(Prof. Filippo Maria Boscia) |
E invece no! Piuttosto che distruggere dovremmo iniziare a difendere con orgoglio tutte le vite, a partire da quelle più deboli. Dovrebbe passare il messaggio che eliminare la vita è come eliminare il sole dal mondo. E, se vogliamo essere ecologici fino in fondo, non dobbiamo estirpare la vita, ma imparare a coltivarla. Eppure in quarant’anni, quanti ne ha compiuti da poco la legge, sono state soppresse sei milioni di vite nascenti. E sempre con maggior facilità, specie in questo periodo in cui, approfittando della pandemia, la procedura farmacologica ha progressivamente sostituito quella chirurgica.
A mio avviso siamo davanti non ad una ulteriore facilitazione dell’aborto ma ad una sua totale e definitiva liberalizzazione. L’aborto domiciliare, necessità che trae origine dall’emergenza pandemica, fa perdere completamente il controllo anche sui dati statistici del fenomeno che al contrario potevano aiutare a prevenirlo. Per cui, quando nelle relazioni ministeriali si afferma che gli aborti sono diminuiti, certamente non si dice la verità. Infatti il numero totale degli aborti è da considerarsi molto più alto da quando sono in commercio le varie pillole del giorno dopo, responsabili di quello che si può tranquillamente definire “aborto nascosto”.
Oggi si parla dei costi, anche notevoli, che l’applicazione della legge ha prodotto da quando è in vigore, garantita gratuitamente dallo Stato. Ma, come medico che si interessa di fisiopatologia della riproduzione, mi preoccupano maggiormente i costi fisici e soprattutto psicologici che pagano quelle donne e che rientrano nella cosiddetta “sindrome post-abortiva”. Quest’ultima è compresa nel grande capitolo delle sindromi post-traumatiche da stress, che abbiamo anche visto affiorare numerose al tempo e per effetto del coronavirus. Frequentemente è all’origine di fenomeni di depressione, che si identifica con quel lutto inconsolabile che accompagna la donna per tutta la vita. È il frutto amaro di una scelta non facile, a volte tragica, sempre traumatica.
L’inverno demografico, di cui oggi tutti ci lamentiamo, è l’effetto finale della maternità negata alle donne che lavorano da chi non considera quanto sia preziosa la gravidanza. Una maternità troppo spesso interamente a carico delle donne, anche per la scarsa disponibilità genitoriale degli uomini, e perciò rinviata o negata dalla donna perché limitante la sua autodeterminazione. Ma senza voler incrinare tale irrinunciabile diritto, negando la maternità destiniamo le donne alla perdita garantita di una funzione. Anche se poi concediamo tutte le protesi possibili e immaginabili, compresi gli ovociti messi sotto ghiaccio, da utilizzare quando sarà giudicato opportuno.
Invece con il denaro sperperato per le interruzioni di gravidanza e per il rinvio della maternità si potrebbe piuttosto incentivare l’aspetto preventivo e dare finalmente alla maternità il valore sociale che merita. Basterebbe ridurre la completa gratuità della pratica abortiva, soprattutto quando è ripetitiva, e in tal modo cominciare a responsabilizzare le persone, perché se qualcosa è facilmente a disposizione, l’istinto di chiunque è di abusarne. Credetemi, ciò che più mi rattrista è vedere donne quarantenni, che hanno abortito uno, due, o anche tre volte e poi desiderano ardentemente un figlio che non arriva. Certo non possiamo colpevolizzare queste donne, mentre sarebbero da colpevolizzare la società e la politica che hanno voluto concedere tutto a tutti, scelte di morte comprese.
Ritornando al discorso ecologico,possiamo riaffermare che l’aborto altera l’equilibrio della vita umana: è un vero inquinante per la famiglia e la società. Ma vi è anche un inquinamento che proviene dall’informazione. Nei giorni scorsi ho visto andare in giro per le strade della mia città camion-vela dell’UAAR (Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti) che promuovevano l’aborto, dicendo in sostanza: “non preoccupatevi, è semplice, è facile, vi riprenderete presto la vostra gioia e la vostra felicità”. Ne trattano come se fosse un invito a nozze. Invece così stiamo regalando il male non solo alle giovani donne ma anche alle loro famiglie e all’intera società.
Questa “emorragia di bambini” è qualcosa che graverà sul futuro di molte donne e, soprattutto, le pervaderà della paura di non essere più capaci di procreare. No, non si può parlarne, come se sia un semplice “risciacquo” del proprio utero. Invece, per molte giovanissime, l’utero è diventato quasi una pentola: lo abbiamo sporcato, ma non c’è problema, lo ripuliamo e chiudiamo qui il discorso.