Le diseguaglianze in sanità


FILIPPO MARIA BOSCIA
- La salute diseguale la riscontriamo in ogni aspetto della vita: nel nascere, nel vivere, nel soffrire e nel morire, ma anche in relazione alle fortune o alle sfortune patrimoniali o alla fortuna o sfortuna di risiedere in territori diversi, dotati o non dotati di servizi.
 
V’è un grande divario nel Mondo e questo divario va sempre più consolidandosi, a volte in eccessi e a volte in gravi carenze, determinandosi così una consistente e mai risolta diseguaglianza nel mondo e nei singoli stati.

Nei soli riguardi nutrizionali, si passa dall’eccessiva disponibilità di alimenti alla grave privazione e alle perniciose denutrizioni.

Assistiamo alle gravi conseguenze di un mondo ingiusto e diseguale, che al contempo massacra nel male e spreca negli eccessi di bene.

Nelle diseguaglianze in negativo e nella povertà la ricerca della speranza si fa reale e noi siamo assillati di come fare ad organizzare la speranza, di come agire per l’istruzione per costruire un empowerment che assicuri comunità resilienti, capaci di organizzare la lotta alla miseria.

Chi lavora in questi delicati confini ha la forte convinzione che la problematica non va confinata in spazi di destino ineluttabile.

Nulla è inevitabile e soprattutto per le iniquità e le diseguaglianze nel sistema salute possiamo far molto! Lo dico con convinzione in un momento in cui tutti quanti condividono che la lotta alla salute diseguale debba essere continua ed inquieta.

Le diseguaglianze di salute nascono da quelle sociali e questo dobbiamo dirlo a gran voce perché solo intervenendo sui determinanti sociali è possibile ridurre tutte le palesi e ingiuste differenze nella creazione di presidi e nella dispensazione di diagnostica migliore e di cure ottimali per la salute.

Dobbiamo prendere atto che fattori di rischio esistono in tutti i paesi del mondo e che le povertà prendono forme diverse a seconda dei diversi confini e contesti sociali. La dignità va menzionata e sicuramente la dignità costituisce un elemento da considerare per chi si occupa di salute e di dinamiche sociali e di rispetto l’uno dell’altro.

Negli ultimi 15 anni sono stato 4 volte in Congo, Uganda e in Costa d’Avorio, ed oggi sono in grado di valutare le differenze al ribasso, soprattutto nei Paesi definiti del Terzo Mondo: E’ lì che esistono le persone più svantaggiate, è lì che con molta semplicità e franchezza ho appreso, e questo desidero sottolinearlo senza infingimenti, che il mondo è ancora più ingiusto e la salute ancora più diseguale.

Avremmo bisogno di equità sin dall’inizio della nostra vita, visto che le diseguaglianze iniziano presto, addirittura nella vita intrauterina, e sono condizionate dalle povertà, dall’alimentazione, dalla carenza di assistenza sanitaria, dalle condizioni sociali di degrado, delle politiche economiche al ribasso e tanto altro ancora. Tutte queste realtà oggi vengono inesorabilmente al pettine.

Tutti siamo invitati a contribuire al cambiamento e ciascuno può giocare un ruolo attivo per migliorare l’ambiente sociale e offrire alle persone la libertà di perseguire senso, valore e dignità di vita.

A mio parere, sempre inquieta deve essere la spinta alla ricerca di quella vera umanità che deve far tutt’uno con la scienza.

In quelle realtà, ove la sofferenza, l’emarginazione e lo scarto assumono preoccupanti contorni, le persone cercano sguardi complessi, fatti di passione e curiosità. Non accettano azioni imbrigliate dalla vertigine del commercio e dei consumi e degli sfruttamenti. Tutti desiderano che in quei territori così martoriati e perseguitati si possa vivere attingendo a quel campo, ormai diventato invisibile, che è il sollievo della sofferenza.

Vedete, in realtà, fra tutte le forme di disuguaglianza, l’ingiustizia nella salute è la più scioccante, la più disumana perché tradisce quell’obbligatorio sistema che senza carenza alcuna deve prendersi cura dei cittadini, dalla culla alla tomba.

