'Padrenostro': la recensione

FREDERIC PASCALI - Gli occhi di un bambino di 10 anni cercano nella propria immaginazione la forza per interpretare una realtà difficile da accettare. È questa la visione autobiografica di Claudio Noce che dirige un’opera introspettiva tratta dal drammatico episodio che, suo malgrado, vide protagonista il padre: il vicequestore Alfonso Noce, capo del Nucleo regionale dell’antiterrorismo.

Nel 1976, in una Roma perenne ostaggio delle tensioni di quelli anni di piombo, i Nuclei Armati Proletari organizzarono un attentato contro Noce proprio di fronte alla sua abitazione.

È questo il punto di svolta principale dell’intero racconto, il momento in cui prende corpo con maggior vigore la definizione del rapporto padre/figlio con l’introduzione del personaggio di Christian, il figlio del terrorista ucciso, che di Valerio diventa il migliore amico e la nemesi delle sue astrazioni.

Le molte sequenze al rallentatore, forse troppe, la ricerca continua del primissimo piano donano al racconto una dimensione quasi onirica che si esaurisce progressivamente con lo svolgersi del rapporto tra Valerio e il padre. Si resta tuttavia incerti nel considerare questa la matrice del film di Noce a scapito, per esempio, dell’amicizia tra i due ragazzi determinata dall’inusuale legame di sangue e di dolore dei propri padri.

Nel suo complesso “Padrenostro” risulta abbarbicato attorno a una forma espressiva che, seppure ammantata di un filtro poetico e di un gusto estetico notevole, indugia con una malcelata ridondanza sugli aspetti animisti finendo per eccedere in sottolineature a scapito dell’essenzialità della trama. Non per questo va omesso un plauso alla scenografia e ai costumi, rispettivamente a cura di Paki Meduri e di Olivia Bellini, e alle scelte d’inquadratura efficaci nell’identificarne la connotazione storica.

Tra gli interpreti risulta di notevole talento la prova del piccolo Mattia Garaci, Valerio, così come quella di Francesco Gheghi, l’enigmatico Christian. Come gli capita ormai da tantissimo tempo, Pierfrancesco Savino non delude e nella parte di Alfonso sfoggia una prestazione che gli vale, con merito, la Coppa Volpi della Mostra del Cinema di Venezia. Una conferma che impreziosisce un cast che attende molto di buono, brava Barbara Ronchi, “Gina”, così come la fotografia firmata da Michele D’Attanasio che si fa apprezzare in ogni frangente.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto