Petruzzelli: Roméo et Juliette di Charles Gounod, sul podio Roberta Peroni

ph: Clarissa Lapolla

BARI - Per la prima volta a Bari, oggi (mercoledì 14 settember) alle 20.30 al Teatro Petruzzelli, nell'ambito della Stagione d’Opera 2022 andrà in scena Roméo et Juliette di Charles Gounod, per la regia di Èric Ruf.

Sul podio ci sarà Roberta Peroni, direttore musicale di palcoscenico della Fondazione Teatro Petruzzelli e non il direttore d’orchestra spagnolo Jordi Bernàcer risultato positivo al Covid.

Maestro del Coro Fabrizio Cassi.

I costumi sono di Christian Lacroix, le scene di Èric Ruf, il disegno luci di Bertrand Couderc, le coreografie di Glyslein Lefever.

Lo spettacolo è una Produzione della Fondazione Teatro Petruzzelli in coproduzione con Opéra Comique de Paris, Opéra de Rouen Normandie, Le Bühnen Bern.

A dar vita all’opera:

Claudia Pavone (Juliette 14, 16, 18 settembre) Ani Yorentz (Juliette 15, 17 settembre), Ivan Magrì (Roméo 14, 16, 18 settembre), Mario Rojas (Roméo 15, 17 settembre), Byung Gil Kim (Frère Laurent 14, 16, 18 settembre), Ugo Guagliardo (Frère Laurent 15, 17 settembre),Christian Senn (Mercutio 14, 16, 18 settembre), Gustavo Castillo (Mercutio 15, 17 settembre)José Maria Lo Monaco (Stéphano), Rocco Cavalluzzi (Capulet),

Valerio Borgioni (Tybalt), Antonella Colaianni (Gertrude), Jungmin Kim (Le Duc de Véron), Murat Can Guvem (Benvolio), Marcello Rosiello (Gregorio), Carmine Giordano (Le Comte Pâris), Carlo Sgura (Frère Jean).

Lo spettacolo è in programma dal 14 al 18 settembre al Teatro Petruzzelli.

La prima è in cartellone questa sera (mercoledì 14 settembre) alle 20.30.

Le repliche sono in cartellone giovedì 15 e venerdì 16 settembre alle 20.30, sabato 17 settembre e domenica 18 settembre alle 18.00.

Informazioni: 0809752810.

ph: Clarissa Lapolla
ROMÉO ET JULIETTE: UN MITO ANTICO DALL’ANIMA GIOVANE

Intervista al regista Éric Ruf

Lei ha diretto la messa in scena della tragedia originale di Shakespeare alla Comédie-Française ed ora l’adatta all’opera di Gounod: è una novità assoluta?

L’esperienza che mi è stata offerta dall’Opéra-Comique è preziosa: è raro infatti che un regista crei lo stesso lavoro nel teatro di prosa e all’opera. Questo è un progetto che ha un duplice approccio, economico ed ecologico, poiché vengono mantenuti pressoché inalterati costumi, scenografie e naturalmente lo stesso team di creazione artistica della produzione andata in scena alla Comédie-Française.

Non si tratta tuttavia di una ripetizione in senso stretto, si potrebbe invece parlare di una progressione. Nell’opera il numero di persone sul palcoscenico cresce grazie alla presenza del coro e dei danzatori, inoltre i cantanti lirici arricchiscono di ulteriori significati ciò che nella prosa è semplice narrazione.

Le caratteristiche del genere operistico sono molto diverse da quelle della prosa, soprattutto per quel che riguarda lo sviluppo temporale dell’azione scenica nonché il significato degli interventi musicali.

Gli autori del libretto si sono basati su di una elaborazione settecentesca dell’opera, mentre invece per la mia regia ho preferito mettere in scena una fedele traduzione della tragedia di Shakespeare il cui autore è François-Victor Hugo. Forse la differenza più notevole è la sorprendente capacità di recupero dei cantanti lirici rispetto agli attori di prosa, quando ad esempio si tratta di tener testa al “veleno” shakespeariano. I primi infatti cantano ancora quando i secondi hanno da tempo finito di avere le convulsioni. Per questa ragione nell’opera di Gounod, Juliette soccombe alla pozione datale da Frère Laurent proprio nel bel mezzo della cerimonia nuziale, mentre nella versione in prosa ciò avviene molto prima, ovvero nella solitudine della sua camera da nubile.