Realtà organizzative frammentarie, inefficienti e non solidali, finiscono per creare sempre più povertà, sempre più ingiustizie, sempre più drammatiche visioni di ristrettezza e di preoccupanti rischi individuali di assolute deprivazioni.

L’iniquità nella salute modifica gli stili di vita e accompagna pericolosamente verso confini di disabilità e verso aree deprivate di tutto.

Se vai in una scuola della Sierra Leone e contiamo 21 ragazze di 15 anni, tra queste una morirà durante l’età fertile per cause legate alla maternità.

In Italia risulta che per un evento di tal genere bisogna contare 17.000 quindicenni. Il mio orrore non deriva semplicemente dalla grandezza delle differenze tra la Sierra Leone e l’Italia, ma dal fatto che tutto questo si può evitare: tale perdita di giovani vite non si dovrebbe mai verificare.

Quando la gente si ammala ha bisogno di accedere a cure mediche di qualità! Le cure gli salvano la vita!

Noi abbiamo bisogno di vedere oltre, anche se queste storie non sono mai raccontate perché non le vogliamo mai ascoltare e non conta solo il denaro, ma conta quella dimensione psico-sociale che può essere descritta come la possibilità di avere il controllo non solo sulla propria vita, ma sul controllo degli altri.

Diseguaglianze ed iniquità non dovrebbero esistere ma la iniquità di salute è davvero un crimine, al pari delle guerre.

Da medici desidereremmo recuperare oggi una medicina della sollecitudine, più umana, più libera da condizionamenti estranei, che abbia a fondamento l’obiettivo di una salute olistica.

Oggi in questa complessa realtà globalizzata riceviamo stimoli contraddittori, ma chiudiamo gli occhi ed escludiamo il nostro udito con una facilità incredibile, mentre dovremmo avere il coraggio di percorrere soprattutto le discariche umane dell’odio, dei veleni, della violenza, dell’isolamento, dell’emarginazione e non abbandonare nessuno fra le acque limacciose di una civiltà, che pian pianino sta perdendo l’anima e il senso di umanità.

L’impegno di oggi di tutti gli uomini di buona volontà è quello di aiutare gli uomini a liberarsi da quelle ragnatele che avvolgono tutti gli ingranaggi della vita e che riguardano tutti gli “ismi” delle perverse politiche, gli ideologismi, i personalismi e gli egoismi per saper cogliere a pieno il pianto, il dolore e la solitudine dell’altro, pur sempre anima di Dio.

Sono cose che ho personalmente sperimentato sul campo, in paesi sperduti dell’Africa, nell’ex Zaire, cosa sia la salute diseguale in un mondo ingiusto.

Ho sperimentato molteplici forme di schiacciamento culturale, l’assenza di prevenzione, previdenza, assistenza e cura per la salute

In questi contesti i danni del biopotere e delle biopolitiche si fanno sentire attraverso le violenze e le persecuzioni, che non sono soltanto percepibili nell’Africa ma anche per esempio, nelle baraccopoli sub urbane della nostra civilissima Italia.

Lì cogliamo la prepotenza di chi sta in prima fila e le controreazioni e le contro rivolte di chi è in sofferenza.

Accanto al terzo mondo, c’è un quarto mondo, al quale va posta massima attenzione ed è il mondo dei tanti disabili psichici che, in un di più rispetto alla loro povertà, hanno perso le libertà sostanziali perché privati della reale capacità di partecipare alla vita.

Non dimentichiamo che le crisi economiche e le guerre mettono in scacco il variegato mondo sanitario, creando tante nuove emergenze e imponendo saperi claudicanti.

Le attuali numerose guerre “a pezzi” per dirla con Papa Francesco, fanno registrare estreme criticità ai limiti della catastrofe psicosociale, presentandoci emarginazioni violente, proprio delle persone più fragili, svantaggiate e spesso dimenticate.

Dov’è l’equità alla quale tutti dovremmo fare appello?

Ci siamo mai posti il problema delle disparità, quando parliamo di bisogni di salute?

