L’alba fatata di Vittorio Patella… ama l’Amore


GRAZIA STELLA ELIA - Chi scrive versi spesso li lascia in un cassetto oppure, se li pubblica, pensa ad un lettore (se poi i lettori sono tanti, tanto meglio), ad un interlocutore che non mancherà di comprenderne il senso e, magari, lo ringrazierà della fatica letteraria compiuta.

Nel libro «In un’alba fatata…amare l’Amore», FIDES EDIZIONI-2020, che Vittorio Patella dedica alla moglie Angela, è chiaro che la prima interlocutrice è lei, la donna della vita, la madre dei suoi figli, la consigliera, la compagna amabile e severa, colei che di lui è divenuta l’angelo accompagnatore nelle vicende dolci e amare del quotidiano.

Il tema, certamente di riconosciuta intensità, induce l’autore a fare della poesia il mezzo più idoneo all’espressione.

La poesia, come dice Santa Fizzarotti Selvaggi nella Prefazione, “è corpo sonoro, quel suono originario che, in un inesprimibile soffio, creò il mondo. […] La poesia lascia sgorgare dal cuore segreti pensieri, consente di ‘abitare’ diversamente il mondo”.

Chi scrive poesia vive in una realtà di sogno e il sogno può essere liberatorio e catartico. Sogno è, per questo poeta, l’immagine (certamente sfocata dal tempo) di sua madre.

Da questo momento il canto dell’amore prosegue per un volo di versi e versi che nascono ad esaltare il sentimento che è il re dei sentimenti.

Un sentimento per il quale “attendere non è mai poco” e Vittorio Patella intende attendere, con l’ausilio di “due raggi rubati al sole”, che è suo “amico”.

Originale l’incipit del componimento Cuore stanco (p. 43):“Ho mandato a scuola / il mio cuore”. Già, visto che non riesce ad esprimere i sentimenti che contiene, il cuore ha bisogno di essere istruito ed educato, con l’auspicio che, cambiando i pensieri e il volto, si aprano “le labbra”.

Chiaro omaggio, dono di sé alla donna amata, sono i versi Pensami ancora (p. 51): “… Lasciache inventi / castelli d’acqua chiara, / avvolga i desideri, / protegga / emozioni senza ritorno”.

Ed ecco, a pagina 64, il titolo Eroe del mondo, che porta il pensiero all’eroe per antonomasia che fu e rimane Ulisse viaggiatore, protagonista di molteplici avventure, con il cuore in frenetica ansia per il ritorno a Itaca. In questo contesto

c’è lui, il poeta “cittadino dell’universo”, con il cuore “che batte veloce / alla ricerca / di un traguardo invisibile”; lo stesso eroe che, a pagina 72 dice: “Aspettiamo ali giuste… / per volare lontano”.

Aleggia qua e là una nota di tristezza, un velo di malinconia che proviene da una certa sfiducia negli altri, ma la speranza rimane viva, alimentata dall’idea che il cielo non può essere sempre nuvolo, ma “il caldo sole risorgerà”.

La madre, quasi sconosciuta, ritorna come “consigliera del nulla”, sul vuoto di una sedia, quando il figlio, in “serena solitudine”, le parla come ad una “silenziosa amica”.

E si arriva all’inno per l’estate, intesa come calore stagionale e fuoco umano che risveglia “ardori” ed è “soffio di vita / per il suo cuore”.

Segue l’auspicio per un incontro d’amore “con la bellezza / di un sorriso”.

Il diapason della vita è tutto in questo concetto: “Amare per essere amati, / lasciar sorridere il cuore / sempre di più, / questo è il mistero / della vita!”

Sono da notare gli ossimori, come: “il silenzio più rumoroso” (p. 39); “la saggezza della follia” (p. 113); “per piangere sorridendo” (p. 115); “viaggerò nel buio / e mi rivestirò di luce” (p. 128). E non mancano concetti metaforici.

Presenza assidua è la donna, concreta e immaginaria, àncora, colonna che sostiene: ”Desidero il tuo fianco / al mio fianco / come disegnato / nei nostri battiti”.

Reiterato si riscontra l’uso del punto esclamativo, come se il ricorso ad esso valga ad aggiungere al detto il non detto.

Filosofico il pensiero espresso nel testo Sembrare (p. 134) che richiama il “gnotisauton” del delfico tempio di Apollo, corrispondente al latino “nosce te ipsum” e a pagina 135 si legge, in paradigmatica chiusura: “Sembrare e non essere, / maniacale e perversa / abitudine!”.

Ricco di anafore il componimento Amo il bello (p. 156), in cui la parola ‘amo’ a inizio del verso compare nove volte.

La poesia è essa stessa Amore, “musica unica e speciale, / inattesa e desiderata”.

La poesia è anche donna da amare e la donna rimane fonte di ispirazione e di saggezza, l’unica che, in un mondo in cui “l’essere mangia l’essere”, è capace di mostrare “la grandezza del vero, / la brutalità / della ipocrisia”.

La speranza si riaccende, illuminandosi di amore. Ne consegue l’esortazione a se stesso e agli altri: “Non temere mai l’oscurità… / cerca la luce che nasconde / e non sarai mai solo!” (da Questa notte il cielo, pp.153 – 155).

Terra di Puglia è un caldo, appassionato inno alla nostra Regione, “terra nera, / secca di sole, […] terra adulta […] terra di scontro […] terra di Puglia, ricca di cuore” (pp. 158 – 160).

Commovente la poesia successiva, Madre, con versi dallo struggente amore filiale: un figlio che poco o niente sa della propria genitrice e continua a vivere la vita nella ricerca illusoria e poetica di lei, che da troppo tempo non c’è più.

Si giunge poi all’Epilogo, una sorta di esplosione di parole sapide di sofferenza per sopraffazioni subite ed anche di parole benauguranti per l’anno nuovo: una speranza – richiesta di serenità, perché è desiderio del poeta mettere da parte ogni odio e vendetta, al fine di sentirsi “nuovo”, circondato da una umanità che sa vivere in “equilibrio tra il bene e il male”.

Si tratta dunque di un libro che si legge volentieri; un libro di amore e introspezione, impreziosito da pagine che riportano suggestive immagini accompagnate da pensieri e aforismi di autori di tutto rispetto, quali Emily Dickinson, Pablo Neruda, Marcel Proust, Italo Calvino, William Shakespeare…
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