Sabbia negli interstizi dell’esistenza


FRANCESCO GRECO -
La fatica del vivere (“Lo senti tu / questo vento freddo”), lo scorrere inesorabile dei giorni, il logorio del tempo e dei sentimenti degli ermetici. La fisicità come forma di difesa dal mondo corrotto e corruttore della beat generation.

Scivola fra questi due format - perfettamente in sintonia con le opere precedenti - la raccolta poetica degli anni dal 2017 al 2022 della pugliese (Surano, Lecce) Pina Petracca in “Sabbia di confine”, Edizioni Esperidi, Monteroni di Lecce 2022, pp. 176, € 13,00, con la sapida prefazione di Mauro Marino e la cover di Danese (Surano).

Diciamolo subito: non è facile oggi trovare occasioni di poesia tanto è lo sgomento che ci possiede e che ci rende afasici, nella vita quotidiana e, quel che è peggio, nel cuore.

Troppo dolore gonfia la nostra esistenza, il mondo di ieri (“Mio padre e mio nonno / avevano schiena curva / e baciavano terra / nel silenzio…”) ci appare incantato, fiabesco (“Passa la pioggia / e scivola sui rami / dove ieri / si aggrappavano / sogni e giochi / di bambini”), e fa da contraltare alla volgarità e alla bruttezza dilaganti, eletti quasi ad archetipi culturali ed etici, ormai così cristallizzati da non essere più nemmeno avvertiti, legittimati, decodificati.

Il tempo è convulso, la vita ridotta a mera pantomima in una deriva quotidiana senza limiti (“Non mi è data / la vigilanza delle stelle”).Declinazione minimalista, intimista, ordinaria, la poesia della Petracca prende vita e corpo al crepuscolo del disincanto, quasi della rassegnazione (“Niente abbiamo da aggiungere / all’opera già costruita”). La sabbia sparsa fra gli interstizi delle galassie le sta accecando e noi con loro.

E tuttavia, proprio quando la poesia si fa mesta elegia (“Ma so del fiore / che presto sfiorirà…”), trova nel suo etimo più profondo la forza dell’immaginazione per evocare altre dimensioni, nuove strade verso la felicità.

Il mondo di ieri, con le sue asprezze e dolcezze, la sua ingenua e commovente vitalità, la saggezza e la sapienza del cuore, la sua sensualità ancestrale, rivivono e scorrono nei suoi versi sottotraccia, in maniera carsica, cercando la luce.

Da quella potente energia ripartire in cerca del nostro Graal. Petracca ci dice che “Questa è una quiete / che non ci appartiene” e che pertanto l’incanto può ricominciare, il fiore calpestato tornare a spandere il suo profumo (“E torneranno i fiori / nel prato del vicino”) negli interstizi della nostra vita, senza più volgare sabbia assassina.

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