Abbiamo visto quali disuguaglianze siano in atto, tra paesi che esaltano la medicina del desiderio, quando in altre realtà è assente la medicina dei bisogni?

Pensandoci bene, e ispirandoci a San Francesco, dovremmo tutti considerarci autori di un furto grave ed iniquo. E’ un furto quel non dare quel che è giusto a quel qualcuno che ha molto più bisogno di noi.

Questa affermazione ci fa tornare a riflettere sui sistemi di welfare che generano tante esclusioni.

Siamo strattonati tra perequazioni e sperequazioni, dall’aumento dei bisogni, all’aumento della speranza di vita, alla già emergenza della scarsità di risorse.

In un mondo diseguale stiamo passando da una sanità universalistica e solidaristica ad una sanità fatta di assicurazioni personali detraibili fiscalmente che generano la diseguaglianza di una sanità diversa, tra chi può e chi non può, una sanità iperprotettiva per alcuni ed una sanità escludente per gli altri.

C’è chi si assicura di più e si garantisce una sanità migliore, sottraendo risorse alla fiscalità generale, attesa la detraibilità delle polizze.

Nell’epoca della crisi economica, si guarda con freddezza all’accesso ai servizi socio-sanitari come “investimenti aziendali” che devono essere in grado di generare salute migliore, una salute a doppio binario: migliore per chi può, peggiore per chi non può.

L’impatto sociale sarà devastante perché un sistema organizzativo che ci faccia scegliere una diversa distribuzione e gestione delle risorse, è diseguale e privo di equità.

L’impossibilità economica a soddisfare tutta la domanda di salute induce a criteri sempre più fibrillanti di allocazione delle risorse e di selezione delle priorità sanitarie. La selezione delle priorità condurrà inesorabilmente a compiere scelte tragiche che potranno escludere dall’assistenza aree comunque essenziali, privando in tal modo una parte della popolazione dal sostegno del servizio pubblico.

A questa conclusione perviene anche la stessa Corte Costituzionale, quando nella sentenza 356/1992 si ritrova ad annoverare il diritto alla salute tra i cosiddetti diritti relativi, cioè tra quelle situazioni di vantaggio la cui tutela è condizionata dalla discrezionalità del legislatore (Corte Costituzionale, n. 356, 23 luglio 1992).

I giudici chiamati a riflettere sui principi fondanti per le allocazioni delle risorse proprio in occasione dell'approvazione delle leggi finanziarie, nelle quali lo Stato decide la misura delle risorse da destinare al fondo sanitario nazionale, per determinare concretamente gli ambiti di tutela delle garanzie da offrire ai cittadini, cosi si esprimono: In considerazione della "limitatezza delle risorse e riduzione della disponibilità finanziaria accompagnata da esigenze di risanamento del bilancio nazionale, non potrà consentirsi un impiego di risorse illimitato, avendo riguardo soltanto ai bisogni, quale ne sia la gravità e l'urgenza; è viceversa la spesa a dover essere commisurata alle effettive disponibilità finanziarie, le quali condizionano la qualità ed il livello delle prestazioni sanitarie, da determinarsi previa valutazione delle priorità e compatibilità e tenuto conto, ovviamente, di tutte quelle fondamentali esigenze connesse alla tutela del diritto alla salute, non ancora compromesse”.

L'adozione di criteri meramente economici nel mettere in discussione i principi di equità e di pari dignità di ogni essere umano, potrebbe condurre ad una sorta di "eutanasia sociale per pietà, forse anche demedicalizzata”.

Di qui la spinta ad ottenere leggi pro-eutanasiche. Si sostiene in proposito che l'interruzione di un'assistenza costosa agli individui anziani avrebbe l'effetto di garantire maggiori risorse a favore della parte di popolazione ancora in grado di inserirsi nelle dinamiche produttive e, pertanto, considerata socialmente più utile.

Il razionamento dell'assistenza basato sulla età e sulla condizione di terminalità dei pazienti mette evidentemente in discussione la tenuta stessa del principio di eguaglianza, senza distinzione di condizioni personali. Una volta stabilita una lista di priorità, cui destinare il finanziamento pubblico, sarebbe infatti oltremodo penalizzante - e, per ciò stesso, inaccettabile - un'ulteriore declinazione delle prestazioni sanitarie, basata sulla durata e qualità della sopravvivenza, che condurrebbe inesorabilmente a discriminare i soggetti più deboli.