Nonostante queste differenze sostanziali, durante la preparazione dell’opera sono rimasto piacevolmente sorpreso dalle tante analogie che ho riscontrato nelle idee drammaturgiche di Gounod e di Shakespeare. Quest’opera inoltre corrisponde talmente bene al mio modo di intendere la tragedia di Shakespeare, da convincermi ad affrontare quest’avventura con grande convinzione.

La produzione dell’Opéra Comique è stata creata nel 2015. Con quale spirito l’ha concepita?

Uno degli intenti artistici della Comédie-Française è quello di riproporre, dandogli però nuova vita, opere leggendarie che sono parte integrante del patrimonio collettivo, eppure Roméo et Juliette non vi veniva rappresentata dal 1954. Cercando di comprendere le ragioni di questa lunga assenza, mi sono reso conto che il mito è talmente vivo nella nostra memoria collettiva da essere divenuto autarchico, e dunque spesso molto distante dalla complessa realtà dell’opera di Shakespeare, restituendone solo un’ombra vaga e rielaborata di quel che realmente è. Questa distanza mi ha tuttavia affascinato, così come sono affascinato dalla ricchezza dell’immaginario collettivo che si costruisce sempre attorno ai grandi classici di repertorio. Si parla spesso di tradizione interpretativa degli attori, ma in verità ciò esiste anche tra gli spettatori. Le tante letture stratificate nel corso dei secoli, incisioni, copertine di tascabili, film, opere liriche, o addirittura l’idea del balcone in Rostand che egli chiaramente mutua dalla tragedia di Shakespeare... Queste complesse stratificazioni alterano la lettura dell’opera e ne fanno perdere la sua forma originale: la rudezza, la ricchezza e l’umorismo dei versi di Shakespeare vengono filtrati talmente da essere quasi cancellati.

Per dare inizio a questa impresa era dunque necessario tornare alle origini, provare a percorrere quella direzione creativa ereditata dal grande regista Patrice Chéreau: raccontare semplicemente una storia. Perciò ho voluto leggere i versi di Shakespeare in modo assolutamente letterale, cercando di rimuovere i tanti filtri culturali, di eliminare gli strati accumulati nel tempo di “sedimenti percettivi”. Shakespeare possiede una straordinaria capacità di narrazione e Romeo e Giulietta è un’opera eccezionalmente ricca; inoltre non stiamo parlando di un autore stantìo e univoco, ma di chi ha creato Sogno di una notte di mezza estate e Macbeth messi insieme.

Per far percepire pienamente questo testo è stato necessario spostare l’attenzione, provare ad ambientarlo in un’epoca intermedia, con un’estetica sufficientemente fuori contesto storico originale e così contemporanea, da permettere al pubblico di non farsi distrarre subito da un’intenzione stilistica, quanto piuttosto di lasciarsi trasportare dalla storia.

Da qui l’ispirazione all’Italia per il progetto delle scene.

È certamente l’Italia, ma bensì povera, dove la memoria dei fasti di una civiltà gloriosa è ben visibile sulle belle ma fatiscenti mura. Un sud Italia dove il caldo grava sulle piazze e infiamma gli spiriti, ambientato nel periodo storico tra le due guerre mondiali in cui il sentimento religioso è estremamente rispettato, dove le paure irrazionali e le credenze popolari sono ancora molto vive e dove la qualità del linguaggio è ancora più percepibile, poiché non è affogata nei velluti moiré e nelle pellicce del Rinascimento, ma si scontra crudamente con la grandezza perduta delle facciate scrostate. È anche l’Italia delle vendette e dei delitti che vengono tramandati di generazione in generazione e per così lungo tempo, da non rendere più possibile risalire alle antiche ragioni degli antagonismi.

Nell’allestimento della Comédie-Française mi sono affidato ad un commento musicale tratto da vecchie canzoni popolari italiane; ascoltando invece la musica di Gounod, con la sua ricchezza e con le melodie concepite attingendo ad una sorta di grande “memoria musicale popolare”, ho potuto notare che non vi fosse alcuna incongruenza creativa tra una messa in scena e l’altra, ma che al contrario possedessero una propria interessante continuità.

