Oggi Adelfia intitola l’Auditorium al suo Luigi Angiuli


LIVALCA 
- Felice Alloggio, raffinato presentatore di eventi culturali oltre che attore, regista amatoriale - definizione da lui adoperata con  un  ‘vezzo’  che gli perdoniamo -  ed anche  autore di libri di grande qualità di cui cito solo l’ultimo «Quando gli Dei dell’Olimpo passarono per Bari Vecchia» (Wip Edizioni, 2021), mi ha inviato una sua composizione dedicata al drammaturgo, regista, attore ed Amico Luigi Angiuli. 

Al Maestro Luigi Angiuli (Ninì)

Caro Ninì, intellettuale di gran statura

studioso, maestro di teatro, di cultura,

ti ho conosciuto in ambito editoriale

incontro divenuto subito amicale.


Pubblicavi allora Briganti e Piemontesi 

e in teatro trasferisti subito la tua esegesi

“signor giudice” dicesti in quel monologo 

o faccio il brigante o la fame” il tuo apologo.


E poi ancora a scrivere sapendo ben creare

lo “Stupor Mundi” che era un affabulare

su un grande imperatore, il tal Federico

con sorprendente attualità d’un personaggio  antico.


Ti ho visto poi in scena interpretare

personaggi della prosa e del teatro popolare,


la gente semplice unita nelle storie

da “Sope a la Meragghie” fatti e memorie.


Attore vivace e poliedrico, nonché  regista

hai dato lustro a tanti, sei stato apripista

di quel teatro vero con l’idioma dei baresi

scene e quadri da tempo da tutti attesi.


Con te due attrici nate, le tue amate figlie

fino all’ultimo fiato hai guidato con le briglie,

il “Teatrino della colonna” un vagito allora

oggi, nel tuo ricordo, ha riaperto, vive ancora! 


Ciao caro Ninì, di te mai scorderò

la dedica su un tuo libro che conserverò,

poche parole, mi scrivesti, un solo rigo

“a Felice, mio caro amico!“

Questi versi verranno recitati dallo stesso Alloggio, oggi 1° giugno 2023, in occasione dell’intitolazione dell’Auditorium comunale di Adelfia a Luigi Angiuli: senz’altro una delle personalità più eclettiche espresse dal teatro pugliese nell’ultimo mezzo secolo.

Il paziente direttore di questa testata mi ha già ricordato che mi sono occupato di questo “magnifico, eterno Creonte” più volte, ma lui sa che non ricordo il presente, ma solo qualcosa del passato.

Stasera Antonio Stornaiolo (…venne da me in compagnia di Vito Maurogiovanni il secolo scorso, ma come disse l’autore di «Cantata per una città» e «Come eravamo» non è facile realizzare… Toti e Tata), professionista esemplare oltre che persona squisita, dovrà monitorare molti interventi da Felice Alloggio a Enzo Vacca, Da Enzo Strippoli a Leo Lestingi, da Vito Signorile a Dante Marmone, da Totò Onnis a Tiziana Schiavarelli, da Nico Salatino a Nicola Pignataro: tutti dovranno fare in modo che il ricordo di Luigi Angiuli resti fedele a quella frase di Garcia Lorca che ci ricorda come “Il teatro, la poesia non cerchino seguaci, ma amanti”. Proprio la frase che Luigi pronunciò a Francesco De Martino nel 2011, in occasione del premio Adelfia che il professore ordinario di Letteratura greca dell’Università di Foggia vinse con il volume “Antichità e pubblicità” (Levante Bari, 2010), perché voleva spiegargli quanto il suo Creonte fosse frutto di ricerca e studio. Li ‘abbandonai’ poi affinché trovassero un punto di ‘comunione’ su Vittorio Gassman, che Luigi aveva conosciuto nel momento in cui aveva recitato come attore nell’«Adelchi» di Alessandro Manzoni, di cui il ‘mattatore’ era protagonista e curava anche la regia.