Questo è certamente un problema, ma ce ne sono tanti altri che ci spingono a considerare gli aspetti della fiscalità generale, atteso che il Sistema Sanitario viene finanziato da essa. Mi preme sottolineare una nuova evoluzione: vi sono nella nostra contemporaneità spinte incredibili ad introdurre nel contesto nazionale nuovi sistemi, definiti “piani assicurativi assistenziali integrativi e volontari”. Tali sistemi hanno ricevuto l’incentivo della defiscalizzazione.

Questo pone di necessità una ulteriore riflessione: se allo stesso tempo si incentivano e si defiscalizzano le spese per i piani di sanità integrativi, certamente si avrà come risultato il far diminuire ancora le risorse destinate al Servizio Sanitario Nazionale, a suo tempo pensato universalistico e solidaristico basato sull’uguaglianza senza distinzione di condizioni personali.

La contraddizione è tanto più marcata se si pensa che spesso questi piani sanitari integrativi vengono proposti come benefits nelle contrattazioni di lavoro, collegando sempre di più il diritto alla salute con il possesso di un’occupazione. Pertanto i senza lavoro risultano di conseguenza ancor più penalizzati ed esclusi.

Si intravede all’orizzonte un’ulteriore contraddizione legata all’opting-out (letteralmente rinuncia), cioè la possibilità per il cittadino di abbandonare la sanità pubblica, e quindi non contribuire ad essa, se può permettersi una aggiuntiva o totale copertura privata. In Italia questa facoltà non c’è ancora, ma il rischio è reale: noi riteniamo che uno scenario del genere non tarderà a diventare verisimile se si andranno ad instaurare convenienti meccanismi disincentivanti.

In Inghilterra una forma di opting-out è rappresentata da Babylon Health che dispensa consigli telematici 24h/24h attraverso un’applicazione (app). Vi si può iscrivere in abbonamento chi sceglie di non essere più seguito dai medici di famiglia. La quota capitaria in questo caso non verrà più versata al dottore in carne ed ossa ma alla compagnia privata che organizza il servizio telematico. Ci si rende facilmente conto che in una situazione tecno-mediata la salute verrà gestita in modo rapido e freddo e la vita di ciascuno cambierà volto, atteso che, sempre più incapaci di comunicare dal vivo, avremo una grammatica emotiva ed emozionale ridotta ai minimi termini.

Se la relazione, che è per eccellenza spazio di incontro con l’altro, da fisica diventa virtuale, tecno mediata, significa che siamo arrivati davvero ad un brutto punto perché il “contro umanesimo” rischia di contagiarci tutti.

E le contraddizioni non si fermano qui, perché, ad esempio, un ulteriore aspetto, strettamente legato a quello relazionale, è la parcellizzazione globale delle cure, sempre più super specialistiche e sempre meno coordinate. Il fenomeno è già in atto e reca in sé tanti elementi contraddittori che coinvolgono le varie dimensioni dell’uomo, soprattutto quella identitaria.

Questo è certamente un problema, ma ce ne sono tanti altri … questi e tanti altri problemi trovano motivo di essere messi all’ordine del giorno!

Abbiamo bisogno di un importante cambiamento sociale. La promozione del benessere e la prevenzione per la salute non nascono da sole perché noi siamo sia ciò che mangiamo, ma anche quell’ambiente nel quale viviamo… nel quale produciamo inquinamento per poi contaminare la stessa nutrizione umana.

Occorre un’opera di intermediazione sociale e culturale che oggi manca.

La priorità è l’istruzione sociale, di tutta la società, non soltanto degli operatori sanitari: bisogna inculcare in tutti i cittadini, nessuno escluso, il concetto di consapevolezza, mantenere la schiena dritta nel rispetto dell’etica, assicurarci - noi medici e gli operatori sanitari tutti - che non vengano mai calpestati i principi deontologici di libertà, indipendenza, autonomia e responsabilità. Principi che, solo se riconosciuti all’unisono, potranno contribuire al rispetto dei diritti e della dignità di ogni persona e alla difesa responsabile e competente della sua integrità fisica e morale di tutti, nessuno escluso.

