Un libro prezioso di Nicola Roncone: “Guarda il calor del sole che si fa vino”

LIVALCA - Chi osava supporre che proprio l’uomo che per tutti ha rappresentato a Bari ‘l’emblema’ della Camera di Commercio, fedele complice del professore Tommaso Pedìo prima e del Magnifico Giovanni Girone dopo, avesse il compito di fare riemergere dalla mia memoria il canto XXV del Purgatorio di Dante, per intenderci quello in cui espiano le loro colpe le anime dei lussuriosi, ed invece ecco proprio Nicola Roncone :«In vino veritas e Vinum vita est».

Nicola è quel docente che, quando insegnava a Lecce - questo raccontano coloro che sanno ! - i suoi studenti facevano ‘baccano’(… si narra che le membra di Dioniso, figlio di Zeus, secondo una ricostruzione non ‘accettata’ da tutti gli studiosi, furono raccolte da Demetra e da queste carni nacque la vite come dono per gli uomini; in epoca romana il nome del dio greco divenne Bacco dal greco bàkchos) non si è ancora capito se per il dolore dell’assenza o la gioia della non presenza. Nicola a giorni alterni veniva in azienda con Pedìo, spesso accompagnato da Mauro Spagnoletti e Massimiliano Pezzi, e, in epoca successiva, con il professore Girone, scortato da Peppino Patruno e altro professore che variava secondo le circostanze. Dico questo, e mi permetto di celiare «Vinum bonum laetificat cor hominis» perché conosco Nicola da epoca preistorica; fin da quando, fresco iscritto al glorioso Ordine dei Giornalisti di Puglia, si presentò ad una riunione per interagire, mentre si trattava, come da prassi, solo di ratificare («Homo sum, nihil humani a me alienum puto»).

Roncone mi ha portato personalmente tempo fa la sua ultima fatica editoriale - senza dedica perché sa che io vado, per necessità, ad acqua «A fonte puro, pura defluit aqua» - e ho scoperto che fa parte di una trilogia di studi bacchici, di cui la mia memoria, non più da elefante ma da cavallo purosangue, non trova riscontro.

«Guarda il calor del sole che si fa vino» il titolo del libro che richiama la terzina del canto XXV del Purgatorio e che reca in copertina una magnifica, originale interpretazione grafica del Maestro Gennaro Picinni, che, da ‘profano provetto’, mi permetto di ritenere poco in linea con lo spirito del libro. Maestro Picinni Lei che “nel privato accetta il consumismo come conquista sociale e la tecnologia come dispensatrice di benessere” deve permettermi di obiettare a titolo personale, quindi con scarse quotazioni in…’botte’, che si poteva utilizzare per la copertina, per esempio, una pittura ritrovata a Tebe, in Egitto nel 1450 a.C. in cui vi è una splendida scena di vendemmia, con scribi che contano le giare di vino. Da ‘profano provetto’ posso supporre che avrebbe dato meglio l’idea di quanto il libro spazi nel campo del sapere in modo esperto, erudito e sapiente. Chiaramente se vi è un ‘colpevole’ non è il vino, ma Nicola ( Per onestà devo ammettere che la persona che mi aveva momentaneamente ‘rubato’ il libro dalla scrivania, per giunta vecchio amico del Flacco, quando lo ha riportato, ha rimarcato in dialetto che traduco “ …è un libro da studioso un poco pesante, ero stato attratto dalla geniale intuizione in copertina del maestro Picinni”; il soggetto in questione, oltre ad essere un grande estimatore del numismatico Ruotolo, si considera un esperto di pittura avendo in famiglia…). Nicola come potrai notare sono «Super partes» e ti concedo di apostrofarmi con «Sutor, ne ultra crepidam !» ( Ciabattino, occupati solo di scarpe), ma le mie scarpe sono su misura, con suola in cuoio e rivestimento in pelle.