Procediamo con ordine, la giornata odierna prevede: alle ore 19,30, presso la Biblioteca comunale “Antonio Cafaro”, lo scoprire una targa per Luigi Angiuli, poi tutti in piazza Trieste (Gabbia dei Leoni) dove prima degli interventi dei rappresentanti del mondo della cultura sopra citati, vi saranno letture a cura di Cristina e Monica Angiuli, il tutto intervallato da spazi musicali a cura di Alfredo Sette jazz joint. Angiuli mi confidò che la nostra conoscenza era avvenuta nel 1984, anno in cui alla Levante fu assegnato il Premio Adelfia per l’editoria e che, con mio Mario Cavalli (mio padre), in quell’occasione ritrovò amici comuni. Con il genitore ottennero il premio Elio Filippo Accrocca per la poesia e Vito Antonio Melchiorre per la storia municipale. Ricordo che qualcuno definì Accrocca allievo di Ungaretti, cosa non plausibile ma veritiera, e iniziarono una serie di riflessioni stimolanti, interessanti e non pungolanti… salvo che Luigi Angiuli non ‘partorì’ una delle sue ‘stuzzicanti’ erudite divagazioni di cui non possiedo ‘contezza’. Posso solo dire che Mario Cavalli e Melchiorre, che erano amici, trovarono con Accrocca una buona armonia, consolidata dalla casualità che vide mio padre ‘presentare’ al poeta, nato a Cori (Latina), un suo ex allievo di quando aveva insegnato Storia dell’Arte presso l’Accademia di Belle Arti di Foggia. Questo episodio poi mi è stato riferito da mio padre perché io quella sera fui totalmente assorbito da Francesco Nicassio, cui avevo regalato in precedenza libri di poesia, non sapendo che fosse un poeta con una spaventosa conoscenza personale di autori non facili. Citò Baudelaire ripetutamente ed allora io, non certo per tronfia boria, attaccai “L’amore è una rosa/ ogni petalo un’illusione/ (Nicassio concluse) /ogni spina una realtà”. Quella serata ‘salutare’ mi fece stimare ancora di più non solo lui, ma anche mio padre: Cellino ovunque tu sia GRAZIE. Solo per la cronaca quando Nicassio volle realizzare, nel 1989, un volume sull’aggiornamento professionale per funzionari e amministratori comunali, pur avendo voluto modificarlo e ‘snellirlo’, ritenni opportuno accontentarlo. L’anno successivo, invece, avrei voluto ampliare il suo valido volume «Fuochi pirotecnici» (Levante Bari, 1989), ma riuscii solo a convincerlo sul realizzare una copertina più vivace.

Scusami Angiuli Luigi, ma tu sai bene che quando rammemoravamo il passato si partiva dal ‘costeggiare’ il mondo e l’arrivo era sempre in Puglia a Bari… anzi ad Adelfia per la serie i viaggi con il pensiero sono ‘universali’, ma la realtà è sempre ‘locale’.

Il 9 marzo 2018 quando mi sono occupato del tuo addio dalle scene della vita in un articolo in cui ho ricordato il tuo “BRIGANTI E PIEMONTESI” - tutto in maiuscolo come volevi tu - (Levante Bari, 2011) avevo scritto, come era doveroso, anche della postfazione curata da Valentino Romano, ma che il Giornale di Puglia tagliò per esigenza di spazio, la qual cosa era a me ignota dal momento che, di solito, non rileggo ciò che è stato pubblicato. Solo 45 minuti fa nel rivedere quello che avevo scritto di Pino Pisicchio, che curò la prefazione, ho scoperto la… ‘mancanza’ che riguardava Valentino. Cosa dirti caro amico Romano: la nostra amicizia, nata una sera in pizzeria per una banale incomprensione, continua a ‘reggersi’ su fortuite incomprensioni che penso persisterebbero pur scambiandoci i ruoli. Valentino Romano non aveva solo letto, ma studiato attentamente il testo di Luigi tanto è vero che dovetti concordare con lui alcuni tagli perché era un saggio completo, non una postfazione.

Di questo eccezionale lavoro di Luigi spero vi sia una registrazione video: Angiuli oltre che scrivere il testo era anche attore, accompagnato dal cantastorie polistrumentista Carmine Damiani.

«Quella del Meridione d’Italia, del Regno delle Due Sicilie, non fu un’annessione indolore: i Piemontesi operarono una vera e propria conquista, uccidendo con spietatezza, razziando, distruggendo e impossessandosi di tutto ciò che era trasferibile al Nord, incominciando dal tesoro del Banco di Napoli. Da quel che è stato possibile appurare sul piano storico documentato, i terroni che ci rimisero la vita furono molte migliaia, fra combattenti, civili e deportati. I nuovi padroni dell’intera Italia pensarono persino a campi di concentramento in altri continenti (Guantanamo non è invenzione recente), per gli irriducibili. Il noto scienziato Cesare Lombroso usò 500 teste di Briganti per studiare la conformazione cranica dei delinquenti “nati”. Non si tratta di recriminare, ma soltanto di puntualizzare la storia, affinché alcune verità vengano definitivamente acquisite» questa scheda di presentazione del lavoro “BRIGANTI E PIEMONTESI” era firmata dalla Compagnia Teatrale “IL VELLO D’ORO”, ossia da Luigi Angiuli.

