Covid, Cobas Bari: "Situazione disastrosa al Pronto soccorso del Policlinico"

BARI - Da diverse settimane anche la nostra Regione è stata colpita dalla cosiddetta terza ondata Covid, registrando un forte aumento dei casi. Tale situazione, inevitabilmente, si traduce in un ulteriore carico di lavoro per l'intero settore sanitario regionale e nazionale, settore già fortemente provato da una situazione che, nata come emergenza, si è ormai ben cronicizzata da oltre un anno, rivelando un ulteriore fallimento della nostra classe politica, interessata probabilmente più alla salvaguardia dei profitti di Confindustria e padroni, in un’ottica di “amministrazione dell’emergenza”, che alla salute di milioni di persone. Lo denuncia in una nota Cobas Pubblico Impiego Bari.

Nonostante i proclami di Emiliano sul nuovo ospedale in Fiera e sull’eccellenza della gestione Lopalco - prosegue la nota - , un anno di emergenza pandemica ci restituisce l’immagine della totale incapacità e della non volontà di contrastare il dilagare del problema, in totale spregio dei morti per Covid. Inoltre, il Governo regionale ha avuto tutta la scorsa estate per prepararsi alla seconda ondata. Non ha voluto farlo: non si è voluto strutturare un piano accurato per affrontare ciò che tutti temevamo e, previsioni epidemiche alla mano, era ampiamente prevedibile. Ancora più colpevole appare la non prevenzione della terza ondata e, ad oggi, ci troviamo con una situazione disastrosa. Il simbolo lampante è il pronto soccorso del Policlinico di Bari, un’ importante struttura ospedaliera della nostra Regione messa, di fatto, in ginocchio e nell’impossibilità di rispondere alle richieste.

L’incremento esponenziale del numero di accessi dei pazienti sintomatici per Covid ha reso necessaria una nuova riformulazione delle aree di assistenza del Pronto Soccorso.

Infatti, sempre più aree (vedi ex area rossa) vengono riconvertite in aree di degenza per i pazienti affetti da Sars Cov2, ventilati e non, che da giorni attendono il ricovero presso reparti di degenza ormai saturi. Questi spazi, tuttavia, seppur necessari a fronteggiare l'aumento degli afflussi, non risultano idonei a tale riconversione poiché sprovvisti non solo di elementi basilari, quali bagni per pazienti, ma anche di elementi essenziali a garantire la sicurezza di quei lavoratori che, da oltre un anno, lottano contro il virus. Ci si riferisce ad esempio all'assenza di aree di vestizione/svestizione per i lavoratori, di sistemi di ventilazione degli ambienti e, finanche, alla più elementare possibilità di areazione degli stessi ambienti, in quanto sprovvisti di finestre. Questi spazi costituiscono dunque luoghi insalubri e pericolosi.

Non gode di condizioni migliori - spiega Cobas - anche la cosiddetta “area grigia” del Pronto Soccorso, ovvero l'area dove afferiscono i pazienti che presentano sintomatologia compatibile con un'infezione da Sars Cov2. Tale area, costituita da un corridoio dal quale si snodano 8 stanze degenza atte ad ospitare un totale di circa 14 posti letto, da alcune settimane ospita ormai non meno di 20 pazienti fino a raggiungere, soprattutto negli ultimi giorni, picchi di 30 ed oltre. Succede dunque che molti pazienti si ritrovino a ricevere assistenza nei corridoi o in stanze di fortuna come depositi o vano ascensore, e che, non di rado, condividano tali spazi ristretti con altri pazienti, cosicché può capitare che una persona in attesa dell'esito del tampone si ritrovi fianco a fianco con un'altra persona che successivamente si rivelerà positiva. Una situazione, questa, paradossale se si pensa che il luogo di cura può trasformarsi nel luogo del contagio. Sta avvenendo anche che ci si ritrovi a dover assistere pazienti con gravi crisi respiratorie in aree sprovviste anche dei più elementari erogatori dell'ossigeno.

A tutto ciò si aggiungono altre questioni che colpiscono direttamente le lavoratrici e i lavoratori, che la retorica dell’emergenza, usata dai vari politici e pompata dai giornali, definiva e continua a definire “eroi in prima linea”. Eroi si, ma sacrificabili.

Infatti, pur gestendo pazienti che in realtà troverebbero la loro giusta allocazione all'interno di reparti di terapia intensiva (ci si riferisce ai numerosi pazienti ventilati attraverso sistemi di ventilazione non invasiva quali cpap-bpap-alti flussi e che necessitano di un costante monitoraggio clinico), non percepiscono alcuna indennità da semi-intensiva, cosi come non percepiscono i cosiddetti buoni pasto riconosciuti per legge e, come se non bastasse, il cosiddetto “premio Covid”, tanto sbandierato dalla dirigenza circa 8 mesi fa e riservato a quei lavoratori che hanno prestato servizio in aree Covid, non ha mai visto la sua completa erogazione: tale premio, infatti, è stato erogato solo per il 40% circa, poco più di 200 euro netti.

Insomma la storia è sempre la stessa: da un lato abbiamo Lopalco ed Emiliano che un giorno fanno proclami rassicuranti, il giorno dopo si definiscono preoccupati per l’innalzamento dei contagi; abbiamo un Governo che gioca in maniera randomica con diverse tonalità dell’arancione e del rosso permettendo sempre e comunque che gran parte delle persone si ammalino sui luoghi di lavoro chiudendo però teatri, cinema e scuole; abbiamo promesse di nuovi ospedali, quando ci sono decine di ospedali dismessi che potrebbero essere riaperti, altre decine da potenziare e una medicina territoriale da rifondare, unica vera soluzione per affrontare la crisi sanitaria. Ancora una volta chi paga questa crisi sono i lavoratori, le lavoratrici, siano essi operatori sanitari o meno, e le milioni di persone che muoiono per la mancanza di strumentazioni e di posti in ospedali così come per la mancanza di un reddito in un periodo in cui, nuovamente, l’ordine imperativo è stare a casa, conclude la nota di Cobas Pubblico Impiego.