Quelle “Visioni” di una felicità possibile


FRANCESCO GRECO
. ROMA - “L’aroma antico del pane accende la fame di affetti sinceri”, (Borgata).

Delicati, intimisti, minimalisti, in continua osmosi dialettica con l’Universo, gli altri, il paesaggio, sé stesso. Sono i versi di Stefano Corazza nella raccolta “Visioni”, Officine Culturali Romane, Roma 2024, pp. 40, euro 9. Nati da uno sguardo sospeso fra l’innocenza del fanciullino pascoliano, i voli bizzarri dell’albatros di Baudelaire, l’urgenza del dire con poche parole degli ermetici. Versi molto evocativi di immagini: Corazza è laureato in Storia dell’Arte (a Roma Tre con Maurizio Calvesi), “I fabbricati disegnano linee aguzze sul tramonto”, (Borgata).

“C’è qualcuno felice sotto questo cielo?”, (Enigma).

Una poesia esistenziale, filosofica, dietro cui si intravedono le grandi questioni della vita, le domande che ogni essere umano si pone nel tentativo di darne un senso, la fretta di cogliere quel che offre prima che tutto trascolori all’orizzonte.

“Laggiù una pace profonda si annuncia allo scoccare / del silenzio”, (Crepuscolo).

Da un’angolazione tutta sua, una postura soggettiva, il poeta illumina le contraddizioni della modernità, le sue asprezze, le lacerazioni dell’anima, il relativismo delle certezze.

Fra i versi tuttavia si intravedono squarci di un mondo pacificato, dove l’uomo vive in armonia con i suoi desideri. Qua e là brillano bagliori improvvisi di felicità possibile (“Beati giorni avidamente strappati ai gorghi del passato”, Visioni), “Ti ho vista varcare i cancelli dell’estate, con passo leggero, / le gambe come spighe dorate”, (Circe).

Stefano Corazza è una delle voci più originali della poesia contemporanea.