Quegli emigranti “traditi” dall’Italia

di FRANCESCO GRECO - Volete una casa al mare al costo di un caffè, un misero euro? Piano terra, primo piano e cantinetta seminterrata? In Puglia si può trovare agevolmente. Sono le seconde case che gli emigranti di prima e seconda generazione (dai ’60 agli ‘80) si sono fatte nelle marine più vicine per le loro vacanze con figli e nipoti. Con i duri sacrifici che possiamo solo immaginare. 

L’offerta è praticamente illimitata. Non perché il mercato immobiliare affanna al tempo del Covid-19, il “mattone” tira sempre, ma semplicemente perché queste case “scottano”, negli ultimi anni si sono svalutate e i proprietari non vedono l’ora di disfarsene per eliminarle dalla dichiarazione dei redditi. Vecchiaia amara quella dei nostri emigranti, abbandonati al loro destino dai governi degli ultimi vent’anni e, come vedremo, anche dall’Unione Europea agonizzante sullo zero virgola, che specula sui massimi sistemi e non vede le contraddizioni reali.

L’UE poco meno di vent’anni fa (giugno 2001) mise la Svizzera nell’elenco dei “paesi canaglia”, cioè, destinatario di capitali sospetti. Il processo era cominciato nel giugno del 1992 ed è molto articolato e complesso. Ignoriamo il retroscena di tale decisione: anche prima la Confederazione intercettava denaro di dubbia provenienza (quello degli Ebrei, per dire), ma, si sa, ai tempi di Cesare si diceva “pecunia non olet”.

"I governi italiani, consapevoli della fuga di capitali dall’Italia verso l’estero e la Svizzera in particolare – osserva da Sion il prof. Domenico Mesiano, già insegnante nelle scuole italiane in CH e dirigente sindacale della Uil – emanarono dei provvedimenti particolarmente favorevoli dal punto di vista fiscale (il cosiddetto scudo fiscale) per favorirne il rientro e fare una sanatoria senza conseguenze penali per i numerosi esportatori di capitali. Ciò provocò il rientro massiccio di capitali, la denuncia di beni posseduti all’estero e il calo considerevole dell’afflusso di denaro verso la Confederazione e le sue banche. Centinaia di milioni di euro!".

Prosegue Misiano: "Preoccupata della situazione che si era venuta a creare (soltanto in Ticino si erano persi centinaia di posti di lavoro nel settore finanziario e bancario), nel 2010 Berna decise un’azione di contrasto, proponendo a sua volta un provvedimento di sanatoria e di denuncia spontanea per i beni posseduti all’estero dei cittadini svizzeri e anche dei cittadini stranieri residenti, compresi gli emigrati. Questo provvedimento – aggiunge il prof. – faceva riferimento a una legge già in vigore da prima. Soltanto nei confronti dei cittadini stranieri non trovava applicazione perché era un’arma spuntata. Infatti, per essere efficace necessitava di un riscontro da parte degli Stati stranieri per avere i dati di accertamento e verifica sui beni posseduti dai diversi soggetti, nel nostro caso in Italia".

E dunque? "Questo strumento gli è stato fornito dal Governo Italiano col negoziato e accordo finale sulle doppie imposizioni e lo scambio automatico di informazioni entrato in vigore alla fine del 2018. Accordo che prevedeva espressamente la reciprocità tra i due stati per la trasmissione annuale dei dati sui beni mobili e immobili posseduti dai cittadini dei due paesi.

In questo negoziato e accordo finale, il Governo Italiano non ha tenuto in alcun conto della specificità degli emigrati italiani e degli onerosi esborsi finanziari a cui venivano esposti. Ai nostri governanti premeva soltanto poter avere finalmente accesso agli elenchi dei depositi bancari degli esportatori di capitali. Un obiettivo giusto che faceva pagare le conseguenze ai cittadini italiani emigrati, “colpevoli”, si fa per dire, soltanto di aver finanziato nell’ultimo mezzo secolo l’economia del Mezzogiorno, anche e soprattutto grazie al gran flusso delle loro rimesse".

Aggiunge il prof. Antonio Negro (nella foto), anche egli insegnante presso le scuole italiane di Zurigo e dirigente Uil-Scuola: "Non si è avuto il buonsenso né l’attenzione per negoziare delle clausole di salvaguardia per queste specificità e tipologie di investimenti. La Svizzera, avuto l’accordo, ha emanato delle disposizioni molto precise e onerose, attraverso una procedura di “denuncia spontanea”.

Tale procedura prevedeva il pagamento delle imposte e gli interessi per gli ultimi 10 anni, senza sanzioni se fatta entro il 31 dicembre 2018. Un salasso!". Come dire: siamo al limite del favoreggiamento: il fisco elvetico prende e l’Italia regge il sacco. Si sa di emigranti che hanno dovuto versare fino a 60 mila euro per mettersi in regola con gli arretrati di 10 anni. E poi continuare a pagare annualmente le imposte su tali beni con la dichiarazione ordinaria annuale (imposte comunali, cantonali e federali sul reddito e imposta sulla fortuna). Alcuni hanno azzerato i risparmi, altri acceso mutui con le banche. Che bella vecchiaia!

Da qui la decisione di disfarsi di un pezzo del proprio cuore: la casa al mare o anche i terreni. Il tutto, è da ribadire, nel silenzio generale. Saremmo grati pertanto a Bruxelles, dedita al lavoro di goniometro per la misurazione della curvatura delle banane, se volesse dire una parola, anche non di sinistra, visto che i Governi Italiani (che hanno avuto e hanno commissari di casa nostra, da Prodi a Gentiloni, silenti come sfingi) tacciono impudicamente come sepolcri imbiancati. Gli stessi emigranti che ci hanno fornito la documentazione per questo articolo, vorrebbero poi mettere in rilievo la loro condizione di figli di un dio minore, abbandonati a sé stessi.

Tutti i diritti sono dei migranti nel nome dell’accoglienza, e zero a loro che hanno mantenuto l’economia. E fanno un solo esempio: il baccano di un anno e mezzo fa (15 ottobre 2018), quando il Comune di Lodi scoprì che i genitori di Mohammad, bimbo marocchino, possedevano beni immobili a Casablanca, e chiese agli immigrati di collaborare alle spese dell’asilo, la mensa, il trasporto, ecc. Si scatenò una tale tempesta che dovette soprassedere. Ma dire questo, coi tempi che corrono, è politicamente scorretto. Intanto gli emigranti “traditi” pagano, e tacciono.
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