La magistrale presentazione del professore emerito Giovanni Dotoli contiene una minuscola iperbole:« La carica simbolica e culturale del vino è infinita. Nessun altro prodotto può competere, nemmeno il pane e l’olio». L’emerito di Letteratura francese, ufficiale della Legion d’Onore, forse si è fatto troppo ‘influenzare’ dalla ‘baguette’ francese, pane che solo consumato caldo merita tale appellativo e che in italiano significa letteralmente ‘bacchetta’. Lungi da me l’idea di ‘bacchettare’ un docente di Francofonia ai Cours de Civilisation Francaise de la Sorbonne, ma penso che il pane e l‘olio - il nostro pane e il nostro olio ! - anche con una giuria francese possano vincere ai punti…in questo modo è salvo l’onore di tutti («Dum vinum intrat, exit sapientia» mi lascia perplesso e “Si tibi serotina noceat potatio, vina hora matutina rebibas et erit medicina» non mi vede in sintonia, pur avendo un debole per la Scuola medica salernitana).

Concordo con Dotoli quando afferma: “Roncone, con maestria assoluta e unica, può dimostrare la fortuna letteraria e culturale del vino e l’uso della bevanda stessa”, poi nel momento in cui cita Rabelais e la sua “Gargantua et Pantagruel” non posso fare a meno di osservare che l’opera in questione termina con la sacerdotessa Bacbuc che rivela il testo della Divina Bottiglia «L’unico modo adatto a risolvere il problema della vita, per sedare ogni incertezza, anzi ogni dubbio filosofico, è quello di darsi al bere». Dello scrittore francese nato nel 1483 ( la data si ricava dal fatto che nel 1533 alla sua morte la chiesa di Saint-Paul a Parigi ratificò lo scrittore come settuagenario) alla Devinière, casa di campagna vicino Chinon, sappiamo che nel 1520 è frate minore nel convento Saint-Martin, località Fontenay-le-Comte, e studia con passione greco e latino.

Però alla facoltà di teologia della Sorbona vi era ostracismo per questi testi e il nostro frate, grazie a Clemente VII, passa nell’ordine dei Benedettini (…con indulto papale!) e girando la Francia capirà le condizioni in cui viveva la povera gente ( il padre di Rabelais, oltre ad essere avvocato, era facoltoso proprietario terriero) e, non si sa se sotto l’effetto del vino, concepisce due figli con una vedova di cui tutto ignoriamo, e lascia la tonaca. Quindi si iscrive alla facoltà di Medicina di Montpellier e realizza i suoi primi libri a Lione ( Epistolae medicinales - testo del ferrarese Giovanni Manardi - e subito dopo gli Aforismi di Ippocrate, fino ad un libro su Nostradamus, di cui fu contemporaneo, e che, a mia modesta interpretazione, cita il nostro Roncone nella V Centuria ‘…la sacra pompa abbasserà le ali alla venuta del gran Legislatore…’( «Vina parant animos, faciuntque caloribus aptos»).

Un genio senz’altro, la cui quarta opera viene condannata dalla Sorbona. La sua universalmente riconosciuta eccezionale fantasia, non possiamo attribuirla al vino, ma al suo modo di narrare faceto ed al suo modo di fare satira erudita. Non posso concordare con l’affermazione che ‘il vino non procura i danni degli altri alcool’; basta frequentare una di quelle sedute collettive in cui si cerca di far ritornare ‘sobri’ alcuni amanti del vino. Per giunta citare Plinio per ricordarci che non ci si può ubriacare con il vino, mi fa venire in mente il mio professore di latino di mezzo secolo fa che attribuiva al nativo di Como la frase « Chi semina virtù, fama raccoglie», aggiungendo che il naturalista storico latino ‘brillo’ aveva sbagliato vocale sulla…fam(a)e.