Valentino Romano - scrittore che da molto tempo si dedica al brigantaggio postunitario e al ribellismo contadino meridionale con articoli e pubblicazioni di cui citerò soltanto “Nacquero contadini, morirono briganti” (Capone Editore, 2010), “Brigantaggio e rivolta di classe” con Enzo Di Brango (Nova Delphi Libri, 2017) e “Dalle Calabrie agli Abruzzi” (D’Amico Editore,2018) - nella postfazione, senza giri di parole, attaccava: «Le ragioni del malessere del mondo contadino dei primi anni della difficile Unità, che una letteratura cortigiana e superficiale e una storiografia bugiarda e partigiana hanno confinato con faciloneria nell’assai ristretto ambito della “delinquenza organizzata”, tornano - in questi anni di profonda lacerazione del sentimento unitario della nazione - alla ribalta: la lettura che se ne sta facendo - e questo a mio avviso è un errore - è più politica ideologica che sociale e antropologica. Fa ‘tendenza’ e forse anche mercato parlare oggi di brigantaggio, di Sud, di Terronia…». Romano, dopo una lunga, meticolosa e sempre umana, spesso benevola, disamina delle scene III, IV e V dell’opera di Angiuli, in questo modo concludeva il suo coinvolgente intervento: «Oggi, con la serenità che una sedimentazione delle passioni di parte lunga 150 anni comporta, non li si può inquadrare complessivamente in un’ottica solamente criminale, né li si può idealizzare al punto di trasformarli in eroi partigiani. Li si può solo comprendere. In fondo è ciò che istintivamente chiedevano, è ciò che il vecchio protagonista della pièce di Angiuli chiede: capitemi, non dimenticatemi, lasciatemi vivere il sogno di “volare pure io”. E la negazione sistematica di queste istanze costituisce il più grave torto della storiografia ufficiale e di regime, che sulle sofferenze del mondo contadino del Sud, ha preferito stendere gli ‘interessati veli’ di una retorica falsamente celebrativa e patriottarda». Luigi Angiuli, invece, terminava il suo spettacolo teatrale facendo pronunciare al protagonista, in risposta al giudice, queste parole: «Le cose fuori come vanno? Chi lo sa! Chi lo sa! Io non lo so, io sono fermo a quando mi rinchiusero, e buttarono la chiave. Altro non posso dirvi, Signor Giudice. Speriamo che queste povere parole mie vi arrivano, così finalmente capirete ciò che non avete voluto capire tanto, tanto tempo fa. Con tutto il rispetto (s’inchina) a Vossignoria, addio, Signor Giudice».

Un sabato in forma amichevole e celiando un poco, ma con convinzione, feci presente a Luigi che, volendo, si potevano ‘rimpolpare’ le scene con spunti più o meno interessanti. «Gianni non una parola, ma neanche una virgola in più» questo disse con quel passo ‘felpato-strascicato’ andando via. Non ci siamo sentiti per giorni e pensavo non tornasse più. Tornò nel pomeriggio inoltrato uno dei primi giorni di marzo del 2011, accompagnato da una persona tranquilla che sapeva come ‘domarlo’, ed io gli feci solo presente che doveva darmi carta bianca e che non ritenevo giusto farne un quaderno spillato con punto metallico. Contattai subito Valentino Romano e poi, per caso, Pino Pisicchio. Seguendo l’ordine alfabetico dei loro cognomi assegnai una prefazione ed una postfazione. Il risultato fu un prodotto dignitoso e Luigi, a modo suo, espresse soddisfazione per la serie, una tantum, fu più felice del risultato ottenuto che di quello sperato.

Carissimo Luigi tu che sei stato attore protagonista al Teatro Centrale di Roma dell’atto unico di Carlo Goldoni “L’avaro”, tu che sei stato il narratore nella “Passione de Criste” di Vito Maurogiovanni, tu che sei stato voce recitante nel lavoro “Omaggio a De André, non dimenticare che hai anche ricoperto il ruolo dell’ergastolano in quel “BRIGANTI E PIEMONTESI” che ti ha fatto viaggiare per lidi impensabili.

Ritengo di esserti stato amico anche nella ‘dedica’: cosa che ho sempre fatto con tutti, non sempre raccogliendo ‘encomi’, ma dal momento che sono stato bersagliere, ruolo che tu hai ricoperto nella veste di Turiddu per la “Cavalleria Rusticana” di Giovanni Verga, so che le piume al vento sono una cosa, ma i Cavalli di razza… altra: è vero non sono Mario, ma quello è il DNA. Sono convinto, lo avrai sperimentato anche nel luogo in cui ti trovi, che tutti abbiamo difetti che si possono correggere o sopportare con pazienza, ma la virtù di mettersi al servizio dell’altro: «Levante la possiede», sono parole tue.

Avevo scritto nel 2018 che per te era già pronta una targa: come potrai notare, dopo appena cinque anni, tempo burocratico nella norma italiana, le tue Cristina e Monica potranno gioire con te e gli altri tuoi cari.

Miei cari Estragone-Gogo-Angiuli e Vladimiro-Didi-Cavalli state aspettando Godot non certo su quella strada ‘felliniana’ tanto cara a Gelsomina e Zampanò, ma su quella, errata solo in apparenza, che è pur sempre la via più ragionevole per ‘vivere’ in… PACE.

Come tu Luigi mi hai fatto notare spesso, Sofocle da Colono considerava il cattivo consiglio un pessimo nemico, per cui ti chiedo solo di mantenere rapporti di circostanziata convenienza con l’irlandese Samuel Beckett: “L’innominabile” con il suo ‘teatro dell’assurdo’ ha pur sempre vinto il Premio Nobel per la letteratura nel 1969 e pensa un poco non è andato personalmente a ritirarlo per non pronunciare il discorso di rito. Ti ricorda qualcosa? Ciao non a presto, ma a tempo ‘debito’.

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