L'incidenza del Covid sulla popolazione carceraria: criticità e possibili soluzioni


VINCENZO NICOLA CASULLI -
Le persone private della loro libertà, come i detenuti in carcere o in altri luoghi di detenzione e quelle che lavorano in queste strutture, sono certamente più vulnerabili all’epidemia di Coronavirus rispetto alla popolazione generale a causa dell’ambiente confinato in cui vivono.

Infatti, gli istituti detentivi possono fungere sia da fonte d’infezione che di amplificazione e diffusione di malattie infettive. L’azione di Governo per ridurre il sovraffollamento carcerario e limitare il contagio presenta numerose criticità.

La più evidente è di aver legato la detenzione domiciliare ai braccialetti elettronici che, di fatto, sono indisponibili, rendendo questo istituto inidoneo alle sue finalità. Va precisato, inoltre, che una parte significativa della popolazione detenuta non può avere accesso alla misura della detenzione domiciliare per l’indisponibilità o l’inutilizzo di un effettivo domicilio. 

E' bene sempre ricordare che nel nostro sistema penale la pena detentiva è l’"extrema ratio" e, pertanto, le misure alternative, ancor più in questa situazione contingente, sono idonee ad alleggerire la pressione delle presenze non necessarie in carcere. Ovviamente, tali misure sono applicabili limitatamente ai delitti che non rientrano nel perimetro presuntivo di pericolosità sociale e con l’ulteriore necessaria eccezione legata ai reati di particolare gravità (criminalità organizzata, terrorismo, codice rosso, etc.).

I braccialetti elettronici avrebbero potuto risolvere in parte le attuali criticità, sfortunatamente, a quanto è dato sapere, non sono previsti investimenti sulla dotazione degli strumenti elettronici di controllo, di conseguenza, nell’immediato, la misura della detenzione domiciliare in deroga sarà scarsamente applicabile per far fronte alle esigenze di contenimento del contagio nelle carceri sovraffollate, esigenze che lo stesso legislatore ha, di fatto, ritenuto indifferibili.

Ad oggi tuttavia non si conosce ancora una soluzione idonea a risolvere il problema. Preoccupa e non poco l’inerzia del Governo di fronte a quanto sta accadendo negli istituti penitenziari del Paese.

Una soluzione di buon senso sarebbe di introdurre un piano di scarcerazione che rilasci quei detenuti che scontano brevi condanne per reati non violenti; quelli vicino alla fine della loro pena; e quelli con condizioni di salute precarie. Con questa tipologia d’intervento potremmo raggiungere l’obiettivo di ridurre la popolazione carceraria di circa nove o diecimila detenuti, migliorando il decreto e ampliandone gli effetti, facendo in tal modo con proporzione, senza creare allarme sociale, una sintesi che miri ad accontentare un po’ tutti.

Questo sarebbe giusto sia nell’interesse di chi sta in carcere, sia per chi in carcere ci lavora. Oggi occorre agire subito e fare ciò che è possibile. L’alternativa sarà sicuramente l’agitazione nelle nostre carceri e l’aumento di prigionieri malati, in competizione con cittadini per i ventilatori e i letti di terapia intensiva.

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