“Lab Girl”, il romanzo della scienza


FRANCESCO GRECO - Siete stai mai dove il sole non tramonta ma nemmeno sorge mai, dormi fino a quando non ti svegli, mangi finché non sei sazio e lavori finché non senti la stanchezza arrivare?

Preparatevi allora a fare un viaggio affascinante con cui saprete anche che negli ultimi 10 anni abbiamo distrutto più di 50 miliardi di alberi, che ogni 10 anni ci sbarazziamo di oltre l’1% del patrimonio arboreo mondiale (un’area vasta quanto la Francia), un puzzle che mai più sarà ricomposto, che in 30 anni abbiamo tagliato più di 8 miliardi di alberi sani, che nel Midwest si “sentono crescere le piante”, e “riesci a percepire questa crescita sotto forma di un fruscio ininterrotto”, che un seme di ciliegia può restare inerte anche per 100 anni e serve un’alchimia di temperatura-umidità-luce e altri fattori perché cominci a lavorare e tenti l’avventura di crescere, che un milione di semi di un’orchidea pesano quanto una graffetta e un albero “ricorda la propria infanzia”.

E poi che un seme di loto può aspettare anche 2000 anni per avere un futuro, che talvolta gli olmi in Virginia non fioriscono, che per circa 200 milioni di anni i dinosauri hanno girovagato in grandi gruppi sul pianeta… E tanto altro ancora. Perché la scienza, la natura, la ricerca, si possono declinare come un appassionante romanzo.

Hope Jahren è nipote di immigrati norvegesi (nel 1880). Grobiologa, da “Time Magazine” nel 2016 è stata inserita fra le cento persone più influenti al mondo, specializzata a Berkeley (California), oggi insegna all’Università di Oslo, ma ha fatto la ricercatrice in mezzo mondo.

La sua autobiografia, da quando, bambina, curiosava nel laboratorio del padre, finché, cresciuta, ha fatto la “galoppina” nella farmacia di un ospedale con Lydia e Claude … e infine non si è messa a girare il mondo, è racchiusa in “Lab Girl” (La mia vita tra i segreti delle piante), Codice Edizioni, Torino 2018, pp. 336, euro 20,00, collana “Le Scienze”, traduzione di Daria Cavallini. Un libro che ha vinto molti premi, negli USA è un best-seller.

Meritatamente. Perché Hope (madre di un bambino che percuote un banano con la mazza da baseball: emozionante la narrazione di come è diventata madre) è nata per fare la scienziata. Non solo per il carattere curioso sin da bambina, determinata e autosufficiente, ma anche per la predisposizione a lottare per i finanziamenti federali e privati (sorpresa: scarsi, come da noi, specie dopo l’11 settembre) per far andare avanti il suo laboratorio dove si lavora sempre, senza orari (anche 80 ore), pure la notte e durante le feste comandate.

Il tutto mentre sovrappone – espediente letterario suggestivo - il suo percorso esistenziale, professionale, sentimentale al Dickens di “David Copperfield”. Un fascinoso intreccio che procede su due livelli: fra la botanica sul campo e il lavoro lab.
 
Perché anche le scienziate (“Per affermarsi ci vuole un’eternità”, “Un vero scienziato non conduce esperimenti prestabiliti, ma ne elabora di propri…”) si innamorano, in questo caso di un armeno, Bill, che non sa dove andare a dormire e sonnecchia in un laboratorio dove Hope lo ha fatto assumere, finché non succede un disastro, fra vecchie radio e ampolle in frantumi, poi compra un vecchio furgone dove...

Dopo aver letto questo libro lieve, fantastico, ironico, più utile più di mille saggi di antropologia per capire l’America (“terreni coltivabili in abbandono, specie in estinzione, progressiva deforestazione”) e gli americani (anche quelli che si presentano a casa tua “con la salopette sopra il torso nudo”), imparerete “l’impagabile gioia del rumore superfluo” e che scoperte e guai “sono facce della stessa medaglia”, ma anche “quella felicità semplice e profonda che scaturisce dal non essere soli”, che la vita e l’amore vanno rinnovati ogni giorno e assaporerete il pathos commuovente di un viaggio nella memoria dell’uomo e della natura, scoprendo che “l’amore e il sapere sono simili…”, farete infine un incontro inaspettato: le piante della resurrezione (sono 100!) e guarderete le foglie, piante, alberi intorno con rinnovata curiosità, e anche incredulità. Senza le foglie non vivremmo mezzora, è bene fermarsi a rifletterci sù.  Grazie Hope per le cose che ci hai detto, e per quelle che ci dirai…

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