Dalla colta presentazione del professore Dotoli mi piace segnalare versi di Baudelaire ( pur riconoscendo la grandezza del poeta e prosatore francese, devo ammettere che non mi sembra il suo esempio da proporre come modello: entrato in possesso della cospicua eredità paterna visse nel lusso in maniera poco etica per usare un eufemismo!) che sembrano ispirarsi al covid-19 “ Per annegare il rancore e cullare l’indolenza/Dei vecchi maledetti che muoiono in silenzio” e del massimo esponente della letteratura mistica persiana, Djalal ad-Din Rumi noto teologo musulmano del 1200, “Dal nulla è partita la nostra carovana portatrice d’amore” che mi sembrano abbastanza seri per non tenere conto del detto latino «Deficente vino, deficit omne». Concordo con l’esimio professore Domenico Lassandro per tutto quello che ha scritto sul professore Girone e sulla sua profonda cultura umanistica ( quando veniva da noi sapeva che poteva disporre liberamente di tutti i libri che lo interessavano: prendeva i testi si sedeva e iniziava un meticoloso controllo e solo dopo aver visionato l’indice portava via quelli di suo interesse, gli altri li lasciava sulla scrivania su cui si sedeva..unico autorizzato ad accomodarsi dal lato del ‘pilota’; aveva una predilezione per il prof. Giorgio Otranto e da solo si può affermare che ha distribuito il testo “Vicoli e santi”, di cui chiedeva sempre copie). Con questi Amici non sono mai andato al bar, onestamente è un rito che ho sempre aborrito per cui l’Amico Roncone non potrà mai dire di avermi offerto qualcosa!

Io, grande ammiratore di Franco Battiato, quando ho letto che il professor Lassandro citava la canzone « Di passaggio» che l’autore di «Povera Patria» aveva realizzato con il filosofo, poeta, scrittore, cantautore Manlio Sgalambro sono stato pervaso da fulminante ‘ubriacatura’ per cui ( Tauto teni zon kai….kakeina palin tauta……Passano gli anni,/i treni, i topi per le fogne/, i pezzi in radio,/le illusioni, le cicogne. Passa la gioventù, non te ne fare un vanto…nulla si può fermare. Cambiano i regni,/ ….le religioni, gli urlettini dei cantanti….e intanto passa ignaro/il vero senso della vita. Si cambia amore, idea, umore) preciso e sottoscrivo che la bravura dei due catanesi ( Manlio ci ha lasciati nel 2014 e da ateo ha avuto un funerale in chiesa…) non può essere attribuita ad un goccio di vino.

L’Amico Nicola conosce troppo bene il mio modo di celiare con il mondo intero, ma io so pure che Nicola senza essere permaloso, in determinati momenti, può essere suscettibile per cui gli ricordo che essere allegri non significa che va tutto bene, ma spesso si ha voglia di scherzare per non ammettere che dentro si vorrebbe esplodere in un ‘urlo’ liberatorio. Con questo stato d’animo mi sono avvicinato al breve ma intenso saggio che, l’Amico di nuova data, Giuseppe Maria Ruotolo ha redatto :« Osservazioni su un’anonima epistola dedicata a Giuseppe Maria Giovene», come generoso tributo-ringraziamento a Nicola che ha sempre assecondato le sue passioni numismatiche. Quando Ruotolo ha fondato a Bari la Società Mediterranea di Metrologia Numismatica, con la sbandierata intenzione di studiare a fondo i meccanismi che danno vita ai sistemi ponderali, ha voluto nel gruppo di comando, con i professori Angelini, Colucci e Lombardi, anche Roncone. Va detto che Nicola in questi anni ha pubblicato diverso contributi scientifici al riguardo, materiale che è stato molto apprezzato dai cultori della materia.

Ho letto tre volte l’EPISTOLA dedicata al signor canonico Giuseppe Maria Giovene (Molfetta 1753-1837), uno dei quaranta della Società Italiana delle Scienze sopra l’Arte di fare i vini nella Puglia Peucezia (Bergamo 1810, Luigi Sonzogni) e mi sono convinto che non può aver scritto lui l’epistola o forse avrà collaborato fino al verso 70.

Giovene Giuseppe Maria nato a Molfetta nel 1735 (le date sono importanti per dare forza al piccolo ‘volo pindarico’ che andrò ad esporvi) è stato un autentico scienziato: naturalista, meteorologo, entomologo, geologo, ittiologo, collezionista non solo di monete ma anche di antichi vasi italo-greci. Pensate che le sue scoperte riguardo la cocciniglia dell’ulivo’ potevano essere utili agli odierni professionisti che si sono occupati di contrastare la Xylella, ma questo devo affermarlo da profano-profano. Grande amico di Giovene fu un altro dotto molfettese Giuseppe Saverio Poli, che aveva solo sette anni in più del nostro, ma qualche influente amicizia in più per ‘aiutare’ il più giovane collega.