Nel teatro, come nell’opera e senza dubbio nelle rappresentazioni originali al Globe Theatre, la scenografia deve aderire ad un’esigenza di fluidità narrativa. Nulla è mai immobile nell’opera di Shakespeare e ogni tipo di allestimento può presentare delle criticità: in soli due o tre giorni Giulietta e Romeo si incontreranno, si ameranno e moriranno. Per questa ragione ho immaginato di utilizzare in scena delle torri, tanti pilastri di gusto antico la cui versatilità strutturale può suggerire l’idea di un’agorà, oppure di un interno, oppure di un percorso labirintico, solleticando ogni volta la capacità immaginativa dello spettatore. Spesso la camera nuziale e quella funeraria presentano un’architettura simile, proprio come accadeva nelle stanze da letto dei nostri antenati, luoghi dove le persone nascevano, partorivano, morivano. Insomma, ogni fase importante della vita poteva accadere indifferentemente sotto lo stesso tetto.

Spogliato del suo romanticismo decorativo, cosa ci dice infine il mito di Romeo e Giulietta?

Questo mito resiste soprattutto per la sua capacità devastante. Non è necessario comprenderlo questo amore, o individuare quale sia la sua natura e la sua origine, ma riconoscerne la corsa folle. Romeo e Giulietta sono amanti che sanno bene seppure intuitivamente, come far nascere l’amore, tuttavia sanno altrettanto bene che presto dovranno affrontare la morte in un gioco in cui ciascuno interpreta a turno il ruolo di Orfeo e della sua Euridice. Ciò mi fa venire in mente La nuit sexuelle di Pascal Quignard, opera che questi due amanti avrebbero letto con stupore. Un amore folle per le trincee, per le guerre civili. Consumare tutto sino ad essere a loro volta consumati.

Il vero romanticismo è permeato solo da questa idea, ecco perché va veloce, perché vive e muore in fretta. Per questo ha un’anima giovane pur non essendo affatto ingenuo. Ha in sé anche un senso di animalità, morte, violenza, sangue. In questo dramma infatti la gente combatte con il coltello, si uccide, sanguina. Per l’ultimo quadro sulla scorta di queste suggestioni, ho pensato a Palermo e alle sue catacombe, dove i corpi dei morti sono disposti in piedi e vestiti con il loro abito migliore, quello “della domenica”. Un luogo dove la fresca bellezza di Giulietta contrasta con le guance decrepite di coloro che l’hanno preceduta nella tomba, probabilmente anch’essi vittime di odi secolari.

Ci parli dei personaggi.

Romeo è percepito come un giovane eroico e brillante, ma in realtà incarna l’antieroe per eccellenza, poiché è all’opposto dell’ideale di amante romantico o del leader. Corteggia una ragazza di nome Rosaline fino a quando incontra Juliette e l’amore che prova per lei gli permette di sfuggire per un po’ al giogo della famiglia e al suo destino già segnato. Juliette possiede invece una natura incredibilmente forte e trasgressiva. In generale, anche se nell’opera questo aspetto appare un poco più attenuato, ogni personaggio presenta una tensione tra la sua funzione drammatica e la sua interiorità.

Assumendo una collettiva funzione gioiosa nel dramma, il coro serve a Gounod anche ad esprimere questa idea: ogni personaggio è pieno di vita e di speranza, nessuno di loro merita di subire l’assurda violenza e quel destino mortifero impostgli dalla vendetta familiare.

L’opera inizia con un prologo che viene eseguito sul proscenio a sipario chiuso, da tutti i personaggi. Questa scelta crea un contatto diretto tra gli attori del dramma e il pubblico, attivando un rapido ed efficace processo di identificazione. Gli interpreti

rimangono in scena e a sipario aperto, entrano nei loro ruoli per prendere parte al ballo del primo atto. Nel corso dello spettacolo il coro interpreterà anche i gruppi delle famiglie antagoniste dei Capuleti e dei Montecchi, servendosi di gesti molto semplici: un modo di acconciarsi i capelli o rimboccarsi le maniche. Nel mostrarli così palesemente simili ho voluto evidenziare e sottolineare quanto assurda fosse la profonda ostilità dei loro reciproci comportamenti.

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