Le “Inquadrature” di Danilo di Nardi per Manni Editori
CELESTE MAUROGIOVANNI - Si apre con Mediterraneo e si chiude con Una finestra
sull’Infinito, seguendo un percorso immaginativo sinuoso, variopinto, con una interna
coerenza concettuale mimetizzata da una apparente, sfilacciata molteplicità e multiformità
che esalta spazi , silenzi, sentimenti, tempo, luoghi, colori, questa bella silloge di Danilo
di Nardi, Inquadrature, il cui titolo è una dichiarazione d’intenti, quella di raccontare (come
ci suggerisce il sottotitolo Racconti) attraverso flash lirici, lacerti di realtà, orizzonti, scorci
paesaggisti, viaggi esotici, squarci di paesi e città, di mare e terra, di campagne assolate e
ulivi millenari, l’intera vita sia quella interiore di chi scrive e crea in chi legge emozioni
intense, suscitando ricordi e suggestioni profonde, sia quella da lui osservata e ritratta
con lo sguardo autentico, lucido, di romanziere più che di poeta, con un linguaggio talvolta
antilirico ma sempre alto, di grande potere comunicativo in cui le parole descrivono,
creano mondi visibili che narrano l’immaginato o l’invisibile, senza deformazioni o
alterazioni ma con una sottile, importante risignificazione semantica del vissuto.
Con queste sue narrazioni ‘poetiche’, l’Autore si muove sull’onda dell’idillio, il genere lirico creato dai Greci e poi utilizzato con intendimenti poetico-narrativi differenti da Leopardi richiamato nel componimento finale da Danilo, fondato sui bozzetti naturalistici, quasi schizzi pittorici, inquadrature, appunto, attraverso cui vengono ritratti pezzi di mondo, realtà che è bello scoprire per noi in questo prezioso testo che ci può indurre ad assumere - come sempre la vera poesia fa - atteggiamenti riflessivi su ciò che osserviamo spesso distrattamente e a metterci in relazione con ‘le cose che abbiamo intorno’ che ci infondono la stessa calma e fiducia di un paesaggio rurale, di un passato che è diventato storia e che non può - nonostante le certezze che sono le sue stesse vestigia - negare l’attesa che può portare a nutrire speranze, parola che l’autore non pronuncia mai, proprio per non perdersi.
In questo volume tutto ha un nome, una riconoscibilità e la cifra che connota i racconti è una solida volontà di ancoraggio alla realtà e al mondo che può e deve diventare il ‘migliore dei mondi possibili’ di cui scoprirne la poeticità attraverso il canto storicamente definito di chi vuole rivedere i colori, gustare i silenzi, leggere sui volti sorrisi, rintracciare orme della memoria nei paesaggi, e che teme sempre di sfondare il muro dell’inconoscibile, del mistero, del vuoto, di smarrirsi in illusioni della mente (di sapore pirandelliano) davanti a uno specchio che riflette la propria immagine e fugare le paure attraverso un ‘eterno ritorno’ - direbbe Nietsche - al quotidiano che può essere un brano musicale di un’epoca a lui sconosciuta come gli anni Sessanta.
Le composizioni del di Nardi hanno profumi, colori, hanno consistenze - anche se in talune dominano emozioni che si avvinghiano sempre al noto, al conosciuto e - con un abile procedimento letterario - in senso contrario - talvolta partono dalla situazione concreta e dal contingente per rimandarci a visioni e a orizzonti emozionali. E il vissuto si carica di liricità e le narrazioni diventano ‘poesia’ come avveniva in Gozzano quando descriveva le ‘buone cose di pessimo gusto’ nella Amica di Nonna Speranza in cui l’ordinario si salva dalla distruzione attraverso l’esercizio della memoria.