Nel 1799 Poli dovette seguire il re Ferdinando IV in Sicilia e lasciò la custodia dei suoi beni (una grandiosa biblioteca e molti importanti reperti di storia naturale) a Giovene, ma in questi casi è difficile tenere a freno le ruberie dei soldati e i francesi della Repubblica Napoletana confermarono questo spiacevole primato. Poli era considerato anche collezionista di ottimo livello e molte suoi oggetti furono ‘traslocati’ presso l’Accademia delle Scienze di Parigi. Comunque Poli ringraziò l’amico per aver fatto il possibile e iniziò a pensare ad una epistola di ringraziamento (questa è una mia personale supposizione). Tenuto conto che nel 1799, alla morte di Lazzaro Spallanzani, la Società Italiana delle Scienze di Verona ritenne che Giovene fosse la persona più indicata a succedergli, la stima di Poli per un amico che facesse parte dei 40 membri della Società, divenne smisurata. Spallanzani viene considerato il padre della Biologia Sperimentale e questa attestazione rende ancora più evidente la grandezza del nostro Giovene. Nel 1936 è stato inaugurato a Roma, in via Portuense, l’Istituto Scientifico Nazionale di Malattie Infettive, intitolato proprio a Lazzaro Spallanzani. Istituto che il covid-19 ha reso famoso sia in patria, che fuori confine, anche ai non addetti ai lavori. Non me voglia Ruotolo ma non penso che il Giovene, autore di una raffinata opera agiografica su San Corrado di Baviera (San Corrado, patrono di Molfetta, nacque nel 1105 a Ravensburg - Svevia oggi Germania - e fu un seguace di San Bernardo da Chiaravalle e mori a Modugno), volume che all’epoca fu un best-seller e che convinse a tal punto papa Gregorio XVI - pontefice non certo famoso per magnanimi slanci - da concedere a Molfetta ‘la sanzione del culto che fin dal secolo XII si prestava’, possa essere anche l’autore di quei 253 versi che non fanno palpitare il cuore. Probabilmente Poli li ha anche fatti visionare da Giovene e poi ha ritenuto giusto che restassero anonimi. Dal verso 75 in poi in questa epistola vi è tanta cultura, tanta erudizione, tanto sapere, ma manca il cuore, quel cuore che mai nessun vino potrà comprare e vendere, perché frutto di slanci spesso irrazionali e pur tanto umani e che noi cristiani ceteris paribus ( a parità di tutte le altre circostanze) apprezziamo come dono Celeste. Una citazione merita lo studioso amico di Roncone, il dott. Luigi Di Carlo, per il sapiente, paziente, indulgente lavoro di ricerca bibliografica: immagino che Nicola avrà convinto questo giovane, puro amico con :”Ars longa, vita brevis”… aiutatemi mentre io mi riposo.

Un plauso va senza dubbio alla giovane casa editrice 3ar che ha realizzato, progettato e stampato questa fatica editoriale, sono i legittimi eredi dei fratelli Umberto e Matteo Ragusa che, pur non avendo idee convergenti, come fratelli hanno saputo portare avanti un serio progetto imprenditoriale grafico per lunghi anni. Da ‘profano provetto’ ora dovrei far presente all’autore di questo autentico capolavoro che non ritengo adeguata la scelta della nobile carta corolla book premium white della Fedrigoni e proporre che magari una carta avorio avrebbe meglio amalgamato ‘cibo-carta’ e vino; potrei anche rilevare che le otto pagine su carta patinata non avevano modo di esistere perché la foto del Magnifico Girone, non eccelsa, avrebbe avuto la stessa resa sulla carta corolla; eviterei, inoltre, di far presente che l’ultima di copertina lasciata in bianco, con il solo logo della casa editrice, anche per un ‘profano non provetto’, non è il massimo. Essendo il sottoscritto molto legato a Quinto Orazio Flacco, ma poco incline ad accettare senza riserve “Nulla placere diu nec vivere carmina possunt quae scribuntur aquae potoribus” che in sostanza afferma che le cose scritte da coloro che bevono acqua non possono piacere e durare a lungo, con decisione ponderata, evita di ‘esporre’ il tutto.

