'Molto sugo', l’audace ritorno della 'Pupazza'


FRANCESCO GRECO.
 LECCE - A volte ritornano. Per miracol mostrare. Più belli e superbi che pria. Nel gineceo che vide osare le loro prime, incerte performance creative, l’estro acerbo crescere, la propria visione del mondo e dell’arte dilatarsi come le ombre della sera e da ectoplasma, plancton sperduto negli abissi marini e siderali, prendere lentamente forma.

La “Pupazza” (dietro il mistero si cela Eleonora De Giuseppe) torna a casa dopo esser partita dal brodo primordiale della bottega di Largo Sant’Angelo a Tricase (Lecce). Ha cincumnavigato il pianeta: Europa, Asia, Africa, Americhe. E ora esce dal suo eremo di Giurdignano, all’ombra della Cattedrale dei Martiri d’Otranto, dove da un anno fa la mamma di Christian e propone la sua street art (Lecce, San Francesco della Scarpa - Convitto Palmieri – 8/22 aprile, titolo: “Molto Sugo”. 

Opening l’8 alle ore 19, sarà presentata anche una sezione design: tavoli, sedie, poltrone, con una novità: piastrelle realizzate artigianalmente da un prestigioso logo siciliano, il tutto con l’inconfondibile marchio “Pupazza”) nella sua terra barocca, dove il sole batte sulla pietra e rimbalza nei cuori, la stessa delle iperboli dell’assenza di Carmelo Bene, le lucertole dalla faccia di dado e gli uomini col cappello in mano in attesa del transito (un nuovo inizio) di Bodini.


DOMANDA: Signora Pupazza, la sua audacia non ha limiti né confini: lei si propone nella terra del nemo propheta in patria, dove sono tutti critici d’arte, di letteratura, di cinema: non ha paura di esser derubricata ad artista di provincia?

RISPOSTA: “Sono già nemo profeta in patria (ride), quindi non si può avere paura di un qualcosa che si vive da sempre. Sono partita per l'università a Bologna che avevo 18 anni e da allora non mi sono più fermata. Ho fatto tante mostre in molte città europee e collaborazioni con aziende importanti e per fortuna non ho avuto il tempo di pensare ai dissensi locali. Per esempio a Giurdignano, un piccolo paese in provincia di Lecce, avevo dipinto un murales su una grande parete di una pizzeria che si affacciava sulla strada principale del paese, lo consideravo uno dei miei più lavori, ma dopo pochi mesi è stato ricoperto di bianco. Non so per ordine di chi, non so perché, ma posso immaginarlo. Addirittura mi è stato detto che il viola che avevo usato nello sfondo portasse sfiga. Mettiamola così, se avessi avuto la gloria nella mia terra avrei dovuto preoccuparmi”.

D. Quegli occhi di cui ormai sono pieni i territori e i continenti, ci invitano a guardare oltre le narrazioni lacunose e reticenti che il mainstream ci propone quotidianamente, magari per vedere ciò che ci turba assai?

R. “Ogni ipotetico significato politico, sociale o economico che gli è stato attribuito è lontano dalla verità. L'occhio nasce da un' urgenza inconscia di misticismo, è una presenza astrale nella mia vita, onnipresente, mi segue ovunque io vada, me lo ritrovo dappertutto, mi compare all'improvviso nelle ombre e negli oggetti, un vero e proprio stalker, un dolce stalker. L'occhio mi invita a guardare l'invisibile e io, attraverso i miei dipinti, invito tutti a guardare il mondo con i miei occhi. Ecco perché fotografo con l'occhio chiunque incontro e molti mi ringraziano pure…”.

D. E quelle bolle sono l’allegoria di una terra dalla creatività diffusa, che ne ha viste tante e tanti e ancora ne vedrà sine die?

R. “Da sempre dico che non vivo sul pianeta Terra ma a Bollelandia, un posto senza tempo che galleggia tra soffici bolle colorate. Le bolle rispecchiano il mio essere svagata fino all'inverosimile. Sembrerà strano ma ho vissuto 38 anni senza molti di quei codici comportamentali non scritti che regolano la società con il risultato di sembrare un aliena. Non volevo fare la ribelle, semplicemente non ne conoscevo la loro stessa esistenza. Da che ho memoria, la battuta che più mi son sentita dire è: ma dove vivi?". 

D: Nella sua arte c’è anche un che di arcaico e di alchemico, di nostalgico e di immaginifico, di mondi infiniti quanto possibili, ma anche di escatologico, come se si volesse ricreare l’incanto del Paradiso perduto e tornarci finalmente a vivere: è una password realistica per accedere all’universo pupazziano?

R. “Quando a 20 anni ho cominciato a dipingere, non avevo chiaro il messaggio che volevo trasmettere, anzi, a dirla tutta, non ci avevo nemmeno fatto caso che tramite i miei dipinti potevo lanciare un messaggio. ll punto è che c'era troppo inconscio e istinto. Starnutivo quadri e murales, li dipingevo di getto, senza sosta e senza pensare. Oggi, più matura, ovviamente ho capito che i messaggi ci sono sempre stati. Sicuramente ce n'è uno più immediato degli altri, ovvero: è tutto relativo, è solo una questione di prospettive. La pasta asciutta capovolta diventa una ragazza bionda con un cappello bianco che si chiama Asciutta Pasta. La realtà è una gigantesca illusione nata miliardi di anni fa quando alcuni atomi si sono urtati accidentalmente, un'illusione destinata, un giorno, a finire. Quindi come posso dipingere il cielo, le nuvole e il mare così come sono? I soggetti dei miei dipinti che cambiano continuamente forma spiazzando gli occhi di chi li guarda, rappresentano proprio l'inaffidabilità della realtà. Per chi sa guardare oltre, dietro quel continuo mutamento si nasconde anche una certa insoddisfazione personale. Perché è così che mi sento, allegramente insoddisfatta, perennemente in bilico tra euforia e abbattimento. Tutte le mattine cerco di andare d'accordo con quella persona scompigliata che vedo riflessa nello specchio”.

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