Leggende, simboli e curiosità di Natale


VITTORIO POLITO – Natale, festa prettamente cristiana, è diventata negli ultimi anni, occasione per una corsa al consumismo, un festeggiamento frenetico, sostituendosi da un clima di celebrazione e di riflessione ad una gara commerciale, facendo intervenire spesso la Chiesa a promuovere con incisione il significato religioso.

I simboli di Natale sono numerosi ma il più importante e significativo è rappresentato dal Presepe. Nel medioevo prese il nome latino di praesepium che significa recinto chiuso o mangiatoia, quella mangiatoia che vide nascere Gesù.

Anna Maria Tripputi ricorda che il digiuno della vigilia ha antiche radici agrarie, dal momento che i contadini lo praticavano in coincidenza con le pratiche agricole più importanti che cadevano all’inizio dell’anno. Un proverbio popolare recita “Ci non fasce u desciune de Natale o è turche, o è cane” (Chi non fa il digiuno di Natale o è turco - nel senso che non ha sensibilità - o è cane” (da “Placida notte”, Malagrinò Editore).

Vito Maurogiovanni, invece, racconta che la notte del 24 dicembre un bambino fu rapito da briganti e non avendo ottenuto il riscatto dalla famiglia lo dovevano uccidere. Mentre stavano per compiere l’orrendo misfatto, una luce vivissima apparve nel cielo ed accecò gli assassini. Il bambino si salvò e vide un altro bel Bambino che teneva la corona in capo, la croce in mano ed il mondo nell’altra. Era Gesù. Un’altra leggenda di Maurogiovanni “Gesù e l’usignolo” (Antico Natale, Edipuglia), ricorda la Madonna che tentava di addormentare il dolce Figliuolo che invece continuava a frignare come tutti i bambini del mondo. Quasi disperata pregò il Signore di consolare il divino Infante che non aveva pace e che la metteva al limite della cosiddetta santa pazienza. Fu in quel momento che entrò nella grotta un usignolo il quale si mise a cantare con tanta soavità e con tale trasporto che il Messia se ne andò in estasi e cadde in un sonno profondo e per non disturbarlo l’usignolo non trillò più e uscì dalla capanna per annunciare a tutti gli animali del mondo di tacere a lungo per non interrompere il sonno del santo Fanciullo sceso sulla terra.

Il bue e l’asino divengono simboli del popolo ebreo e pagano, mentre i re Magi, il cui numero è stato fissato da S. Leone Magno. Essi rappresentano le tre età dell’uomo (gioventù, maturità e vecchiaia) e le tre razze in cui si divide l’umanità: semitica (dal nome Sem, figlio di Noè, che secondo la tradizione biblica, sarebbe stato il progenitore dei popoli orientali), camitica (da Cam, figlio di Noè, che ha generato i popoli africani nord-orientali), e giapetica (da Giapeto uno dei titani della mitologia greca che ha generato i popoli occidentali). I loro nomi - Gaspare, Melchiorre e Baldassarre - sono mutuati dal vangelo apocrifo armeno e ormai sono accettati anche dalla tradizione occidentale. I doni dei Magi, invece, sono interpretati in riferimento alla duplice natura di Gesù: l’incenso per la sua Divinità, la mirra per la sua umanità, l’oro perché era un dono riservato ai re.

Gli angeli rappresentano gli esempi di creature superiori, i pastori l’umanità da redimere e infine Maria e Giuseppe, in atteggiamento di adorazione, sottolineano la regalità dell’infante. Oltre al Presepe ideato da San Francesco nel 1223 a Greccio, e che Giotto ha dipinto nell’affresco della Basilica Superiore di Assisi, i simboli del Natale sono numerosi e vari.

Le bacche rosse simboleggiano il Natale, ma ricordano anche il rosso del sangue. La melagrana, simbolo della terra, rappresenta la rigenerazione della natura, quindi il significato simbolico di rinascita e resurrezione.

Il cero natalizio rappresenta la luce, infatti nella notte di Natale arriva la luce tra gli uomini, l’avvento del bambino Gesù. La stella di Natale, secondo la tradizione, è stato il regalo di un bimbo a Gesù. In un lontano 25 dicembre un bambino povero entrò in Chiesa per offrire un dono al Signore, ma era talmente povero che offrì solo un mazzo di erbacce, ma su quei rametti cadde una lacrima del bimbo che per miracolo si trasformò in uno splendido fiore rosso: la stella di Natale. Pare che anche il gioco della Tombola avesse origini antiche. Durante i Saturnali che precedevano il solstizio d’inverno, nell’antica Roma, si concedeva il gioco d’azzardo, proibito nel resto dell’anno. Il gioco era quindi strettamente connesso con la funzione rinnovatrice di Saturno, quindi la buona sorte del giocatore non era dovuta al caso, ma al volere della divinità! Le palline colorate che appendiamo all’albero, pare rappresentino le risate di Gesù bambino. Infatti, un giocoliere che non aveva nulla da portare a Gesù si presentò ugualmente a mani vuote, ma volle offrire quello che meglio sapeva fare, il giocoliere, facendo ridere Gesù Bambino, e da quel giorno si dice che le palline colorate da noi utilizzate rappresentano le risate del piccolo Gesù.

L’Albero di Natale, infine, si diffuse nell’Europa del Nord verso il secolo XI, ma una documentazione certa ne dà la nascita in Alsazia nel 1512. L’abete di Natale simboleggia la figura di Gesù, Colui che ha sconfitto le tenebre del peccato e per questo motivo si è cominciato ad adornarlo di luci.

Infine alcune notizie sulla nascita della nota melodia “Stille Nacht” (Astro del ciel) che, nel 1816, Joseph Mohr compose il testo in forma di poesia. Alla vigilia di Natale 1818, Franz Xaver Gruber compose la melodia nella scuola di Arnsdorf (un Comune della Sassonia) e nello stesso anno venne eseguita, per la prima volta la vigilia di Natale, nella chiesa di San Nikolaus a Oberndorf vicino Salisburgo, dagli stessi autori.

E per concludere una poesia in dialetto barese di Gaetano Savelli (1896-1977), dedicata a Natale.

 

NATALE

di Gaetano Savelli

 

Sònene le cambàne: ‘mmenzanotte:

Jè nate – pasce au munne – ‘u Redentore,

Cudde ca ‘nge ‘sapì dà tutt’u core…

Sònene le cambàne: ‘mmenzanotte!

Ogne case ‘u presebbie che la grotte

E la stelle lecende totta d’ore,

E le Re magge che le facce gnore,

Ogne case ‘u presebbie che la grotte

‘Mmenz’a la strate spàrene zambìne

E càndene la ninna nanne a core

Drete à la bregessione du Bammìne:

-        Amore eterno! – càndene a Gesù,

Che la Fete chiù granne jind’au core,

la Fete ca non pote merì chiù.

Posta un commento

Nuova Vecchia

Modulo di contatto