Su temi come fragilità, povertà, solitudine, isolamento, emarginazione, ghettizzazione, non autosufficienza e debolezza entra in gioco qualcosa di decisivo che ha a che fare con la tenuta stessa della costruzione sociale nel suo insieme.

Comunicare il sociale significa conoscere ed affrontare tutti gli stereotipi culturali e affrontare tutte le complessità. Significa promuovere un benessere organizzativo che sia accessibile a tutti. Promuovere cioè un nuovo modello di sviluppo sociale, perché curare significa al tempo stesso socializzare e prevenire. Curare significa proporre nuove azioni e nuovi punti di vista, perché non è soltanto lo stare accanto, ma lo “stare con”, e in questo “stare con” dobbiamo anche includere, per esempio, i processi di inclusione sociale, e cose meno complesse, ma irrinunciabili, come l’igiene delle persone cronicamente allettate, e tante altre cose che fanno parte della dignità della persona, spesso dimenticate nella ordinarietà di una assistenza “ad ostacoli”.

Speriamo che da un cambio di rotta dell’economia i tanti deserti che si stanno moltiplicando possano tornare a fiorire. Insieme a milioni di disabili nel mondo, insieme a tanti esclusi, nutriamo un sogno: che ciascuno possa tornare libero di vivere la propria vita in un mondo in cui l’uguaglianza sostanziale possa essere una realtà. La vita e la salute non possono essere solo privilegio di alcuni.

La storia ci ha insegnato che le conquiste dell’umanità, in termini di diritti fondamentali, non sono impossibili, ma hanno bisogno di persone coraggiose che sappiano sognare.

Se questo coraggio e questi sogni mancheranno dovremo affrontare quel reale rischio, che è il baratro dello schiacciamento culturale, che porta ad una assoluta esaltazione dei diritti escludendo completamente i doveri.

La dignità umana giustizia, equità, carità, sapienza e assenza di prevaricazioni.

A livello culturale abbiamo lasciato che la logica del profitto governasse anche i luoghi di cura. L’ospedale, il cui significato etimologico va ricercato nella parola “hospital”, equivalente di ospitale, che indica l’ospitalità e l’accoglienza, è diventato oggi “stabilimento ospedaliero” inquadrato in una azienda sanitaria.

I pazienti, da patio sono stati traslati a cittadini utenti. I medici, nelle precedenti qualifiche di primario, aiuto e assistente, sono operatori sanitari di sistema aziendale suddivisi in I e II livello. Gli operatori aziendali indossano una tuta che è la tuta aziendale, che è sempre meno di un camice professionale. Gli ammalati in pigiama sono codici a barre, le malattie sono codici nosologici. Negli ospedali è vietato chiamarli per nome: è sovrana la privacy, quindi le persone diventano codici alfanumerici. E’ aumentato il distanziamento fra operatori e cittadini utenti, e non solo per il Covid! Tutta la Medicina è in “guanti gialli”, tra barriere protettive e ulteriore distanziamento. Viceversa, la Medicina deve essere relazione, empatia, conforto, sorriso, carezza, sostegno e non solo efficienza digitale/burocratica. Nessuno nega la necessità di una forte iniezione tecnologica innovativa, ma la digitalizzazione degli attuali percorsi clinici, se esasperata, è grave errore metodologico perché diventa lesiva della qualità dei processi clinici sanitari e psicosociali.

Per tradizione la medicina è al servizio dell’uomo, di tutto l’uomo e di ogni uomo, in ogni attimo della sua vita, all’interno di un sistema che deve contenere principi di universalità e solidarietà. Invece oggi la medicina si trova dinanzi a molte contraddizioni, a molte insidie ed è esposta a molte aggressioni, anche in riferimento ai livelli essenziali di assistenza (LEA) e (LEP), spesso non tutti esigibili e quindi non tutti garantiti per tutti.