Memoria che riaffiora - senza sentimentalismi - nel testo e nell’autore attraverso il ricordo di un viaggio, di una baia esotica, di un cielo trapuntato di stelle, dell’immagine di sua nonna, narrazioni in cui si procede attraverso il fermo-immagine cui danno ritmo le parole e vita i personaggi attraverso ‘un rituale magico’ di grande fascino di cui il poeta è medium. In questa poesia-non poesia si snoda il mondo dell’autore, si consumano i suoi dubbi si consolidano certezze, regnano la musica, il ritmo della vita e del tempo, la luce e il buio, in cui panta rei ( tutto scorre, come titola una lirica) senza urla, tragedie, e in cui non si può non cogliere il serpeggiare di un sottile dolore cui però lascia sempre il posto la ricerca di una festa o di un sorriso gentile in un mondo - chiaro o scuro - ma sempre senza ombre e confusioni e per lo più illuminato dalla luce abbagliante del sole.
Con queste sue narrazioni ‘poetiche’, l’Autore si muove sull’onda dell’idillio, il genere lirico creato dai Greci e poi utilizzato con intendimenti poetico-narrativi differenti da Leopardi richiamato nel componimento finale da Danilo, fondato sui bozzetti naturalistici, quasi schizzi pittorici, inquadrature, appunto, attraverso cui vengono ritratti pezzi di mondo, realtà che è bello scoprire per noi in questo prezioso testo che ci può indurre ad assumere - come sempre la vera poesia fa - atteggiamenti riflessivi su ciò che osserviamo spesso distrattamente e a metterci in relazione con ‘le cose che abbiamo intorno’ che ci infondono la stessa calma e fiducia di un paesaggio rurale, di un passato che è diventato storia e che non può - nonostante le certezze che sono le sue stesse vestigia - negare l’attesa che può portare a nutrire speranze, parola che l’autore non pronuncia mai, proprio per non perdersi.
In questo volume tutto ha un nome, una riconoscibilità e la cifra che connota i racconti è una solida volontà di ancoraggio alla realtà e al mondo che può e deve diventare il ‘migliore dei mondi possibili’ di cui scoprirne la poeticità attraverso il canto storicamente definito di chi vuole rivedere i colori, gustare i silenzi, leggere sui volti sorrisi, rintracciare orme della memoria nei paesaggi, e che teme sempre di sfondare il muro dell’inconoscibile, del mistero, del vuoto, di smarrirsi in illusioni della mente (di sapore pirandelliano) davanti a uno specchio che riflette la propria immagine e fugare le paure attraverso un ‘eterno ritorno’ - direbbe Nietsche - al quotidiano che può essere un brano musicale di un’epoca a lui sconosciuta come gli anni Sessanta.
Le composizioni del di Nardi hanno profumi, colori, hanno consistenze - anche se in talune dominano emozioni che si avvinghiano sempre al noto, al conosciuto e - con un abile procedimento letterario - in senso contrario - talvolta partono dalla situazione concreta e dal contingente per rimandarci a visioni e a orizzonti emozionali. E il vissuto si carica di liricità e le narrazioni diventano ‘poesia’ come avveniva in Gozzano quando descriveva le ‘buone cose di pessimo gusto’ nella Amica di Nonna Speranza in cui l’ordinario si salva dalla distruzione attraverso l’esercizio della memoria.
Memoria che riaffiora - senza sentimentalismi - nel testo e nell’autore attraverso il ricordo di un viaggio, di una baia esotica, di un cielo trapuntato di stelle, dell’immagine di sua nonna, narrazioni in cui si procede attraverso il fermo-immagine cui danno ritmo le parole e vita i personaggi attraverso ‘un rituale magico’ di grande fascino di cui il poeta è medium. In questa poesia-non poesia si snoda il mondo dell’autore, si consumano i suoi dubbi si consolidano certezze, regnano la musica, il ritmo della vita e del tempo, la luce e il buio, in cui panta rei ( tutto scorre, come titola una lirica) senza urla, tragedie, e in cui non si può non cogliere il serpeggiare di un sottile dolore cui però lascia sempre il posto la ricerca di una festa o di un sorriso gentile in un mondo - chiaro o scuro - ma sempre senza ombre e confusioni e per lo più illuminato dalla luce abbagliante del sole.