Nel vecchio testamento si può leggere “date il vino a quelli che hanno il cuore amareggiato” e non si può negare che in genere tutte le religioni beatificano il vino (in verità Maometto pur proibendolo in vita, lo concede, come premio a coloro che sono stati giusti e saggi, nell’aldilà) e pensate che nel 1876 la «Britisch Medical Association» pubblicò la seguente statistica: l’astemio vive 51 anni, chi beve moderatamente 55, bevitori di una certa consistenza 58, i forti bevitori 63 anni e gli ubriaconi 67 ( per amore di quella branca della matematica devo dire che coloro che effettuarono la ricerca inserirono anche i giorni nel loro lavoro, chi scrive si è concesso la licenza di ometterli da provetto astemio). Purtroppo la ricerca rischia di essere seria perché questa associazione fondata nel 1832, in verità si tratta di un sindacato di medici, conta oltre 150.000 iscritti; a questo punto prendiamo per buono l’affermazione di un noto giornalista tedesco, Hans Barth, che pubblicò un libro sulle cantine romane e concluse che ‘importante è bere, l’ora non conta”, rendendo verosimile la tesi di Giovenale “colazione con bottiglia di vino d’Albano e insalata’ e di Orazio che propendeva per la più canonica ora di pranzo. Roncone non cita quella frase “olio e acqua, la donna e un segreto sono cose nemiche” attribuita alla scrittore inglese Giles Lytton Strachey (uno dei soci fondatori del Bloomsbury Group, che prendeva nome dal quartiere londinese in cui si riunivano questi artisti e che si formò dal 1905 fino alla fine della seconda guerra mondiale, con lo scopo di occuparsi di letteratura, musica, femminismo, sesso ecc. ecc.), ma si affida a Terenzio “ senza Cerere e Bacco, Venere ha freddo”, cui si è ispirato il proverbio italiano “ senza Cerere e Bacco è amor debole e fiacco” o “ chi beve il vino è un leone, chi ne beve troppo è un porco, chi non lo beve è un asino”, per arrivare al proverbio toscano “ nell’uva sono tre vinaccioli: uno di sanità, uno di letizia, uno d’ubriachezza”.

Un libro eccellente per la minuziosa e completa ricerca, perfetto per quanto riguarda l’accuratezza della stampa si è concesso il lusso di una piccola sbavatura, la famosa schiuma che fa gridare alla Scuola medica salernitana «Vinum spumosum, nisi defluat est vitiosum» ( il vino non è sincero, se la schiuma non va via subito) e che ha visto i professori dell’arte tipografica Umberto e Matteo ‘invocare’ Giuseppe Verdi e la sua Traviata alla vista di quella scritta in ultima di copertina (quattro parole che specificano l’attività dell’editore) e che non sono una ‘strigliata, per il bur bravo Alfredo, ma un invito “ Libiamo nei lieti calici, che la bellezza infiora…”, rafforzato con la consueta flemma inglese da Shakespeare nel suo «Macbeth», dove le vicende del re scozzese, riprese dal ‘cigno di Busseto’, su libretto di Francesco Maria Piave, fanno esclamare a Lady Macbeth “ Si colmi il calice”; nonostante ciò, Livalca sussurra: amami Alfredo.

Ritenevo di aver concluso questo lungo excursus dedicato all’AMICO Roncone, quando ho intuito che Nicola minaccia un quarto volume in argomento: a Pompei, da poche ore. hanno ritrovato inconfutabili tracce di Termopolio, il cibo di strada dell’epoca che si acquistava da ‘osterie’ con affaccio esterno e si consumava sulla via, e, per giunta, all’apertura di una giara, non il ‘provetto profano’, ma esperti archeologi hanno percepito l’inconfondibile odore del vino… PROSIT!

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