'Magari': la recensione


FREDERIC PASCALI - La storia del cinema è piena di opere prime vissute il tempo della loro distribuzione e confinate poi nel ricordo più sbiadito o quantomeno private di quell’interesse in grado di evocarne una “seconda volta”. Ai margini di questo dirupo si colloca la pellicola diretta da Ginevra Elkann con protagonisti Alba Rohrwacher e Riccardo Scamarcio.

“Magari”, sceneggiato dalla stessa regista insieme a Chiara Barzini, assomiglia più a un rivedibile esercizio di stile che a un lavoro in grado di coinvolgere e rappresentare emozioni e sentimenti.

La trama focalizza le attenzioni su di una famiglia di estrazione fortemente borghese dove tre figli, tra cui il più grande alle prese con il debutto dell’adolescenza, sono prigionieri delle complessità affettive tipiche di una coppia separata. La madre, francese, un po’ snob e ossessionata dal culto della religione ortodossa, e il padre, italiano, sceneggiatore alla ricerca del successo con perenni difficoltà di denaro, dei genitori a cui chiedere aiuto a malincuore e un’amante che è anche la sua più stretta collaboratrice.

Un ménage non affatto semplice che i numerosi primi piani, gli sfondi naturali e tutti i cliché classici delle incomprensioni tra padre e figlio non riescono mai a renderlo protagonista della potente dose di umanità con la quale si preannuncia. La sedimentazione dei pensieri, la riflessione sulle cose, l’approfondimento, tutto appare artificioso, contrito, strattonato verso un finale dove conta solo far defluire i conflitti e tracciare un punto di vista definitivo dell’idea di famiglia. Un traguardo a cui si arriva con grande fatica e una certa apatia emozionale passata indenne attraverso le scene più drammatiche, o urlate, mai veramente persuasive.

Tra tante incertezze i più convincenti appaiono gli interpreti più piccoli: Oro De Commarque, “Alma”, Ettore Giustiniani, “Jean”, e Milo Roussel, “Sebastiano”. Nonostante siano penalizzati da dialoghi non sempre irreprensibil, riescono a introdurre una loro personale efficacia espressiva che in fondo, fatta salva la fotografia di Vladan Radovic, lancia messaggi di speranza e la conferma che domani è sempre un altro giorno.

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