.

Dopo la precedente nota sulla superstizione dei marinai, oggi ci interesseremo di alcuni oggetti che sono oggetto di superstizioni.

Nel mondo della superstizione la nostra esistenza è scandita dall’utilizzo di una grandissima quantità di oggetti: dai più semplici (come la chiave), ai più complicati (come il telefono cellulare) e questi strumenti svolgono con efficacia il loro compito ogni qualvolta che richiediamo il loro aiuto.

Molti oggetti sono contrassegnati da un’atmosfera inquietante, in certi casi diventano vere e proprie spie per segnalare, come strumenti profetici, cosa ci riserverà il futuro. Ma vi sono anche giorni e date considerati nefasti. Per rendersene conto basta osservare alcune indicazioni suggerite dalle più diffuse superstizioni che accompagnano alcuni oggetti di uso quotidiano, come si legge nel volume «Il libro delle superstizioni» di Massimo Centini (De Vecchi Editore), dal quale sono state tratte alcune di queste note. Per brevità segnalerò solo qualcuna, ma l’elenco è piuttosto lungo.

Il bicchiere, ad esempio, è tra gli oggetti maggiormente utilizzati dall’uomo durante la giornata. È pericoloso osservare qualcuno attraverso un bicchiere, poiché questa azione sarà preludio di una prossima lite. Anche guardare attraverso un bicchiere rotto è pericolosissimo poiché così facendo si “chiama la sventura”, già annunciata con il danno della rottura. Attenzione se durante il brindisi un bicchiere si rompe, rappresenta, per i superstiziosi, un annuncio di morte.

Il coltello è noto soprattutto come arma e, di conseguenza, impugnare un coltello, almeno a livello inconscio, rimanda a immagini belliche o violente, quindi maneggiarlo senza la dovuta cura può apparire come volontario segno di scontro. Ancora più difficile è comprendere perché far cadere un coltello quando si è a tavola, determinerebbe la rottura di un fidanzamento, naturalmente se il distratto che l’ha lasciato cadere si trovi in tale situazione sentimentale. La superstizione non è valida per chi è sposato…

I superstiziosi traggono auspici anche dalla caduta delle forbici. Bisogna farle raccogliere da altri o, se non è possibile, camminarci sopra prima di sollevarle. Quando le forbici cadono e le punte rimangono infisse nel terreno, ciò corrisponde ad un presagio di morte. Regalare forbici equivale ad augurare del male.

La superstizione ha trovato ampio spazio anche intorno a cose non pericolose come il pane. Prima regola non sprecare il pane. Buttarlo sarebbe un gesto destinato a condurre il sacrilego alla povertà. Infatti, il pane consacrato rappresenta il “Corpo di Cristo” e quindi al di là del valore nutritivo, riveste un ruolo sacro.

Usare un pettine appartenuto ad una persona defunta, si rischia di seguire il precedente possessore.

Anche il rasoio è considerato dai superstiziosi un oggetto pericoloso, alla pari del coltello, infatti si dice che regalare un rasoio ad un amico porta sfortuna, ma oggi con i rasoi “radi e getta”, queste credenze stanno scomparendo

La scopa, oggetto emblematico del femminile, è sempre stato uno strumento intorno al quale la superstizione si è sbizzarrita. Un proverbio francese avverte: «Se pulisci la casa con una scopa verde in maggio, ‘scopi’ via anche il padrone di casa…». Se una ragazza cammina sul manico di una scopa sarà madre prima di sposarsi. Questa superstizione forse risente dell’influenza dei numerosi riti di fecondità precristiana. Quando si cambia casa non portarsi dietro le scope vecchie, poiché così facendo si porterebbero nella nuova abitazione tutte le precedenti sventure. Infine, se alle nubili o ai celibi si passa la scopa sui piedi è ‘certo’ che non si sposeranno, e se lo faranno, il matrimonio è destinato a durare poco.

Nel folclore di numerosi paesi, si racconta che se un uomo è colpito con la scopa da una donna, diverrà impotente: una espressione figurata molto chiara per sottolineare il rischio che corre l’uomo incapace di difendersi dagli attacchi del cosiddetto “sesso debole”.

Nella prossima nota si parlerà degli animali “da tener d’occhio”.

Diciassètte ’u numere mbame
di Peppino Franco (1891-1982)

Vogghe acchià ijnd’all’uffiggie
a ccendrà sòpe a lla porte
mbacce a mmè: diciotte e vvìnde.
Tu, mmò, uè la mmala sòrte?;
Percè m’àcchie dirimbètte,
m’honne puèste dicessètte!
Stà ’u novanda, trendatrè,
vindisètte, dicennòve,
pure ’u sìdece cu se’,
vinditrè, sessandanòve…
nòne càcchie… maledètte
me cendròrne ’u dicissètte.
E mmò cudde ca iè state
cce se crènze ca me mbrògghie?
Jì le numere le fazze
chemannà acquànne vogghie.
E cci iùne è scaregnàte…
Jì t’ ‘u fazze affertènate.
E all’amìce e alle nemìce,
cusse avvise ngi acchia dà:
Ci ve vene ’u desederie
de venimme a chiamendà,
vògghie l’ècchie tutte sanghe…
vràzze apijrte e ccòre franghe!
Ca ci s’acchie ngocche e iùne
ca pò vene pe’nzuldà…
tanne mbrìme ’u dicessètte
ngi avà fa passà le uà:
Senza disce tate e mmàmme
s’avà ròmbe le do gamme!

(Da “Citte citte… fra nu e nu…” di P. Franco, Grafischena, Fasano 1976)
Nuova Vecchia

Modulo di contatto